Venerdì, 19 Giugno 2015 00:00

Estetica dei ricordi annebbiati: documentario sugli Slowdive

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Estetica dei ricordi annebbiati: documentario sugli Slowdive
Recensione del documentario sull’influente gruppo inglese

C’è stata una breve ma intensa stagione musicale nel Regno Unito, schiacciata fra i fasti della new wave degli anni ottanta e la patina del brit-pop della decade successiva, a lungo rimasta piuttosto nell’ombra ma che nel tempo è stata profondamente recuperata e rivalutata: si tratta del movimento shoegaze, un genere interessato a mescolare il candore etereo del dream pop con il rumorismo riverberato della psichedelia.

Una delle più importanti magazine musicali, Pitchfork, ha da poco realizzato un interessante documentario (disponibile qua) lungo poco meno di un’ora su uno dei protagonisti di questa oscura ma eccitante scena musicale, ovvero gli Slowdive, formati a Reading nel 1989 dall’incontro artistico e sentimentale fra Rachel Goswell e Neil Halstead.
Un montaggio eccellente, unito alle lunghe interviste originali ai membri della band, al loro produttore e all’ingegnere del suono, contribuiscono a definire un documentario pregevole che rende giustizia a una delle più sottovalutate band inglesi degli anni novanta, a lungo assurdamente marginalizzata anche dalla critica alternativa della terra d’Albione.

Il documentario inquadra bene e ricostruisce in maniera pregevole l’atmosfera underground nella quale il gruppo si muoveva. Atmosfera segnata da musicisti schivi e malinconici, lontani dalle mode e dagli stereotipi machisti del rock, ma che hanno prodotto alcune dei lavori più influenti di sempre nell’ambito della musica alternativa.
La narrazione è affidata alle voci della band e del loro entourage. Si ripercorrono i momenti più salienti della loro carriera da quando firmano ancora molto giovani con la Creation, la casa discografica che aveva messo sotto la sua ala protettrice tutti i principali gruppi della scena shoegaze (Ride, My Bloody Valentine, Jesus and Mary Chain), alla produzione del loro primo album Just For a Day (1991), uno dei dischi più influenti di tutto il movimento e pregevole esempio di pop riverberato e sfuggente, purtroppo poco fortunato dal punto di vista delle vendite e del giudizio della critica dell’epoca, che lo rivaluterà con molto e colpevole ritardo.

Non andrà meglio a quello che è considerato (a posteriori) il capolavoro della band: il loro secondo album Souvlaki (1993), apice stilistico degli Slowdive e quadratura del cerchio della loro ricerca sonora. Proprio su questa pietra miliare del rok alternativo britannico, si focalizza il documentario che ne ripercorre la lunghissima gestazione (la cura dei particolari nella produzione in studio è tipica dello shoegaze). Si tratta di un album rarefatto e soffice con molte meno increspature chitarristiche rispetto all’esordio, un trionfo di suoni malinconici distanti e dilatati, dolci e sincopati. Una luminosissima raccolta di ricordi adolescenziali che abbandona la logica del wall of sound per focalizzarsi nel far brillare di luce mistica ogni composizione.
Nell’album figura anche la partecipazione di Brain Eno che produce due delle tracce. Fra gli aneddoti più divertenti del documentario c’è proprio l’imbarazzante incontro fra Neil Haelstad col grande Maestro inglese: il leader degli Slowdive ricorda di aver posto a Eno con una certa insistenza una serie di domande che riguardavano David Bowie, perché pensava che fosse famoso solo per aver prodotto gli album di quest’ultimo, senza avere la minima idea che Eno fosse unanimemente considerato non solo un produttore ma soprattutto uno dei più grandi compositori viventi nonché l’inventore di vari generi avanguardistici come l’ambient e la musica discreta.

Nonostante il risultato finale di Souvlaki fosse eccellente, anche per il contributo di Eno, l’ennesimo flop di vendite, proprio nel periodo in cui comincia a emergere la maggior frivolezza ed immediatezza del brit pop (i primi furono i Suede ma ben presto arriveranno anche Stone Roses, Oasis e Blur), porterà la band allo scioglimento dopo un altro buon lavoro (Pigmalion, 1995).

La reunion del gruppo del 2014 testimonia come nel frattempo il giudizio storico e artistico nei confronti di questa band sia cambiato notevolmente: se raramente i concerti degli Slowdive vedevano attendervi più di mille persone, oggi il gruppo è chiamato a suonare nei più prestigiosi festival musicali mondiali, davanti a folle immense che inneggiano a loro e al loro grande contributo per il rock britannico. La loro musica ha superato la prova del tempo e se certi fenomeni da baraccone dell’epoca hanno dimostrato di essere una moda effimera, gli Slowdive hanno dimostrato di essere dei grandi artisti.

Ultima modifica il Giovedì, 18 Giugno 2015 12:47
Alessandro Zabban

Nato nel 1988 a Firenze, laureato in sociologia. Interessi legati in particolare alla filosofia sociale, alla politica e all'arte in tutte le sue forme.

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