È cambiata solo una parte del copione, pur rimanendo identica la sostanza: adesso il claim (in pubblicità è così che si dice) è dato, da un lato, dall'occupazione giovanile e dalla riduzione delle tasse; con Monti erano le tasse e il massacro dei diritti dei lavoratori e dei pensionati la fase “dolorosa ma necessaria” per una “ripresa stabile” dell'economia di lì a un anno o poco più. Poiché di lì a un anno le cose sono peggiorate, il claim doveva cambiare. Per il resto, le cose comunque peggiorano, e continueranno a peggiorare: per il semplice motivo che le misure o gli impegni più o meno vaghi appena definiti dal governo Letta sono poco più che aria fritta, quando non fanno danno. La ragione è sempre la stessa: le politiche restrittive di bilancio sono intoccabili, cioè i soldi non si vuole che ci siano. Vero è che con Monti queste politiche erano positive, servivano alla ripresa, e con Letta sono invece un obbligo europeo, il cui rispetto però è necessario alla “credibilità” dell'Italia in Europa, se no come facciamo a convincere la signora Merkel e la Commissione Europea a darci una mano, ecc.: ma il risultato non cambia.
È vero che alcune tra le recenti misure di governo rappresentano correttivi civili minimi rispetto alla barbarie del governo Monti: i limiti posti a Equitalia, il taglio dei processi civili, i fondi agli studenti meritevoli, soprattutto i limiti al consumo del suolo e la riqualificazione edilizia, ecc. Altre sono invece il solito schiaffo alla miseria: annullato o ridotto il prelievo fiscale sulle “barche” di piccola o media stazza, cosicché disoccupati, precari, operai, pensionati, casalinghe finalmente quest'estate potranno navigare verso la Corsica o Malta e colà bagnarsi assieme all'Aga Khan e a Marchionne. In effetti, non siamo tutti sulla stessa barca?
Ma ciò che soprattutto è vero è che alla montagna di chiacchiere su occupazione giovanile e fisco non corrisponde quasi nulla oppure corrisponde un peggioramento per le condizioni della parte più povera della popolazione.
Cominciamo con l'occupazione giovanile: il piano di governo promette 100 mila posti di lavoro. A parte che non si capisce perché 100 mila, la cifra è nulla rispetto all'enormità del problema. In secondo luogo, la promessa parte dall'illusione che l'occupazione possa aumentare migliorando (dal punto di vista imprenditoriale) le caratteristiche dell'offerta di lavoro (concretamente, abbattendone il costo per gli imprenditori): ma se la produzione continua a regredire l'occupazione non può non regredire essa pure, quale che ne sia il costo. Conclusione: l'offerta di 100 mila giovani lavoratori a basso costo alle imprese significherà semplicemente che questi 100 mila giovani, se ci saranno, andranno a sostituire un numero simile o di poco inferiore di lavoratori i cui costi siano superiori. Le “riforme” Fornero-Monti hanno spianato la strada a questa possibilità anche sul piano giuridico: oggi qualsiasi lavoratori a tempo indeterminato può essere licenziato con il pretesto che ne sia venuta meno la necessità aziendale: e se egli va in causa e vince, viene semplicemente indennizzato con quattro soldi.
Non è un caso quindi la litania dell'occupazione giovanile in luogo di un ragionamento su come intervenire sul piano dell'aumento dell'occupazione in generale. Non è un disastro che rovina la vita di una persona anche la perdita del lavoro a quaranta o cinquant'anni, con la prospettiva della pensione, per di più, a settant'anni? I lavoratori che mantengono una famiglia, hanno i figli a scuola o precari o disoccupati, oppure fanno sacrifici per mandarli all'università, debbono finire di pagare il mutuo, se perdono il lavoro sono un fatto insignificante? Le donne buttate fuori dal lavoro e obbligate a tornare a occuparsi del solo lavoro domestico, private così della possibilità materiale di essere autonome rispetto al partner maschile e, se del caso, della possibilità di farsi indipendenti, non costituiscono un problema grave anche di civiltà? Ciò che fa la differenza tra un discorso sull'occupazione giovanile serio e il suo claim pubblicitario è anche questo: che il claim serve in realtà a celare il disastro complessivo dell'occupazione in Italia, sia dal punto di vista della quantità che dei diritti non solo sul lavoro ma di vita.
Concludiamo con il fisco. Le voci fondamentali sono due: l'IMU e l'IVA. Intanto il governo per ora sta tentando l'abbattimento dell'IMU, mentre non è chiaro che cosa riuscirà a fare con l'IVA. Ora l'annullamento dell'IMU sulla prima casa (come hanno denunciato tutte quante le organizzazioni sindacali) anche se non varrà circa “ville e castelli” è esso pure un insulto alla miseria: le case in proprietà delle classi popolari sono, in concreto, escluse in genere dal pagamento dell'IMU, o al più ne pagano uno molto basso. L'esenzione quindi beneficia le classi medie e quelle ricche: già in genere beneficiate dal fatto che il catasto, mai aggiornato, tende mediamente a deprezzare gli immobili ricchi e ad apprezzare invece quelli medio-poveri. Inoltre, cosa ancora più grave, le risorse in meno nelle casse dello stato derivanti dall'abbattimento dell'IMU tendono a far sì che l'IVA debba essere aumentata di un punto percentuale, come già aveva previsto il governo Monti, anziché tenuta al livello attuale. E quest'aumento dell'IVA danneggerà soprattutto la parte più povera della nostra popolazione, quella, cioè, ed è tanta ed è sempre di più, che fatica ad arrivare a fine mese, o proprio non ci arriva. Mentre per redditi medi o alti l'aumento dei prezzi conseguente all'aumento dell'IVA costituisce un fatto insignificante, non è così per un pensionato, un precario, ma anche per una famiglia operaia, ma anche per una famiglia di impiegati pubblici.
Letta, viene detto dalle forze politiche che ne appoggiano il governo, si sta muovendo sulla linea giusta. Giusta, per chi?
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