Il gruppo di lavoro si è spinto verso due opzioni: un ritorno al proporzionale con preferenze o un collegio uninomimale misto con una parte di proporzionale a preferenze. Boretti continua poi ribadendo come l'obiettivo dei diritti a coloro che oggi non li hanno sia la strada su cui tutti noi, in forza del proprio piccolo o grande ruolo che vestiamo, dobbiamo immetterci e perseguire, essendo garanzia di civismo e democrazia (vera). La regione Toscana in questo ha dato prova di essere esempio di accoglienza e civiltà, proprio a partire dal suo Statuto – già ricordato precedentemente – che appunto si propone di estendere il diritto di voto ai “nuovi cittadini”. Il consigliere ricorda inoltre come non oltre un anno e mezzo fa la Toscana, insieme all'Emilia Romagna e alle Marche, indisse una mozione di legge (superata poi da campagne come “l'Italia sono anch'io”) per porre a livello nazionale la questione del diritto di cittadinanza. Purtroppo, per ora vediamo che benché le reti su questo tema siano forti da un punto di vista associazionistico (consigli, consulte..), manca l'ulteriore passaggio concreto del diritto di voto a livello istituzionale. La mobilitazione dovrebbe salire su un gradino più alto, nazionale ed europeo. Tutte le forze progressiste dovrebbero assumere questo obiettivo come priorità e combattere questa battaglia, che è anche culturale, magari accompagnata anche da una forzatura amministrativa, attraverso mozioni, documenti, proposte che stimolino l'interesse su questi temi fondamentali, quali diritto di voto e ius soli.
A concludere la conferenza sono state poi le testimonianze di alcuni cittadini stranieri. La prima di questi a parlare è Sofia Urtado, di origine colombiana e delegata del “Forum Nuovi cittadini” di Campi Bisenzio. Campi Bisenzio, esordisce Sofia, è un comune che conta 44mila abitanti di cui ben 8000 sono stranieri. Sono presenti 80 etnie, di cui la più numerosa, come tutti probabilmente sanno, è quella cinese. Il comune può vantarsi di essere il primo in Italia e il settimo in Europa riguardo all'integrazione dei migranti, anche grazie alla presenza di un assessore cinese. Sofia racconta poi l'esperienza del Forum, nato nel 2011 grazie a tale sensibilità del comune, che già aveva organizzato il progetto “Campi for Africa”, il quale aveva raccolto in sé tutte le diverse realtà e associazioni presenti nel comune. Proprio da qui nasce la volontà di creare un luogo fisico, un punto fisso (Villa Rucellai), chiamato meeting point dove tutte le organizzazioni possano incontrarsi e dibattere sui diversi temi, non senza qualche discrasia di vedute. Il forum, finanziato dalla provincia di Firenze è un organo di partecipazione non istituzionale che rappresenta i cittadini stranieri, eletti democraticamente tramite elezioni – 11 donne e 6 uomini si sono candidati e alla fine sono stati eletti 8 donne e 3 uomini, tra cui Sofia, arrivata quarta e che è diventata delegata – e che affonda le sue radici in valori e principi quali la legalità, il rispetto, la solidarietà, il volontariato. C'è voglia di partecipazione attiva, di rappresentanza, di voler contribuire al futuro e alle decisioni del Paese, di voler “governare” e non solo essere governati, tra i cittadini stranieri che vivono, lavorano e fanno figli qui. L'intervento, emozionato ma appassionato, di Sofia si sposta poi sulla questione dei bambini, che non possono e non dovrebbero subire questo divario identitario e culturale dato che non possono sentirsi né pienamente italiani né stranieri.
A prendere la parola è poi Mamadou Sall, segretario generale dell'associazione dei senegalesi, il cui primo pensiero va ai due ragazzi senegalesi uccisi a dicembre dello scorso anno, e alle due persone uccise recentemente a Milano, perché la violenza, verso chiunque sia diretta, indipendentemente dal colore della pelle, dal credo, dal sesso o dalle idee politiche, va sempre e comunque condannata e ripudiata. Mamadou si rammarica del fatto che campagne come quella di “l'Italia sono anch'io”, sono finite sotto silenzio ed è solo perché la Kyenge, in veste del suo ruolo istituzionale, ha riportato in auge questo tema che si ricomincia a parlarne, ridando nuova speranza. Non si può creare una società a due livelli: senza questi bambini che nascono in Italia il Paese invecchia, non progredisce, si ovatta e si isola, annientando ogni possibilità di sviluppo e di crescita, economica e culturale. In Italia, si infervora giustamente Sall, si ha paura di portare avanti e fino in fondo le idee, al momento in cui si potrebbe dare una svolta, prendere una decisione drastica (e che in realtà dovrebbe essere naturale e immediata), manca il coraggio, si lascia che tutto si annidi sul fondo, che tutto ridivenga polvere, fumo. Come bolle di sapone che poi scoppiano senza far rumore e si dissipano nell'aria, lasciando forse una lieve scia, ma sempre più invisibile. È inoltre paradossale e assurdo che gli italiani all'estero, che magari non parlano la nostra lingua, che probabilmente non son mai venuti nel nostro Paese o comunque non partecipano alla sua vita sociale abbiano il diritto di voto, e non ce l'abbiano coloro che vivono, lavorano, parlano l'italiano, pagano le tasse e crescono i figli qui, semplicemente perché il loro paese d'origine è un altro. Il diritto di voto non è una semplice partecipazione (più formale che altro) al voto ma è la consapevolezza del valore sostanziale e simbolico del prender parte ad esso, per potersi sentire garanti di un'uguaglianza di diritti e doveri che dovrebbe essere scontata. Non si tratta di fare una concessione, ma di riconoscere ciò di cui essi già godono, ciò di cui questi stranieri – o meglio, “nuovi italiani” (come oggi vengono chiamati) – sono già sono portatori. O si costruisce il futuro tutti assieme, o altrimenti non esiste futuro, se viene fagocitato da politiche o atteggiamenti di paura ed esclusione.
L'intervento conclusivo è di Samir Boulonjour, presidente del Consiglio Immigrazione di Calenzano, il quale dopo un caloroso saluto di solidarietà a Cecile Kyenge, ammonisce la sinistra italiana per non esser capace di impuntarsi su questioni importanti come quella della cittadinanza ai bambini nati in Italia e dell'estensione del diritto di voto. Nei posti che contano, dove le decisioni vengono prese, non si fa nulla. Samir sposta la riflessione anche sull'impatto psicologico che i figli dei migranti nati in Italia devono subire e che li segnerà a vita. Può causare una sorta di trauma, di shock su un piccolo, il fatto di dover ottenere (inizialmente tramite la famiglia) ogni due anni il permesso di soggiorno fino al compimento dei 18 anni. C'è il rischio che si sviluppi in lui una sorta di risentimento e di disgusto nei confronti dello Stato, incapace di garantirgli una vita normale, i diritti basilari di cui tutti gli altri godono e colpevole di farlo sentire “diverso” e discriminato in un paese che sentirebbe, a buon diritto, come suo. La sua dignità rischia di venire lesa, umiliata, mortificata senza legittima ragione. E negar loro il diritto sacrosanto di prender parte alle scelte del paese col proprio voto, significa strappar loro la possibilità di prender parte al futuro di quel pe, che non solo lo nega loro in questo modo, ma lo nega anche a sé stesso. Eppure questi bambini sono la forza del nostro Paese. Il nostro tesoro, in tutti i sensi. E non è che i mezzi manchino. Abbiamo tutto, a cominciare dalla nostra Costituzione, che basterebbe solo venisse applicata se ci fosse la volontà politica.
L'augurio è quello di poter partecipare il prossimo anno, a una nuova conferenza, in cui non si dibatta più su questi temi, ma in cui si possa finalmente gridare a cuore aperto: sì, ora “l'Italia sono (davvero) anch'io”.
Immagine tratta da: www.cittadinionline.it