“si tratti di cose o beni, non esposti alla pubblica fruizione in Italia, e la loro uscita sia richiesta, dietro pagamento, nei casi di beni in consegna allo Stato, alle Regioni e agli altri enti pubblici territoriali, di un corrispettivo, in attuazione di accordi culturali con istituzioni museali straniere, che ne garantiscano la corretta e adeguata conservazione e protezione e i impegnino ad esporli alla pubblica fruizione, in appositi spazi espositivi dedicati alla cultura italiana, per la durata stabilita negli accordi medesimi, che non può essere superiore a dieci anni, rinnovabili una sola volta.”
La notizia è stata accolta dal mondo culturale con reazioni contrastanti.
Per alcuni, i più scettici, si tratta solamente dell’ennesima mercificazione del patrimonio artistico, di un mero sfruttamento dei beni per rimpinguare le casse dello Stato. Per altri invece la modifica al codice rappresenta una grande occasione di visibilità proprio per quelle opere che fino ad oggi sono state “rinchiuse” e “nascoste” nei depositi.
In questo secondo caso il problema nasce dall'idea comune che si ha di deposito museale. Dai più infatti, dai non addetti ai lavori, il deposito è visto solo come un semplice magazzino, come cantina contenente opere d’arte coperte dalla polvere e inutilmente nascoste agli occhi del mondo.
Ma il deposito è ben altro. La conservazione e l’attenzione per le opere dei depositi è la stessa data alle opere esposte nelle sale aperte ai visitatori.
Lo stesso vale per l’inventariazione e la catalogazione; le opere infatti sono parte integrante della collezione museale poiché il nucleo nell'insieme documenta la storia del museo e anche se sono esposte ad un pubblico di massa solo in occasione di mostre - come scrisse Antonio Paolucci nel catalogo della prima esposizione su “i mai visti” tenutasi alle Reali Poste degli Uffizi tra il 2001 e il 2002 proprio con opere provenienti dai depositi del museo - “dove sta scritto che tutto deve essere fatto vedere a tutti ? aprire alla curiosità del pubblico “normale” i Depositi sarebbe una pericolosa oltre che inutile sciocchezza” questo perché “il Deposito è il luogo della ricerca, la palestra delle attribuzioni difficili”.
In conclusione il pericolo sta nel fatto che le opere affittate per un periodo che potrà essere addirittura lungo un ventennio rischi davvero di diventare un operazione puramente commerciale, un operazione di guadagno a scapito della ricerca, un guadagno che, possiamo affermare quasi con certezza, solo in minima parte sarà destinato alla conservazione e valorizzazione dei beni stessi.
(Bibliografia: I mai visti: capolavori dai depositi degli Uffizi, Catalogo della Mostra tenuta a Firenze nel 2001-2002, Firenze, Giunti, 2001)