Siamo infatti inseriti in una densa rete di consigli, precetti, dettami, suggerimenti che non riguardano solo il mondo dei mass media, che moltiplica le trasmissioni e le rubriche dedicate al cibo salutare e all’alimentazione equilibrata, ma che ha anche una dimensione politica sempre più marcata. C’è del resto ben poco da stupirsi, ormai anche lo scontro politico è stato colonizzato da molte questioni che attengono al cibo e agli alimenti: campagne contro l’eccessivo uso di sale nelle patatine fritte, la lotta della stessa Michelle Obama all’obesità infantile, quella promossa dall’Unione Europea volte a sensibilizzare sull’importanza di mangiare frutta, ecc. Non sembra insomma esserci alimento che non venga giudicato e considerato sulla base della sua idoneità: abbiamo così i cibi degni di far parte delle nostre diete e quelli che invece non lo sono. Si tratta di giudizi apparentemente incontrovertibili (“la verdura fa bene”, “il sale fa male”), se non fosse che poi, ovviamente, dato che l’idea che abbiamo di cosa sia sano cambia continuamente, ricredere, rivalutare, riconsiderare: il passo indietro di Ségolène Royal sulla Nutella, l’emergere di diete alternative, le opinioni divergenti riguardo a quale sia il momento della giornata più adatto per mangiare certi alimenti testimoniano in pieno la dimensione ideologica di questo meccanismo. Ma tutto ciò ha poca importanza perché quel che conta è che l’individuo segua scrupolosamente i regimi dietetici e i consigli alimentari che gli vengono proposti giorno dopo giorno, senza perdere la fiducia nelle Verità dei Pastori del corpo come dietologi ed esperti dell’alimentazione.
Cosa hanno in comune tutte queste preoccupazioni di molti esponenti politici per ciò che mangiamo?
Attengono ovviamente a una più generale attenzione per la salute, ovvero riguardano il focalizzarsi della politica sull’individuo e la sua condizione di benessere fisico. Tramontati i sogni (e la volontà) di mettere in atto grandi processi di trasformazione sociale, si assiste al tentativo di rivolgere al singolo ogni intento riformatore: non stupisce che sono soprattutto le forze politiche progressiste, di centrosinistra, come i socialdemocratici in Europa e i Liberals negli USA a impegnarsi ossessivamente a diffondere nuovi modelli e stili di vita “sani” a cui conformarsi. Sano che diventa il sacro del rapporto che abbiamo col nostro corpo, contrapposto al profano del cibo calorico, dello scarso esercizio fisico, dei vizi alimentari, delle sigarette.
Su queste fondamenta, si crea una nuova forma di normalità, che è quella legata al seguire i precetti degli esperti, ovvero le nuove autorità morali che stabiliscono cosa è sano e cosa non lo è: si tratta non più solo di medici ma anche di nutrizionisti, dietologi, bloggers, gym trainers, istruttori di fitness e molti altri.
Il paradosso è che sano ormai non è più il contrario di malato: quel che conta è l’impegno giornaliero, il progetto del corpo, mettere in pratica continuamente consigli salutari. Una persona se smette di fumare, di bere, di mangiare cibi grassi e abusare di carne e glutine è sana anche se ha un tumore al cervello, l’importante è la corretta applicazione giornaliera di uno stile di vita salutare. Poco importa che i precetti medici e i consigli alimentari cambino più velocemente che mai, ciò che conta è seguirli. Il contrario di sano è piuttosto “inattivo” che significa una rinuncia, una pigrizia a mettersi sul cammino illuminato che condurrebbe, se seguito scrupolosamente, al benessere fisico.
Occorre sottolineare come la crescente retorica sul benessere corporeo, lo stile di vita sano (healthy lifestyle) abbia da tempo travalicato il confine della semplice prevenzione. Gli appelli a realizzare in maniera continua e metodica forme sempre più sofisticate e scrupolose di cura del proprio corpo e di attenzione affinché tutto ciò che facciamo sia salutare, non attiene più al tentativo di evitare una situazione di malattia, quanto si focalizzano, come nota giustamente il sociologo Nikolas Rose, sull’ottimizzazione delle prestazioni fisiche e sul rafforzamento della nostra vita biologica. Regimi dietetici, fitness, palestra, pietanze vegane, non rappresentano il bisogno dell’individuo di evitare la malattia quanto un desiderio di massima efficienza biologica, di perfezione corporea. Se il corpo della rivoluzione industriale, seguendo una disciplina ascetica, produceva patologie nevrotiche legate alla repressione, quello postmoderno sviluppa una forma di “Anoressia Nervosa” che riflette le pressioni competitive della presentazione in pubblico ed è strettamente connessa all’associazione fra bellezza, magrezza e salubrità nelle rappresentazioni del corpo. Nella nuova società narcisistica dunque, il corpo è sempre più soggetto a un potere normativo e le diffuse raccomandazioni mediche, dietetiche, sportive, igieniche impongono precisi standard somatici ritenuti come consoni (magrezza, asciuttezza, muscolosità).
La via della redenzione dal male (obesità, vizi, inattività fisica) è dunque quanto di più eterodiretto possa esistere. Come abbiamo detto, il sistema politico, mediatico e quello degli esperti offrono un sistema omnicomprensivo (Foucault parlerebbe di “governamentalità” diffusa) di cosa occorra fare e di come strutturare la propria vita quotidiana per il benessere fisico. Questa dimensione coercitiva e di applicazione di potere ideologico (ovvero di “biopotere”: altro termine foucaultiano) funziona tanto meglio quando agisce sotto forma di semplici consigli, di suggerimenti ed è posta come un modo di promuovere l’individuo a responsabilizzarsi. Ci sentiamo soggetti responsabili della nostra vita e della nostra salute, in grado di agire liberamente sul nostro corpo, quando in realtà una rete inestricabile di raccomandazioni, protocolli, modalità operative permea e orienta continuamente il nostra agire sociale.
Il biopotere come sistema di politiche volte a regolare la vita biologica dell’individuo non è certo una novità, anche se Antonio Negri ritiene che la sua diffusione rappresenti una dei tratti salienti della nuova epoca “neoimperiale” dominata dal capitale globale. Per Foucault la nascita del biopotere avviene già dalla fine del XVII secolo quando cominciano a rendersi opportune, al fine di migliorare le prestazioni della forza lavoro, circoscrivere le epidemie, tenere sotto controllo le dinamiche demografiche ecc.., delle rigorose politiche che riguardano la vita biologica dell’individuo e delle masse. Le società occidentali che dalla fine del Seicento hanno cominciato a interessarsi della vita biologica in sé, tendevano però a esercitare il biopotere secondo due distinte coordinate. Per il filosofo francese, accanto a una “biopolitica della popolazione” che si interessa all’essere umano non come singolo ma come “specie” e determina dunque scelta di ordine collettivo, quali la pianificazione urbana, l’assistenza sanitaria, l’igiene pubblica, tutti fattori alla base dei moderno Welfare State, c’è anche una “anatomo-politica del corpo umano” che si interessa alla salute e all’efficienza fisica dell’individuo e con essa viene elaborato anche un regime di vigilanza volto a rendere il corpo utile e docile, una macchina efficace ed economicamente produttiva.
Cosa è cambiato oggi nel modo in cui la politica si interessa alla nostra salute ed efficienza fisica? Si può avanzare l’ipotesi che uno dei poli del biopotere - il primo, attinente alle bio-politiche della popolazione – sia in fase di repentino decadimento, simboleggiato anche dallo smantellamento del Welfare State e dall’enfasi contemporanea sulla responsabilità individuale.
Questo crollo, non sembra però caratterizzare l’altro aspetto del biopotere, che anzi pare abbia invece amplificato e assolutizzato la sua rilevanza e influenza. La dimensione individuale del problema della salute del corpo sembra modernamente aver ottenuto una rilevanza politica senza precedenti nella storia occidentale. Si pensi ancora alla campagna contro l’obesità di Michelle Obama o l’assurda proposta di legge di vietare di girare scene di film in cui gli attori sono nell’atto di fumare: sono entrambi esempi di nuove modalità di esercizio del potere che invece che produrre diritti e forme di previdenza, genera doveri e divieti.
Si assiste così sbigottiti al ritiro della politica e della sua azione trasformativa dalla questione della sanità collettiva, dalla cura non come precetto o come consiglio ma come diritto. Accanto agli infiniti modi tramite cui ottimizzare le nostre prestazioni corporee, il discorso sulla sanità pubblica, sul diritto a essere curati, sulle forme di previdenza sparisce dall’orizzonte politico: oggi viviamo in una società che ha sacrificato la sanità pubblica come diritto della collettività sull’altare della salute individuale.
Il fallimento di Barack Obama di trasformare il sistema sanitario americano in un sistema di previdenza universale, mantenendo la struttura liberista incentrata sulla responsabilità individuale di procurarsi un’assicurazione sanitaria, sta sicuramente sortendo meno effetti trasformativi della campagna Let’s Move della sua consorte che è già andata a incidere sulle abitudini dietetiche di molti giovani americani.
In entrambi i casi, comunque, il modello liberista fondato sull’idea che sia il cittadino a prendersi carico della sua salute, viene riprodotto e riconfermato: ma è una responsabilizzazione che non ha nulla di spontaneo: il cittadino è responsabilizzato a prendersi l’assicurazione privata perché non c’è lo stato ad assisterlo, ed è responsabilizzato a migliorare il proprio corpo e ad adottare stili di vita salutari perché un gigantesco apparato politico-mediatico (talk show, rubriche, programmi, blog: la salute e il benessere trovano uno spazio impressionante all’interno del sistema dell’informazione) lo spinge a uniformarsi. Questo piegarsi della politica sulla dimensione individuale della salute è allarmante: dalla guerra alla povertà di Lyndon Johnson siamo passati alla guerra all’obesità di Michelle Obama. E il declino sembra inarrestabile.
In questo binomio sanità pubblica/salute individuale, ancora una volta la dimensione di classe rientra prepotentemente in gioco: se la sanità implica una forma di protezione pubblica usufruibile da chiunque, sia esso povero o ricco, l’enfasi sulla salute personale produce invece modelli di comportamento e suggerisce stili di vita borghesi: andare in palestra o comprare cibi biologici, oltre a non essere sempre alla portata di tutti, rappresentano il tentativo di uniformare l’individuo alle concezioni solipsistiche della classe media. Ciò ovviamente non significa che i meno abbienti siano “liberi” o meno soggetti all’influenza della regolamentazione biopolitica, significa solo che avranno più difficoltà ad adattarsi ai pressanti dettami sociali di adeguamento a dei modelli prestabiliti, con tutte le problematiche psicologiche e di marginalità sociale che ne derivano.
In un mondo basato sulle precarietà lavorativa ed esistenziale, che invece di produrre senso, genera masse di consumatori anonimi, l’unica labile certezza che possiamo trovare è quella legata all’incessante lavoro sul nostro corpo: sano, allenato, efficiente. Ma quanto possa essere sana una vita così, è difficile da capire.