Ma Springsteen, forse, da quel 2001 si sarà chiesto come sarebbe stato vivere quegli anni '90 con al suo fianco la band, chi lo ha aiutato, chi da quel album ha comunque trovato qualcosa di interessante. Spesso Bruce Springsteen ascolta, nel mentre dei suoi tour mondiali, le sue vecchie canzoni, a volte (forse meglio dire spesso) le suona live con la E Street Band.
Ora, tornando al presente con la DeLorian, possiamo parlare del nuovo album di Bruce Springsteen, High Hopes. Questo album vuole rispondere a quella domanda che, forse, il Boss si è fatto in questi anni.
Insieme alla sua E Street Band, ai suoi amici, ai suoi colleghi come Tom Morello (chitarrista dei Rage Against the Machine) Bruce Springsteen ha voluto ridare dignità e forza a canzoni che hanno saputo fare breccia nei live degli anni 2000, ma che non avevano ancora avuto una sistemazione razionale o ragionata nei suoi album da studio.
In questo album il folk rock si allontana per dare spazio ad un rock originario: pochi fiati e tanta chitarra e batteria. Confrontandolo con i precedenti lavori, High Hopes non ha un tema, non ha un motivo per così dire politico tranne quello di spiazzare la critica e il pubblico con un buon album di non inediti, in quanto al suo interno troviamo solo nuovi arrangiamenti di canzoni come The ghost of Tom Joad o cover come appunto High Hopes.
L’album è un crescendo di rock ed emozioni che ritornano: Si parte con High Hopes, cover anni '90 degli Havalinas, con sonorità potenti e unica traccia dove i fiati si possono distinguere benissimo. Segue un pezzo escluso dall’album The Rising: Harry’s place dove il sax di Clarence Clemons duetta con la chitarra di Tom Morello (quest’ultimo ha partecipato in 8 di 12 tracce); i 41 colpi che la polizia di New York sparò contro un giovane nero disarmato raccontata in American Skin prende il suo spazio in questo album salvo poi lasciarlo ad un rock classico, quello di Just like fire would, cover della band australiana Saints. Troviamo poi Down in the hole, dove il violino incontra il compianto organo suonato dall’indimenticabile Danny Federici, utilizzando una vecchia traccia incisa prima della sua scomparsa nel 2008. Con un coro gospel che recita “Raise Your Hand”, parte Heaven’s Wall, una canzone leggera dove la chitarra di Tom Morello sembra, però, un po’ cozzare allegramente. In Frankie fell in love una strana conversazione fra Einstein e Skakespeare vuole condurre l’ascoltatore ad toni ancora più leggeri, parlando di un semplice amore, attraverso musiche un po’ da rock country popolare. E ancora, troviamo una canzone con metafore quasi bibliche come This is your sword, dove il suono e l’arrangiamento si avvicinano molto a Wrecking Ball e dove l’apertura di cornamuse diventa mano a mano il sottofondo musicale per la E Street Band. Hunter of invisible game è un quasi inedito, dove archi e chitarre portano avanti un valzer rock, leggero ma allo stesso tempo profondo, che riesce ad entrare nel cuore e nelle cuffie. Ma il meglio viene con la canzone più nota: The ghost of Tom Joad. Nata con le tipiche tonalità minimaliste degli anni '90 e riscoperta con un animo più rock possibile, qui trova una versione più agguerrita, più rabbiosa, una rabbia ben rappresentata dalla chitarra di Tom Morello. Chitarra acustica, piano e organo con assolo di tromba finale invece accompagnano The Wall, un pezzo suonato solo in quattro occasioni e che racconta la guerra del Vietnam. High Hopes si conclude con un’ ultima cover, ben conosciuta da chi (uno su tutti, chi ora vi sta scrivendo questa recensione, ndr) ha partecipato come spettatore all’ultimo tour del Boss, in quanto lo stesso cantante l’ha dedicata ai tantissimi fan accorsi da tutto il mondo sotto il suo palco: “Dream baby dream” , in una versione meno cupa ma sempre toccante.
Un album che non offre nulla in più di quello che conosciamo già, ma dove si può tranquillamente affermare che questo riscoprire vecchie canzoni, riadattarle, modernizzarle (appena accennato in Wrecking Ball) divampa in tutta la sua bellezza in questo album. Un album che, come detto prima, pone nuovamente in luce dei quasi inediti o cover che, presi singolarmente possono non dire nulla mentre nell’insieme rientrano nello zenit artistico di Bruce Springsteen.