Lunedì, 20 Maggio 2013 22:32

Sul diritto di cittadinanza per tutti #1

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Domenica 19 maggio, nell'ambito delle iniziative dell'edizione di Terra Futura 2013 si è tenuta anche l'assemblea dal titolo “Cinque milioni di migranti senza diritto di voto. Un deficit di democrazia da sanare”, svoltasi nello stand della Provincia di Firenze. Il tema ovviamente è molto attuale ed è stato riportato in auge proprio in questi giorni grazie alla proposta di legge della neo ministra dell'integrazione Cecile Kienge Kashetu che vorrebbe innanzitutto tramutare lo ius sanguinis in ius soli per tutti i bambini “stranieri” che nascono in Italia. La ministra purtroppo ha dovuto subire attacchi feroci, provenienti soprattutto dalle forze leghiste e razziste che siedono (di nuovo purtroppo) in Parlamento e infatti durante tutti gli interventi si è voluto sottolineare la solidarietà e la vicinanza a Cécile e alla sua proposta così ingiustificatamente dibattuta e avversata, solidarietà che si esprime chiaramente nel “sottotitolo” della conferenza: “Anch'io sono Cécile Kyenge”.

 

Proprio la Kyenge avrebbe dovuto esser presente a questa assemblea, ma a causa di impegni istituzionali ha potuto solamente inviare un messaggio, letto dal coordinatore Stefano Fusi, presidente della prima commissione consiliare della Provincia di Firenze. Dal messaggio inviato da Cécile emerge innanzitutto il suo rammarico per non aver potuto partecipare di persona all'iniziativa, proprio perché con le realtà organizzatrici dell'evento (dalla Provincia, alla Rete Primo Marzo..) ha da sempre condiviso battaglie e perseguito importanti obiettivi, come quello della campagna “L'Italia sono anch'io”, campagna promossa da 22 organizzazioni della società civile (tra cui la stessa rete del Primo Marzo e l'Arci) che ha raccolto circa 110 mila firme (ben oltre le 50 mila che erano necessarie) firme per ottenere due leggi di iniziativa popolare: una riforma del diritto di cittadinanza che possa garantire quest'ultima a tutti i bambini di genitori stranieri nati in Italia e una nuova norma che promuova il diritto elettorale amministrativo a tutti gli stranieri lavoratori presenti nel paese da cinque anni. La ministra si auspica inoltre che si possa creare un dialogo sempre più fruttuoso tra governo ed enti locali, tra cittadini (tutti) e amministrazioni, in modo da consentire una più larga e viva partecipazione, da parte di tutta la comunità alla vita politica e sociale senza discriminazioni, fratture o esclusioni. Stefano Fusi continua dicendo che già è sbagliato chiamare problema la questione politica, culturale e sociale dei migranti. I figli degli stranieri nati in Italia non sono affatto un “problema” bensì una ricchezza, di cui il paese stesso dovrebbe far tesoro per costruire un futuro migliore, da tutti i punti di vista, economico compreso. Quella che sarebbe un'opportunità per il Paese, sia in termini di valori (culturali, sociali, linguistici) sia in termini strettamente economici è stata trasformata in un problema a livello giuridico, politico, massmediatico.

Poter convivere e condividere con bambini che vengono da una famiglia di migranti è una risorsa anche per i nostri stessi figli, che possono arricchirsi grazie a un interscambio reciproco di lingua e cultura, favorendo l'apertura di orizzonti più ampi e più “internazionali”, oltre che un'apertura mentale e un approccio al civismo e al rispetto di tutti, che proprio in tenera età dovrebbe fondare le sue radici. Purtroppo il clima politico attuale, questo governo di “larghe intese” che ci è sceso dall'alto e che non volevamo, non sembra far pensare a “grandi rivoluzioni” da questo punto di vista, proprio perché vi sono forze all'interno del parlamento che si spingono verso la cultura, la discriminazione, il razzismo e l'intolleranza xenofoba (come abbiamo potuto ben vedere e ascoltare dall'aggressività verbale e offensiva abbattutasi sulla Kyenge da parte di personaggi politici come Maroni). Nonostante la poca fiducia nel governo attuale, e anzi, forse un po' rincuorati dalla presenza della neo-ministra dell'integrazione, prosegue Fusi, la battaglia deve continuare e anzitutto mirare al raggiungimento dei seguenti obiettivi: l'abrogazione della Bossi-Fini, o comunque la sua totale modifica; lo ius soli ai bambini nati in Italia; l'abrogazione del reato di clandestinità; la chiusura dei CIE; un processo di velocizzazione e semplificazione delle regolarizzazioni di cittadinanza; la ricerca di risorse che favoriscano l'inclusione e l'inte(g)razione; la garanzia del diritto di voto vero e proprio per gli stranieri che vivono e lavorano in questo paese. Principi e diritti basilari che dovrebbero venir riunificati in un testo unico, in una sorta di nuovo codice dell'immigrazione che è tutto da riscrivere.

A prendere la parola è poi Emilio Santoro, docente di Filosofia del diritto all'Università degli Studi di Firenze, che esordisce subito con una critica a Maroni, giustamente accusato di dire un'enorme fesseria quando dichiara che non c'è bisogno di dare la cittadinanza agli stranieri, dato che, a suo avviso, essi godono comunque di tutti gli altri diritti. Probabilmente Maroni non si rende conto che è proprio la cittadinanza che garantisce l'accesso a tutti gli altri diritti, a cominciare da quelli politici, come il diritto di voto. Proprio questo è ciò che può permettere una vera interazione (senza g, come direbbe Cecile) tra le persone e una loro partecipazione attiva, che consentirebbe un'effettiva parità contrattuale tra cittadini, laddove noi oggi invece abbiamo un atteggiamento per lo più paternalistico nei confronti dei migranti e non riconosciamo loro un'effettiva uguaglianza, non li trattiamo veramente da pari, a cominciare dal datore di lavoro o dai permessi di soggiorno. Santoro ripercorre poi alcune tappe che hanno affrontato questa questione, come il testo unico del '98 sui diritti e doveri dello straniero, il quale tra i suoi articoli prevedeva anche il diritto di voto amministrativo, oltre ad altri diritti che sancivano la dignità e l'uguaglianza del cittadino straniero, testo che però fu smantellato dall'allora ministro Livio Turco.

Da lì in poi si aprì una cocente discussione. Alcune regioni, tra cui la Toscana, sostengono che il diritto di voto si può promuovere anche solo (per cominciare) a livello regionale, tanto da prevederlo nel loro Statuto stesso, come recita l'articolo 3 del comma 6 dello Statuto della regione Toscana: “La regione promuove, nel rispetto dei principi costituzionali, l'estensione del diritto di voto agli immigrati”. Santoro si richiama proprio alla nostra Costituzione: il primo comma dell'articolo 3 afferma che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. E il comma 2 si spinge anche oltre, sostituendo quel soggetto “cittadini” con “lavoratori”: “E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” Quindi qui si prescinde anche dal diritto di cittadinanza: l'effettiva partecipazione e organizzazione della vita sociale si fa attraverso il diritto di voto ed è proprio la Repubblica che deve rimuovere qualsiasi ostacolo che impedisca ciò, deve garantire la possibilità di voto rimuovendo tutto ciò che impedisce ai lavoratori stranieri la possibilità di godere del diritto fondamentale del voto e di partecipare così, effettivamente alla vita politica del paese, proprio come hanno l'obbligo di iscrizione al servizio sanitario nazionale.

Anche Santoro evidenzia come i migranti siano una risorsa culturale ed economica essenziale. Dovremmo fare anche noi come ha fatto il Québec, che per mantenere la propria minoranza linguistica all'interno del Canada, ha stabilito che chiunque parli la lingua francese può entrarvi e stabilirvisi liberamente, senza alcun problema. Questo paese si è reso conto della risorsa (in questo caso linguistica, ma anche culturale) che cittadini non nati i Quebec potevano apportare al paese, anche per mantenere la sua identità linguistica. Se si pensa alle nostre scuole si vede come molte di essi abbiano classi miste (per esempio metà di bambini arabi e metà italiani), oppure come il 20% delle scuole siano composte da bambini cinesi, il che potrebbe costituire un terreno, un centro di scambio con la Cina. Addirittura Confindustria ha comprato una scuola francese a Roma e ha inserito come lingua obbligatoria, dal primo anno, il cinese. Si tratta di una scuola privata, la cui retta mensile è di ben 1000 euro, ma anche le scuole pubbliche dovrebbero prendere esempio e favorire l'interscambio linguistico e culturale ai propri alunni, che, proprio grazie a questo arricchimento, diventeranno la futura classe di élite e di dirigenza, in forza di una sorta di “doppia cultura e doppia lingua”. Soltanto rendendosi conto di questo, il Paese, ogni paese, può crescere, cominciando proprio dalla scuola e dall'integrazione e l'insegnamento di lingue diverse all'interno di questa, consapevole che i figli di oggi saranno gli adulti di domani.

Concluso l'appassionato e approfondito intervento di Santoro, la conferenza è proseguita con quello di Giuseppe Carovani, presidente quinta commissione consiliare della Provincia di Firenze ed ex sindaco di Calenzano. Carovani illustra l'impegno della Provincia di Firenze nel produrre forme di rappresentanza a partecipazione, come le consulte degli stranieri: nell'ultimo anno la provincia sta infatti cercando di allargare queste esperienze, sviluppatesi in alcuni comuni, a livello locale, creando momenti di condivisione e partecipazione alla vita sociale e pubblica. Nel 2003 è nato il primo Consiglio di stranieri a Calenzano – esempio seguito poi da vari comuni di Firenze come Empoli, Castel Fiorentino, Tavarnelle.. - che si è verificato essere un arricchimento per l'intera comunità. Carovani pone anche l'accento sul fatto che a livello di opinione comune e di mobilitazione ci si sta sensibilizzando e muovendo sempre di più, come dimostra per esempio l'iniziativa indetta per il prossimo 2 giugno e promossa da “l'Italia sono anch'io”, che vedrà conferire simbolicamente la cittadinanza a tutti i bambini nati qui. Questo tema però non troverò risposte e soluzioni concrete se alla mobilitazione e alla sensibilizzazione “del basso” non corrisponderà una vera volontà politica dall'“alto”. Non bisogna però lasciare la Kyenge sola a combattere questa battaglia e stringersi intorno a lei, tramite una pressione a livello territoriale e attraverso il costante impegno delle amministrazioni.

Anche Marco Mairaghi, sindaco di Pontassieve e rappresentante del forum “Nuovi italiani” di Campi Bisenzio, si inserisce sulla stessa lunghezza d'onda del precedente relatore. Sottolinea infatti come il ruolo del territorio sia determinante. Ciò è dimostrato dall'esperienza dei comuni che hanno esteso il diritto di voto e che hanno così predisposto le condizioni necessarie a un effettivo processo di integrazione, come il processo di reale integrazione che si è creato in Toscana. A prova di ciò il sindaco riporta proprio l'esperienza di Pontassieve, dove è stato creato un centro interculturale proprio accanto all'anagrafe. Secondo Mairaghi, dobbiamo dotarci di strumenti che permettano ai “nuovi cittadini” di pesare sulla vita sociale, che abbiano un peso sulla reale partecipazione politica. La consulta degli stranieri ad esempio può far sì che gli stranieri possano realmente contribuire alla vita sociale e pesare sul governo. I comuni e le regioni devono spingere attivamente verso un'azione legislativa che sblocchi una situazione discriminatoria e intollerante non più sostenibile. Oggi che a causa della crisi la “curva dei bisogni” (nei grafici di rendiconto economico che a fine mandato ogni sindaco deve presentare) è schizzata totalmente in alto, mentre quella delle risorse disponibili è precipitata abissalmente, dobbiamo renderci conto che la soluzione non può essere solo economica. La comunità deve essere protagonista, non si esce dalla crisi se non vengono rinnovati quei valori che tengono insieme la comunità stessa, valori come il rispetto, l'interazione, lo scambio, la compartecipazione e la condivisone. E ciò è possibile solo con chi ha voglia di futuro, voglia di (ri)costruire un futuro, per sé e per il Paese. Proprio per questo il contributo dei migranti è fondamentale, perché chi, più di loro può desiderare un futuro in quel luogo che essi stessi hanno scelto? Il loro contributo è il più diretto e lampante, perché ogni giorno cercano le condizioni migliori per crescere i propri figli e garantire loro (oltre che per sé stessi) un futuro che non sia un ridicolo residuo di passato, che non sia un limbo in cui giacere passivamente. Oggi noi abbiamo bisogni, non più desideri. È un fatto totalmente insolito e nuovo per molti di noi. Non abbiamo più un'idea di futuro, un desiderio per il domani, solo il bisogno di arrivare alla fine del mese, di trovare soldi per poter mangiare, solo misere speranze di poter aver anche domani il lavoro di oggi, ma non desideri, non progetti, non prospettive. Si vola a raso terra, non si è più capaci di guardare e voler volare (o almeno provare) in alto. Non vediamo la luce in fondo a questo oscuro tunnel. La strada è sbarrata. I vicoli sono tutti ciechi e noi possiamo solo arrancare, augurandosi solo di non inciampare e cadere definitivamente, perché poi le forze per rialzarsi sono sempre più dure da trovare. Però questa luce, conclude Mairaghi, la si può riaccendere, e il modo per farlo non è continuando a produrre come abbiamo fatto fino ad esso. La scappatoia non può essere solo economica (tra l'altro, continuando a mantenere lo stesso sistema economico e produttivo che ci ha ridotti in questo stato) ma la luce si può riaccendere se si rigenerano nuovi sistemi di relazioni, che le comunità hanno rotto autocondannandosi ad essere sempre più infelici. Il PIL non è indice o garante di felicità. C'è un'emergenza sociale – che si traduce in tensione sociale – non meno grave di quella economica, così come è grave la nostra incapacità a leggere i fenomeni sociali in cui ci imbattiamo, direttamente o attraverso le cronache. Il modo per ridare fiato al futuro, per ricostruirlo può avvenire solo attraverso la partecipazione di tutti, stranieri in primis, che forse più di tutti hanno questa voglia di futuro e che forse più di tutti la sanno far luccicare negli occhi.

Immagine tratta da: www.reset-italia.net

Ultima modifica il Lunedì, 20 Maggio 2013 23:03
Chiara Del Corona

Nata a Firenze nel 1988, sono una studentessa iscritta alla magistrale del corso di studi in scienze filosofiche. Mi sono sempre interessata ai temi della politica, ma inizialmente da semplice “spettatrice” (se escludiamo manifestazioni o partecipazioni a social forum), ma da quest’anno ho deciso, entrando a far parte dei GC, di dare un apporto più concreto a idee e battaglie che ritengo urgenti e importanti.

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