Giovedì, 26 Ottobre 2017 00:00

Il pop del 2017: guida ai migliori dischi pop usciti quest'anno

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Il pop del 2017
Guida ai migliori dischi pop usciti quest'anno

Il pop non conosce crisi e si conferma vitale anche nel 2017. Codificato in una miriade di sottogeneri diversi, offre un ampio ventaglio di musicisti accomunati dall'amore per la melodia ma divisi sul modo di approcciarla e restituirla. L'eterogeneità degli stili e delle emozioni che veicola, la rendono un genere virtualmente universale. Dalle grandi produzioni mainstream fino al minimalismo indie in bassa in fedeltà, dall'esuberanza artistoide dei dandy all'intimismo introverso del pop da camera, dall'ingenua purezza nostalgica del twee-pop alle atmosfere soffuse e sospese del dream-pop, siamo in presenza di una galassia eterogenea e dai confini incerti sotto la cui etichetta si muovono tanto i più biechi obiettivi economici quanto le più disinteressate velleità artistiche. Accantonata per sempre la fallace equazione pop = commerciale, dal vaso di pandora oramai scoperchiato di questo genere continuano a uscire mostri ma anche qualche meraviglia. Quella che segue è una breve disamina su quello che l'Autore reputa il miglior pop uscito finora quest'anno.

Decadentisti e mistici digitali

Baustelle - L'Amore e la Violenza: L'ultimo disco dei Baustelle segna un ritorno alle origini, a quel synth pop sporco, appiccicoso, degenerato e morboso che li aveva portati alla ribalta su album che sono già dei classici della musica pop italiana come Sussidiario Illustrato della Giovinezza (2000) e La Moda del Lento (2003). Abbandonate dunque le ambizioni orchestrali degli ultimi lavori, i Baustelle tornano agli anni ottanta convergendo su sonorità che metterebbero d'accordo Depeche Mode e Battiato, sempre impreziosite dai testi decadenti e colti di Bianconi. Il lato A vede un gruppo in grande spolvero in grado di mettere in fila instant classics memorabili come Amanda Lear con la sua estetica cyberpunk, il trascinante inno generazionale Betty e il contro-manifesto desolante di Eurofestival. Peccato che la seconda parte del disco costituisca una rottura stilistica netta e allo stesso tempo un calo qualitativo palese, fra sperimentalismi non del tutto riusciti ("Basso e Batteria") e pezzi sulla scia di De André non brutti ma semplicemente fuori luogo ("Lepidoptera" e "Ragazzina"). Disco che non riesce a esprimere tutto il suo potenziale ma in grado, a tratti, di esaltare. Voto: 7/10

Cavegreen - Vita Lucida: Synth pop in salsa esoterica è la prima definizione che viene in mente ascoltando il side project Cavegreen della sempre troppo sottovalutata Eleanor Murray insieme al paroliere e fotografo GianLuca Bucci. In queste composizioni elettroniche che privilegiano le atmosfere piuttosto che il ritmo troviamo tanto le velleità liriche degli Austra quanto la fascinazione per il gotico e l'occulto di Bat For Lashes ma con un forte richiamo verso una peculiare dimensione panteistica. Sullo sfondo, una natura misteriosa e portentosa, restituita con bizzarri effetti ambient, è l'elemento che lega tutti i componimenti e conferisce coerenza interna all'album. Disco fascinoso e visionario. Voto: 7-/10

Cinguettii dal sottosuolo

Alvvays – Antisocialites: Dopo l’eccellente esordio del 2014, i canadesi Alvvays di base a Toronto ma provenienti dalla remota Nova Scotia, si riconfermano fra i migliori gruppi indie pop in circolazione con Antisocialites, pregevole sophomore album che mantiene intatta la freschezza originaria e aggiunge una produzione più pulita e degli arrangiamenti più ricercati. C’è personalità e visione d’insieme ma soprattutto una capacità di comprendere e manipolare le strutture di un genere, piuttosto che semplicemente riprodurne i cliché. La perfezione tirata a lucido di “Dreams Tonite” e la commovente “Forget About Life” sono così coinvolgenti da rischiare di mettere nell’ombra quelli che sono i veri capolavori del disco, ovvero le stratificazioni chitarristiche di “In Undertow”, l’incedere pulsante dell’esaltante anthem “Plimsoll Punks”, il loop frenetico di “Lollipop” e gli stravaganti policromismi di “Saved by a Waif”, tutti almeno una spanna sopra rispetto alla media dell’indie pop degli ultimi anni. Forse avrebbero potuto osare qualcosa in più, ma è l’unico appunto a un album davvero trascinante. Voto: 8/10

Luxemburg Signal - Blue Field: Sorprendente secondo album per i misconosciuti Luxemburg Signal, nati dalle ceneri degli Aberdeen, band nel roster della leggendaria Sarah Records. Ed è proprio a partire dalle sonorità in voga negli anni novanta e diffuse dall'etichetta di Bristol che bisogna ricercare le origini stilistiche che hanno ispirato questo Blue Field, dalle tonalità color pastello, dalla dolcezza autunnale e dalla purezza totale. Un piccolo capolavoro senza una nota fuori posto, melodie impeccabili, soluzioni compositive che spaziano con disinvoltura dal candore twee pop dei Belle & Sebastian, alla tenera spensieratezza dei Sambassadeur, al noise pop nostalgico dei Dalgodos fino alla soffusa malinconia dei Radio Dept. Merita sicuramente più riconoscimento. Voto: 7,5/10

Di uomini e mostri sacri

Magnetic Fields - 50 Songs Memoir: Senza esagerare, i Magnetic Fields rappresentano forse il più grande gruppo indie pop statunitense degli anni novanta. Il loro stile imprevedibile ed eterogeneo, il loro approccio colto e sincero, le loro liriche ispirate e coinvolgenti, li hanno consacrati fra i mostri sacri del pop. Dopo dischi eccezionali come The Charm of The Highway Strip o Holiday e la monumentale pietra miliare 69 Love Songs, il genio di Stephen Merritt e soci si impegna in un altro ambizioso progetto: come suggerisce il titolo, 50 Songs Memoir raccoglie, divise in 5 dischi, cinquanta canzoni, una per ogni anno di vita di Merritt. Si tratta di un ricco caleidoscopio policromatico in cui lo stile e le atmosfere musicali rispecchiano quelle dei vari periodi dell'esperienza biografica dell'autore, fra entusiasmo giovanile, sogni irrealizzabili, depressioni, gioie inaspettate, in un susseguirsi di aneddoti sospesi fra malinconia e ironia ("London by Jetpack", "Blizzard of '78"), storie d'amore finite male("The Ex And I", "Lover's Lies"), tributi illustri ("Judy Garland", "Foxx and I"), piccole esperienze tragicomiche elevate a filosofia di vita ("How I FailedEthics", "Be True To Your Bar"). Il carattere enciclopedico rispecchia la legittima esigenza di un'artista in crisi di mezza età di fare un bilancio musical-esistenziale della suo percorso biografico. Ne risulta un disco molto intenso, pieno di gemme di pregevole fattura ma che non può sfuggire dal presentarsi come eccessivamente dispersivo. Voto: 7/10

Bats - The Deep Set: Dopo un'assenza di sei anni tornano anche i mitici Bats, capofila della scena alternative neozelandese fin da quando pubblicarono, nel 1987 il meraviglioso Daddy's Highway. Il nuovo The Deep Set si situa stilisticamente in continuità con i loro lavori precedenti, mostrando un gruppo sempre vitale ed ispirato. La forma è ancora una volta quella di un pop sporco e costruito su frequenti dissonanze psichedeliche ma che si avvale di una giocosa e ritmata chitarra jangle che conferisce una musicalità folk alle composizioni. Il suono resta un marchio di fabbrica, un intreccio sofisticato di collage rock statunitense e indie pop britannico di scuola C86 riletto alla luce delle peculiarità del Dandelin Sound. Robert Scott intesse sempre deliziose melodie agrodolci e stranianti per animi malinconici e fughe solitarie. Voto: 7-/10

Alla ricerca della purezza perduta

Girlpool - Powerplant: Before The World Was Big, raccolta di schizzi indie folk- pop da cameretta uscita nel 2015 e fondata su una rigorosa estetica lo-fi, era un gioiellino di purezza e immediatezza pop. A due anni di distanza le due californiane Girlpool tornano con un progetto ancora inspirato dalle stesse esigenze espressive ma con una nuova consapevolezza che le porta a dare una struttura più solida alle loro canzoni, ampliando lo spettro sonoro e introducendo quella batteria che risultava completamente assente nell'album precedente. I loro tratti caratteristici vengono così un po' meno, rendendo il loro suono meno eccentrico, ma la maggiore ricchezza delle canzoni compensa abbondantemente queste mancanze, regalando un disco dalle melodie memorabili. Voto: 7,5/10

Pains of Being Pure at Hearts - The Echo of Pleasure: Sempre rimasti fedeli a un alt-pop dei primi anni novanta, continuamente alla ricerca di una sintesi perfetta fra una melodia dolce e un suono sporco e rumoristico, i Pains of Being Pure at Heart hanno però anche mostrato di voler e saper cambiare. Sembra del resto passata una vita dagli zuccherosi anthem adolescenziali scolpiti fra muri di chitarre distorte raccolti sul loro strepitoso album d'esordio. A essere onesti, non sono mai riusciti a ritornare su quei livelli, ma tutti i loro lavori successivi si sono dimostrati comunque di valore. Non fa eccezione The Echo Of Pleasure che, smorzando i toni e dando maggior risalto alle testiere, propone nove canzone acqua e sapone, senza troppe pretese che puntano tutto sull'immediatezza e l'orecchiabilità. Obiettivo forse poco ambizioso, ma centrato in pieno. Voto: 7/10

Art pop per dandy del nuovo millennio

St. Vincent - MASSEDUCTION: Avevamo lasciato la talentuosa compositrice pop St. Vincent col suo omonimo album del 2014, apprezzato dalla critica, premiato con un Grammy e che si è aggiudicato il primo posto nella classifica dei migliori dischi dell'anno anche sulle pagine de Il Becco. Il nuovo MASSEDUCTION è oggetto di difficile decifrazione. Sembra che Annie Clark abbia portato alle estreme conseguenze il carattere estroso, glam, audace, upbeat e massimalista della sua musica. L'approccio è più aggressivo che mai, con i beat elettronici, di scuola electro-industrial, in primo piano a definire un ritmo pulsante e adrenalinico. Febbrile ed esibizionista, morboso e impulsivo, MASSSEDUCTION è anche capace di grandi passaggi poetico - contemplativi che rispecchiano però una profonda inquietudine. Si tratta del resto del disco più politico di St. Vincent in cui nevrosi e ossessioni maniacali si espandono a macchia d'olio in una società consumistica e narcisistica restituita musicalmente in tutta la sua schizofrenia. Siamo di fronte a un disco non del tutto messo a fuoco e un po' confusionario ma che rappresenta la logica evoluzione dell'estetica di St. Vincent, verso un ulteriore espansione del suo suono verso terreni industrial, funk e r'n'b. Nonostante non sia fra i suoi capolavori, è un altro gioiellino almeno dal punto di vista concettuale. Voto: 7/10

Perfume Genius - No Shape: Raggiunta una nuova consapevolezza sulla sua identità sessuale, prima fonte di turbamenti e angosce, ora esibita con fierezza, Mike Hadreas, in arte Perfume Genius, ha anche rivoluzionato le sue sonorità. Dai bozzetti intimistici e scarni degli esordi, al glam pop barocco ed estroso degli ultimi due album lo scarto è notevole. Ma laddove il precedente Too Bright era una sfacciata dichiarazione identitaria, No Shape è la presa d’atto di non potersi far richiudere in categorie precostruite. Ne esce un disco stimolante e denso che fa sfoggio di un campionario di strumenti enorme e che tradisce un’attenzione maniacale per gli arrangiamenti. Singoli come “Wreath”, “Die 4 you” e “Slip Away” confermano tutto il suo talento che però sulla distanza dell’intero disco affiora a sprazzi, impedendogli di realizzare quel capolavoro che sarebbe nelle sue corde. Voto: 7/10

Artigiani e cantori della leggerezza

Kayoko Yoshizawa -Yaneura Juu: Lontana dai riflettori e dal j-pop più commerciale, la giovane nipponica Kayoko Yoshizawa mostra una abilità compositiva e una ricerca melodica sconosciuta alla media della produzione giapponese in questo genere. Siamo in presenza di un pop sbarazzino e smaliziato come da tradizione j-pop ma che non nasconde le sue ambizioni cantautorali. Impreziosito da arrangiamenti davvero eleganti, con frequenti incursioni nel jazz e nella lounge e con una sezione di fiati e archi vibrante, Yaneura Juu contiene 10 piccole composizioni di pop da camera fresche e vivaci. Voto: 7/10

Jens Lekman - Life Will See You Now: Una delle ultime grandi personalità della sempre rigogliosa scena indie pop svedese, Jens Lekman si è fatto apprezzare sin dal 2004 per il suo cantautorato che sa muoversi con disinvoltura e leggerezza fra la grazia di Paul Simon, i toni agrodolci dei Magnetic Fields, l’estetica trasognante dei Belle & Sebastian, la raffinatezza di Burt Bacharach, la solennità nostalgica di Sufjan Stevens. Life Will See You Know è uno dei suoi album più briosi e delicati, una rinuncia ai barocchismi per un approccio diretto e sincero. Con ironia e leggerezza Jens Lekman usa la vita quotidiana per parlare di temi complessi come la depressione e la malattia. Il piglio quasi adolescenziale mostra un artista alla ricerca di una candore perduto nei meandri di una vita che può essere sopportata solo scherzandoci sopra. Voto: 7,5/10

Guida onirica per sonnambuli

Daughter – Music From Before The Storm: Da una colonna sonora per un videogioco (Life is Strange) era lecito aspettarsi qualche soluzione musicale diversa da parte dei Daughter che coi loro ottimi album precedenti ci avevano abituati a un pop-rock sognante e dimesso fin quasi allo sfinimento. E in effetti per rendere meno sospeso e più percussivo il sound ci si affida a una sezione ritmica di chiara derivazione post-rock mentre la suadente voce di Elena Tonra imprime tonalità meno rassegnate e desolanti. I ritmi si fanno decisamente cinematici sebbene si voglia giustamente mantenere la cifra stilistica che più rappresenta il marchio Daughter, ovvero le atmosfere oniriche e ovattate che continuano a risultare suggestive e raffinate. Esperimento riuscito. Voto: 7-/10

Cigarettes After Sex – Cigarettes After Sex: Uno dei dischi più attesi dell’anno, l’omonimo disco d'esordio dei Cigarettes After Sex è un altro lavoro all’insegna di un dream pop raffinato ed elegante. Ma laddove i Daughter costruiscono impalcature sonore avvolgenti e sfuggevoli, i Cigarettes After Sex creano atmosfera tramite un suono rallentato, sensuale, estetizzante. Laddove i Daughter prediligono il flusso ininterrotto, i Cigarettes After Sex sono dei maniaci delle pose plastiche e statiche. Queste dieci tracce malinconiche e notturne funzionano nella loro semplicità e nella strumentazione scarna che crea un inusuale senso di intimità che li avvicina a certo slow-core. Forse un po' ripetitivo, ma sicuramente molto evocativo, è un disco di classe che merita un ascolto attento. Voto: 7/10

Ultima modifica il Mercoledì, 25 Ottobre 2017 22:26
Alessandro Zabban

Nato nel 1988 a Firenze, laureato in sociologia. Interessi legati in particolare alla filosofia sociale, alla politica e all'arte in tutte le sue forme.

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