Martedì, 14 Ottobre 2014 00:00

Nativi americani: sopravvivere nella memoria

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Articolo scritto da Chiara Del Corona e Lorenzo Palandri

Nell’ambito delle giornate dedicate alla Nazione Lakota, il 9 ottobre si è tenuta a Palazzo Medici Riccardi la conferenza dal titolo “Per un'Autostoria dei Primi Americani attraverso l’arte e la musica” presentata dalla Professoressa Naila Clerici che oltre ad insegnare Storia delle popolazioni indigeni persso L’università di Genova è anche presidente dell’associazione culturale, onlus,  Soconas Incomindios, che riunisce coloro che ha il fine di promuovere in Italia la conoscenza delle culture, della storia e delle problematiche attuali dei nativi americani e favorire “la comprensione di un diverso lontano per capire meglio la nostra realtà e le dinamiche della comunicazione interculturale”.

La professoressa ha esordito sottolineando il termine auto storia coniato da un indiano Sioux canadese col quale si intende un diverso modo di raccontare la storia seguendo il punto di vista dei nativi stessi. I quali  pur non avendo lasciato narrazioni scritte ci comunicano le proprie tradizioni e vicende storiche attraverso musica e arte. Proprio da queste inizia l’esposizione della Professoressa, che attraverso una raccolta di immagini figurativi ci ha portato all’interno del loro mondo così ricco e affascinante.

Gli artisti Lakota nelle loro opere, pur adattandosi alle tecniche moderne, mantengono quelli che sono le tradizioni e i significati simbolici presenti nelle immagini antiche dipinte su abiti, pelli e mantelli pervenuti fino ad oggi. Notiamo infatti ancora una estrema cura nel raffigurare abiti e manti che hanno una carica simbolica ancora molto sentita. Se nel passato il manto, attraverso i disegni dipinti su di esso, raccontava la storia personale dell’individuo che l’indossava, oggi lo vediamo assurgere un ruolo di narrazione collettiva in cui attraverso le immagini della propria storia il popolo intero si riconosce. 

Le prime  raffigurazioni in cui è presente la contaminazione fra arte tradizionale e contemporanea risalgono al periodo successivo alle grandi guerre indiane, quando i prigionieri indiani furono trasportati a Fort Marion. I guerrieri indigeni furono infatti strappati dalle loro terre desertiche e deportati in Florida alla fine dell’ottocento. Qui dentro le loro celle usando solo i fogli di calcolo da conto, iniziarono a sviluppare una forma d’arte denominata Ledger Art; tra loro il contributo più importante lo ha fornito il gruppo dei Five Kaiowas – quattro uomini e una donna - che oltre a dare testimonianza delle battaglie e delle sconfitte che li portarono alla prigionia (emblematica l’immagine del gruppo di prigionieri che dall’alto del forte osserva con sguardo nostalgico la libertà del campo perduto), ci trasportano nelle scene più intime e quotidiane di un passato che andava scomparendo. Tra esse si notano scene più realistiche mescolate con immagini più oniriche e fantastiche dai colori molto accesi e vivaci, come fossero quasi prelevati dai loro sogni: vediamo cavalli in corsa rossi e azzurri, danze, cacce al bisonte, cerimonie, tamburi e anche scene di corteggiamento in cui l’uomo suona il flauto muovendosi su un cavallo per conquistare la donna amata. 

Un artista contemporaneo Randy lee White ha mantenuto le tecniche tradizionali, dipingendo su tende o su abiti, cari candele di un messaggio contemporaneo. Afferma infatti di voler un’ arte che possa essere un ponte per costruire dei legami tra la nostra cultura e quella del suo popolo, mostrando anche l’aspetto più amaro ma con l’intento di fornirne una conoscenza più veritiera che non sia contaminata dai luoghi comuni e pregiudizi che in larga parte nutriamo verso di essa. Quindi compaiono messaggi di denuncia molto contemporanea tra cui anche messaggi di genere, che ricompaiono anche nella musica, un esempio tra molti è la canzone Shadow over Sisterland del cantautore e vincitore del premio Tenco John Trudell in cui la figura della donna è riproposta come creatrice dell’universo e legata alla Madre Terra:

“Mother Earth has godesse /

Is woman meets the god of men”.

La donna è molto presente anche nella mitologia, soprattutto nei miti che raccontano l’origine della terra, uno dei più suggestivi è quello degli Irochesi, in cui si narra che una donna incinta precipitò dal cielo ma la sua caduta fu interrotta dal guscio di una grande tartaruga che la sorresse; pian piano tutti gli animali prelevarono del terreno dal fondo del mare portandolo sulla tartaruga, la quale si viene così ad identificare con la terra che via via viene formata. Quando essa  fu abbastanza, la donna partorì e dette vita al genere umano. 

Attraverso l’arte vengono rappresentate tematiche legate alla spiritualità ben radicata  nel mondo dei nativi. Il momento della preghiera non è un rito e non si svolge dentro un’istituzione o un luogo chiuso, ma sempre a contatto con la natura, come anche la connessione con il Grande Spirito può instaurarsi tramite il fumo della pipa che vola verso l’alto o il rapporto con animali sacri come il bisonte, risorsa fondamentale (carne, pelli, armi, vestiario…), o l’aquila. Tutto ciò rientra in quella concezione secondo cui tutto è vivente e tutto è in comunicazione con gli spiriti. Un altro momento importante della vita del pueblo è la cerimonia del peyote, prima bandita e poi reintrodotta. 

Molto spesso gli artisti di origine indiana fanno riferimento alla religione cristiana come un’arma di conquista e di sottomissione. Nei testi delle canzoni di Floyd Westerman si può capire come essa possa aver inciso negativamente sulla percezione dei nativi,

Missionari /Missionari/ Andate e lasciateci solo/ Rendete il vostro Dio bianco ai vostri uomini bianchi/ Abbiamo già un nostro Dio

e in un altro testo si legge

Noi avevamo la terra e voi avevate la Bibbia, ora noi abbiamo la Bibbia e voi la nostra terra”.

Ma nei cantautori si legge non solo un attacco alla operazione di cristianizzazione forzata ma anche verso la violenta colonizzazione dell’uomo bianco; di questi temi John Trudell ha dato forte espressione nelle sue canzoni che sono un misto di sonorità tradizionali e moderne, molto potente il testo di Hanging from the Cross:

We weren’t lost and/ we didn’t need any book/ Then the Great Spirit/ met the great lie/ Indians are Jesus/ Hanging from the Cross…”.

Mentre Wade Fernandez gioca ironicamente con l’idea che Colombo non abbai scoperto niente di nuovo, cioè

Discovered Colombus lost/ Found in the back yard/ Oh the people’s paradise/ Beautiful people he wrote/ To the queen cross the ocean/ They’d made good slaves/ People of the land grew tired/ Of bringing him their gold/ So cut off their hand/ Who are you, Who am I my friend/ Discover how to hit this land/ Thruth is yours and mine/ America/ Discovering America/[…]/ Terrorist became Heroes/ On the movie screen” (Discovering America).

Emblematico da questo punto di vista anche l’apporto delle arti figurative, molto spesso viene usata la bandiera o luoghi simbolo degli Stati Uniti come allegoria dell’oppressione: le stelle sulla bandiera diventano gli aghi del fino spinato e le strisce sbarre di una cella con sullo sfondo i rittratti di alcuni indigeni, oppure un'enorme scritta Terrorism che campeggia su una scena di un inseguimento nella quale un cowboy a cavallo spara ad un nativo indifeso e sullo sfondo il disastro delle Twin Towers. Una frase ricorrente fra i eredi dei Lakota è “noi combattiamo il terrorismo da 500 anni”. 

Le opere vengono spesso usate per tramandare la memoria del popolo Lakota, uno degli episodi più drammatici è il cosidetto Cammino delle Lacrime: negli anni 30 dell’Ottocento, durante la presidenza Jackson venne promulgata una legge che prevedeva l’espropriazione delle terre dei nativi del Sud-Est per poterle coltivare e di conseguenza la deportazione dei loro abitanti. Questi avevo sviluppato uno stato indipendente, una propria cultura, una propria scrittura e un corpo di leggi proprie, ma tutto ciò non bastò per dissuadere gli Stati Uniti da questo crudele progetto, nonostante la mozione presentata al congresso dai loro rappresentanti legali. Gli autoctoni furono perciò costretti a lasciare le loro case e intraprendere un’estenuante odissea attraverso terre desolate coperte da una fitta coltre di neve; fu proprio il freddo acuminato invernale e la stanchezza ad uccidere molti di loro, il cui ricordo rimane indelebile attraverso la forza visiva di queste immagine che anziché limitarsi a recriminare, vogliono lanciare un messaggio di verità che porti a consapevolezza e dia la spinta per andare avanti. Altri episodi di eccidi che come quelli della battaglia di Little Bighorn vengono rappresentati esprimono la loro drammaticità non tanto attraverso scene violente quanto dai volti straziati di nativi ritratti o le parole di altre bellissime canzoni:

you can kill my body/ you can damn my soul/ for not believing in your god/[… ]/but we shall live again” (Roby Robertson)

o

Custer is died for your sins” (Wade Fernandez).

Un trauma che si ripercuote tutt’oggi nei discendenti dei native è stato quello del programma di acculturazione forzata che va di pari passo con la volontà di sterminio e che ne contiene la stessa prepotente mentalità di assoggettamento: i bambini venivano strappati dalle loro famiglie e rinchiusi in un collegio senza poter vedere i propri cari per moltissimi anni e subivano la forzata cancellazione della loro identità culturale attraverso il taglio dei capelli -simbolo tradizionale di legame con il Grande Spirito- o l’omologazione alimentare e del vestiario secondo i canoni occidentali. In un’installazione di un’artista indigena canadese ad esempio si vedono sedie con manette dentro un’aula scolastica e lo stesso concetto è ribadito dalle incisive parole del cantautore Floyd Westerman:

Take the child while he is supple/ spoil the mind and spare the rod/ go and tell the savage native/ that he must be christianized/ tell him, end his heaten worship/ and you will make him civilized/ shove your gospel, force your values/ down his throat until he’s raw/ and after he is crippled turn your back and lock the door.”

Nonostante gli eccidi, i massacri e la sofferenza così incisi nella storia di questo popolo il messaggio che ci arriva è molto spesso un messaggio per il futuro di pace e dignità. 

PEACE WITH DIGNITY

“From the four directions they have come

For the unborn generation they will run

For the trees and water for peace across the land

For peace with dignity they run

They run to honor and old ones who keep the traditions alive

And they run for the children and so the people will survive

[…]

An offering to the spirits from the heart

To sacrifice each day in to the dark

To pray for all creation that dwells upon the earth. “

(Mitch Walking Elk)

Immagine tratta liberamente da southwestindianarts.wordpress.com

Ultima modifica il Martedì, 14 Ottobre 2014 09:36
Beccai

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