Titolo che però costituisce una sorta di chiasma che racchiude in sé la critica all’eterosessualità obbligatoria (corrispondente alla parte delle teorie queer) e alla rappresentazione mistificatoria e mistificante delle teorie queer (corrispondente alla parte della teoria del gender).
La teoria del gender potrebbe suddividersi, prosegue Bernini, in tre questioni cardine: 1) cosa è la teoria/ideologia del gender; 2) che cosa è il gender; 3) cosa sono e cosa fanno gli studi di genere e le teorie queer. Per quanto riguarda il primo punto, Bernini ricorda come una parte dell’associazione italiana di sociologia abbia affermato che la teoria del gender non esiste. Una simile affermazione però non è sufficiente, e richiede degli approfondimenti.
La teoria del gender, dice Bernini, è un dispositivo retorico, mistificatorio messo a punto dall’Istituzione della Chiesa cattolica al fine di contrastare i movimenti femministi e queer.
Il termine Gender esiste da più di vent’anni: nel 1955 l’Onu organizza a Pechino una grande conferenza sulla condizione delle donne; nei documenti preparatori alla conferenza compare già il termine gender e gli inviati del Vaticano, sollecitati da un’attivista statunitense, emettono immediatamente documenti che contestano questo termine, subito avvertito come pericoloso e in grado di minacciare i capisaldi dell’istituzione cattolica ed ecclesiastica. Il Papa al tempo è Wojtyla. Il primo pontefice comunque, a pronunciarsi esplicitamente fortemente contro il gender è stato Ratzinger, attraverso affermazioni ben precise quali “la famiglia naturale va protetta dalla diffusione del termine gender, tanto quanto la foresta tropicale va protetta dal punto di vista ecologico”. Il gender è visto, da parte della Chiesa, dei suoi rappresentanti e di tutti quei movimenti che si sono diffusi sulla scia di questa battaglia contro “gli attentatori della natura umana, della famiglia naturale e della differenza sessuale maschile e femminile”, come un tentativo da parte dell’uomo di manipolare la propria natura contro la volontà di Dio che “creò l’uomo a sua immagine; / a immagine di Dio lo creò; /maschio e femmina li creò” (Genesi 1, 26-27). Nel dicembre del 2012 Ratzinger ripronuncia questo discorso per contrastare la legge francese sul marriage pour tous.
Un discorso simile viene poi ripreso nel 2016 da Papa Bergoglio contro il DDL Cirinnà sulle Unioni Cvili: “le persone omosessuali vivono in uno stato oggettivo di errore e non ci può essere confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione”. Fa un po’ rabbia pensare che mentre in Francia la legge passò subito e senza modifiche rispetto al disegno di legge iniziale, trascurando l’attacco della Chiesa e dei suoi movimenti-figli, in Italia, quattro anni dopo, le parole del Papa e il proliferarsi dei movimenti pro-life, anti-aborto e anti-unioni civili, et cetera, abbia portato il Governo a rimettere mani al disegno di legge e a modificarlo secondo l’indirizzo dato dall’istituzione ecclesiastica e da questi movimenti fanatici e bigotti, non riconoscendo l’unione civile come una vera famiglia.
Il marketing della Misericordia di Papa Bergoglio (il papa dei poveri, degli ultimi, dell’ambiente ecc..) non sposta la Chiesa di un millimetro riguardo al tema dell’omosessualità. Il Pontificato di Bergoglio ha anzi allargato il campo della polemica, contrastando anche l’insegnamento anti-discriminatorio nelle scuole considerato una minaccia, come una colonizzazione ideologica. Nell’aprile del 2014 lo stesso Bergoglio parla di “campi di rieducazione paragonabili alla manipolazione educativa che abbiamo visto nelle grandi dittature genocide del XX secolo”. Le sue parole non sono rimaste inascoltate, poiché la campagna no gender (portata avanti dai vari movimenti pro-life e da diverse forze politiche come Forza Nuova, Lega Nord, Fratelli d’Italia, Nuovo Centro Destra, ma anche da alcune componenti dell’attuale Governo Renzi: si pensi che la consulente del Ministro Lorenzin è Assuntina Morresi, che sicuramente avrà messo il suo zampino anche nella recente campagna del fertility day!),ha riscosso importanti successi a livello di politiche locali e nazionali.
In Veneto questi movimenti sono diventati particolarmente forti e hanno dei legami molto stretti con le istituzioni, tanto che la regione ha emesso una delibera in difesa della famiglia naturale. Il Comune di Venezia ha imposto la confisca dei libretti per l’infanzia dalla scuole perché considerati promotori della teoria del gender; sempre la regione del Veneto ha indetto la celebrazione della giornata della famiglia naturale. La regione Lombardia da parte sua ha istituito uno sportello-famiglia contro “l’indottrinamento del gender” nelle scuole.
Anche se ci spostiamo sul piano nazionale la situazione non è tanto più rosea: il DDL contro l’omofobia (in realtà contro l’istigazione all’odio omofobico) approvato nel settembre 2015, ad esempio, non è mai entrato in vigore a causa dell’osteggiamento e della pressione virulenta della Chiesa e dei movimenti pro-life. Nel marzo 2014 il Governo Renzi ha inoltre bloccato la distribuzione nelle scuole di alcuni opuscoli che dovevano esser distribuiti a tutti i docenti, realizzati dall’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni razziali), intitolati “Educare alla diversità a scuola” e pubblicati sotto l’egida della Presidenza del Consiglio dei Ministri (dipartimento delle pari opportunità) al tempo del Governo Monti. Questi “percorsi innovativi di formazione e aggiornamento per dirigenti, docenti e alunni sulle materie antidiscriminatorie, con particolare focus sul tema Lgbt e sui temi del bullismo omofobico e transfobico” , sono stati attaccati in quanto pericoloso strumento di ideologizzazione che minaccia e lede lo sviluppo del ragazzo indottrinandolo con la teoria del gender! Il Comitato Articolo26 ad esempio, scrive letteralmente che “il contenuto di tali libretti è inaccettabile e andrebbero letti tutti per comprenderne la portata esplosiva. […] Continua l’offensiva per imporre l’ideologia di genere nelle aule scolastiche […] i genitori? Tagliati fuori. La libertà d’educazione? Distrutta”.
Giudizi simili hanno portato appunto il Governo di centro sinistra (!) di Renzi a bloccare la distribuzione di questo pericolosissimo strumento di “colonizzazione ideologica”. Stessa cosa per quanto la legge sulle Unioni Civili (maggio 2016), che, certo può essere considerata un primo passo di cui dobbiamo gioire, ma è una brutta legge: sostiene che una coppia omosessuale non è una famiglia, riprendendo di fatto le parole pronunciate da Bergoglio. Questo dà conferma del fatto che in Italia il dispositivo contro i movimenti femministi e LGBTQUI funzioni benissimo.
Già di per sé, ad ogni modo, il termine ideologia o teoria gender non va bene, più corretto sarebbe parlare di Studi di Genere o di Teorie Queer, ponendo l’accento sul plurale, dando conto del fatto che si tratta di ampi dibattiti, plurali e complessi.
Vi è un confronto esteso interdisciplinare che ammette un confronto critico e a volte anche molto acceso al suo interno tra le teorie del genere, che invece la Chiesa vuole strumentalmente racchiudere in una singola teoria, per rendere più semplice il passaggio verso l’ideologia e rendendola quindi un vero e proprio costrutto o dispositivo ideologico.
La stessa espressione Teoria del Gender è volutamente ambigua e auto contraddittoria dato che un termine, teoria, è italiano, mentre gender è una parola anglofona, tra l’altro perfettamente traducibile in italiano con “genere”: si utilizza un inglesismo per rendere il termine meno comprensibile e più spaventoso, per evocare i fantasmi del colonialismo culturale (prevalentemente americano) che va ad intaccare le radici cristiane europee. Ma se è vero che negli U.S.A ci sono forti e attivi movimenti LGBTQUI e un amplio dibattito teorico e interdisciplinare tra teorie del genere, resta pur vero che queste ricerche traggono le loro radici dagli studi di genere europei (Simone de Beauvoir, Foucault, tanto per fare un paio di esempi), rimarcando perciò un’origine storica europea.
Tra i contenuti che vengono attribuiti alla teoria del genere vi è il tentativo di prescrivere la cancellazione della differenza sessuale attraverso la manipolazione educativa, come ha detto il Cardinal Bagnasco: “lo scopo della teoria del gender è edificare un transumano privo di meta e a corto di identità”. La teoria del gender mirerebbe alla “perversione generalizzata della società”, “a rendere i bambini precocemente sessualizzati” e via dicendo. Questi possono sembrare tutti discorsi deliranti, ma qualcosa di vero però c’è: c’è il conflitto tra la Chiesa e i movimenti tradizionalisti e conservatori da un lato e i movimenti femministi e LGBTQUI dall’altro.
Arriviamo al secondo punto: che cos’è il genere. Per la psicologia e la psichiatria il genere è una delle tre componenti dell’identità sessuale, insieme al sesso e all’orientamento sessuale. Mentre il sesso rappresenta la componente fisica (genitali, gonadi, combinazioni varie tra questi ecc..) e l’orientamento sessuale la direzione prevalente del desiderio, il genere rappresenta la componente psicologica, o meglio, fin dall’inizio, esso è la componente socio-psicologica dell’identità sessuale di un soggetto. Non riguarda perciò soltanto il corpo di un individuo ma il senso che esso ha di sé, il sentimento che il soggetto ha di sé, il suo sentirsi maschio o femmina a seconda del significato culturale attribuito a femminilità e mascolinità.
In una minoranza di casi, il genere di una persona può divergere dal suo sesso, come nel caso dei trans gender. Oppure, in altri casi, l’identità di genere può corrispondere al sesso ma si assumono alcuni comportamenti, atteggiamenti, modi di abbigliarsi, che non risultano tradizionalmente corrispondenti agli standard che considerano maschile determinati comportamenti e femminili determinati altri comportamenti: bambini o ragazzi possono venire percepiti come effemminati perché si abbigliano in modo atipico o si atteggiano in maniera “non conforme” alla “norma”, viceversa le bambine o le ragazze possono esser percepite come lesbiche perché magari si vestono “a maschiaccio” o amano giocare a calcio, sebbene né i primi né le seconde siano realmente omosessuali o lesbiche. Questi bambini, ragazzi, uomini e queste bambine, ragazze, donne atipici e atipiche vengono ordinariamente derisi, bullizzati, presi in giro, allontanati, malmenati. Allarmante negli ultimi anni la diffusione del social bullismo: la rete, i social sono diventati in alcuni e sempre più frequenti drammatici casi, strumenti di pressione e di violenza verbale e psicologica fortissimi, vengono usati per attaccare le persone che non risultano conformi agli standard e alle norme tradizionalmente condivisi e interiorizzati dalla società. Chi risulta fuori da queste norme viene percepito come anomalo, anormale, atipico e per questo punibile, schiacciabile, recriminabile.
Tragicamente nota è la vicenda di Andrea Spezzacatena ( o meglio conosciuto come “il ragazzo dai pantaloni rosa”): questo ragazzo non aveva mai detto né esplicitato di essere gay o trans gender. I genitori si sono subito affrettati a dire che non lo era dopo la sua sorte drammatica, come se volessero tutelarne l’immagine. In realtà non è affatto importante sapere se Andrea era omosessuale o non lo era, quel che è rilevante è che a lui piaceva indossare il rosa e mettersi lo smalto lucidante alle unghie e per questo i suoi compagni di classe lo insultavano, a tal punto da creare una pagina Facebook apposta in cui riversare e catalizzare tutte le prese di giro e le offese. Andrea non ha mai parlato con nessuno di questo accanimento nei suoi confronti. Ha tenuto tutto dentro, finché un giorno questa violenza su di sé e questo senso di solitudine sono diventati insostenibili, intollerabili, così che nel 2012 Andrea si è impiccato, alla sola età di 15 anni.
Purtroppo la vicenda di questo ragazzo non è isolata. Il tasso di suicidi commesso da adolescenti che non risultano “conformi” è di 6/7 volte più alto rispetto a quello di chi risulta “normale” o che comunque assume comportamenti di genere standard, convenzionali. Il tasso poi slitta ancora di più per gli adolescenti appartenenti a una minoranza etnica. La norma dell’eterosessualità obbligatoria è oppressiva e violenta e può prescrivere “sanzioni” e pene efferate in caso di sua effrazione.
Bernini passa poi a scandagliare il terzo punto, ovvero che cosa fanno le teorie queer e gli studi di genere. Lo sviluppo degli studi femministi che indagano e problematizzano le norme di genere ha portato a un dibattito molto florido e variegato: le tesi sono spesso differenti tra di loro e a volte anche molto distanti, ma tutte concordano sul fatto che le norme di genere non sono un dato naturale, un dato di fatto, ma cambiano nella storia e nella cultura. Sono fluide e dinamiche, storiche e culturali, non naturali. Dal punto di vista della condizione della donna, una simile constatazione (sulla non naturalità delle norme di genere) significa denaturalizzare la subordinazione della donna all’uomo, storicamente e culturalmente determinatasi nelle nostre società patriarcali: la sua subordinazione non è naturale, non è un dato o un fatto di natura, ma una norma che appunto, storicamente e culturalmente ha fondato le società patriarcali.
Il fatto di considerarla e trattarla come una norma e non di un dato di natura, permette di poter agire sulla subordinazione della donna all’uomo e di cambiare le cose, riformarle. Fino al 1981 ad esempio il femminicidio in Italia veniva tollerato in nome del diritto d’onore; oggi per fortuna, nonostante il femminicidio sia ahimè una realtà drammaticamente ancora ben presente, la percezione che se ne ha è ben diversa.
Parallelamente al pensiero femminista c’è stato uno sviluppo del pensiero lesbo-femminista, gay e trans gender che ha dato luogo a quella branca di studi chiamati appunto studi di genere e teorie queer: nelle società patriarcali le norme di genere derivano dalla norma/matrice dell’eterosessualità obbligatoria. Un nome fra tutti a porre una forte attenzione su questo aspetto è Judith Butler. La norma dell’eterosessualità obbligatoria oltre a produrre la subordinazione della donna, la definisce anche attraverso la sua subordinazione sessuale agli uomini nel rapporto eterosessuale e definisce la superiorità degli uomini nel loro rapporto eterosessuale, e svilisce ogni minoranza sessuale percepibile come non pienamente appartenente all’umanità, non pienamente degna di appartenere al genere umano, laddove la norma prevede un’umanità eterosessuale. Rende e definisce queste minoranza come anomale, anormali, ab-normi rispetto a un’umanità designata appunto (anche) dalla norma dell’eterosessualità obbligatoria.
La Chiesa cattolica redime/ammette il “peccato” sessuale solo se si tratta di una pratica “eterosessuale consumata all’interno del matrimonio e finalizzata alla riproduzione”, solo in questo caso si può riscattare/espiare il carattere peccaminoso e scandaloso del sesso e ogni altro tipo di espressione o pratica della sessualità confligge con il disegno di Dio. Ovviamente la Chiesa ha tutte le sue buone ragioni (dal suo punto di vista e dalla posizione e dal ruolo di potere, controllo, autorità, che si sente chiamata a difendere strenuamente) contro la conquista dei movimenti femministi e LGBTQUI, ma in tale contrapposizione, in tale conflitto gioca sporco, in modo disonesto e mistificatorio perché quella che viene presentata come teoria del gender è in realtà una disgustosa caricatura, un’immagine deformata da un dispositivo retorico costruito a tavolino.
È vero che gli studi di genere e le teorie queer vogliono trasgredire e rivendicano la possibilità di praticare l’identità trans gender, di conservare corpi intersessuali non immediatamente riconducibili a un’identità sessuale “canonica”, ma questo non significa che esse abbiano lo scopo di cancellare la differenza sessuale maschile/femminile o obbligare tutti a disfarsi della propria identità di genere, come spesso si sente dire dall’istituzione cattolica e dai movimenti anti-teorie queer e anti teorie del gender. Prima delle teorie queer e prima degli studi di genere era semmai la società patriarcale ed etero sessista a imporre determinati comportamenti e l’eteronormatività obbligatoria. Le teorie queer e gli studi di genere non sono invece né normativi né tantomeno prescrittivi, bensì sono teorie e studi critici: il desiderio sessuale e l’identità sessuale resistono e scardinano ogni imposizione, non possono essere imposti dall’alto o contenibili e racchiudibili in una norma prescrittiva.
Come abbiamo già detto all’interno di questi studi vi è un ampio dibattito critico e anche talvolta conflittuale, in cui non si afferma un principio di naturalità né si ci si ferma o limita a chiedere semplicemente l’inclusione delle minoranze sessuali (o meglio, alcune teorie sì, tipo Butler per cui vi è un’urgente necessità di dislocare il genere e allargare la norma, affinché ogni minoranza sessuale entri a far parte della piena umanità), alcune ad esempio rivendicano lo statuto innaturale, scandaloso, perverso delle pratiche non eterosessuali (si veda Edelman o Leo Bersani), ma nessuna di queste teorie mira a manipolare l’identità sessuale di nessuno. Un’educazione di genere deve promuovere una società non maschilista e non etero sessista, in cui tutti coloro che esprimono il proprio genere in maniera non convenzionale abbiano una piena dignità; una società e una scuola in cui i ragazzi che si vestono di rosa e le ragazze che giocano a calcio si sentano tranquilli, sereni, rispettati e magari anche protetti.
Ognuno di noi può dare una spinta alla società del nostro paese in questo senso, anche se la situazione italiana non è rosea, ma dobbiamo esser consapevoli che ci sono forze che spingono per il cambiamento ed è quelle forze che dobbiamo cavalcare e fomentare. Dobbiamo decidere fin da subito da che parte stare, se dalla parte di chi vuole sentirsi libero di indossare un paio di pantaloni rosa o mettersi uno smalto risplendente o da quella dei suoi aguzzini.
Immagini di copertina liberamente riprese dalla pagina FB Gruppo Giovani Glbti* Firenze