Ai domiciliari è finita Maria Rita Lorenzetti, per dieci anni governatrice democrati dell'Umbria. Ancora ieri presidente di Italferr, la società di ingegneria del gruppo Fs, nonostante che da gennaio sia coinvolta nell'indagine. Insieme a lei Furio Saraceno, presidente di Nodavia; Valerio Lombardi, tecnico Italferr; Alessandro Coletta, ex membro dell'Autorità di vigilanza sugli appalti pubblici; Aristodemo Busillo della Seli di Roma, gestore della gigantesca trivella con cui si dovrebbe realizzare il tunnel di sette chilometri nel cuore della città. Infine Gualtiero “Walter” Bellomo, membro della commissione Via (valutazione di impatto ambientale) del ministero dell'ambiente, per il quale la procura guidata da Giuseppe Quattrocchi aveva addirittura chiesto il carcere. E che, intercettato a gennaio, dice di essere stato tradito da Anna Finocchiaro nella sua ambizione di diventare deputato.
Il gip Pezzuti motiva i suoi provvedimenti con il pericolo di una reiterazione dei reati da parte degli indagati, accusati a vario titolo di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e alla truffa, gestione e traffico illecito di rifiuti, abuso d'ufficio e violazione delle norme paesaggistiche. Nell'ordinanza c'è anche il divieto di lavorare per due mesi ai tre dirigenti Coopsette, Alfio Lombardi, Maurizio Brioni e Marco Bonistalli; al presidente della Seli, Remo Grandori, e all'ad di Italferr, Renato Casale. Nessuna misura interdittiva, nonostante la richiesta dei pm Giulio Monferini e Gianni Tei, per l'attuale membro dell'Autorità di vigilanza sugli appalti pubblici Piero Calandra. Che sarà interrogato dal gip il 25 settembre.
All'avvocato Luciano Ghirga che la difende, Lorenzetti dice di “non sapersi immaginare quali comportamenti possano avere portato ad accuse tanto gravi”. Ricorrerà al tribunale del riesame. Ma lo stesso Ghirga annuncia: “Da domani non sarà più presidente di Italferr, per scadenza naturale”. Da parte sua il giudice Pezzuti, in 450 pagine, spiega che dalle intercettazioni del Ros dei carabinieri continua ad emergere “un articolato sistema corruttivo”, di cui l'ex governatrice umbra è una delle promotrici. “Soprattutto la Lorenzetti, con espressioni esplicite e intenti manifesti, fa chiaramente il gioco del general contractor (Nodavia, ndr) e del socio di maggioranza Coopsette che dovrebbero essere la sua controparte contrattuale, a cui deve far arrivare il massimo del profitto possibile, con totale pregiudizio del pubblico interesse”.
Nell'inchiesta sono stati rilevati interventi (di uomini del Pd, Bellomo in primis) sulla commissione Via del ministero, per ottenere che gli scarti di lavorazione della maxi-fresa fossero qualificati come innocui per abbattere i costi. In parallelo sulla Autorità di vigilanza sui lavori pubblici, per aggirare i limiti introdotti nel 2011 ai maggiori oneri che Nodavia asseriva di dover sopportare. E che al momento del sequestro avevano fatto salire il costo della grande opera da 550 a oltre 800 milioni. Somme enormi. Ma essenziali per non far fallire sia Nodavia che la stessa Coopsette. Infatti il 14 giugno scorso, nella domanda di concordato preventivo al tribunale fallimentare, gli avvocati di Nodavia hanno puntualizzato che è legata ai lavori della Tav. Il cui appalto, “per effetto di varianti formalizzate nel corso del rapporto, è stato ridefinito in oltre 770 milioni”. Di più: “Durante l'esecuzione dell'appalto Nodavia ha iscritto a vario titolo riserve per un ammontare, alla data del 31 dicembre 2012, per oltre 280 milioni”. Una richiesta che dopo le contestazioni della procura fiorentina era stata congelata dalla Italferr, di cui Lorenzetti continuava ad essere presidente, “in attesa di avere conferma della correttezza della procedura da parte dell'Autorità di vigilanza”.
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