sentimenti e stati d’animo dell’essere umano contemporaneo. Difficile insomma stupire quando hai alle spalle capolavori del calibro di Ágætis Byrjun (1999) e () (2002). I timori di dover rispondere negativamente alle domande poste precedentemente, si erano concretizzati lo scorso anno quando uscì il deludente Valtari (2012), stanca ripetizione dei loro lavori migliori, revival sonnolento di un passato che non può tornare. A un anno di distanza, era francamente difficile aspettarsi un lavoro convincente. E invece il nuovo Kveikur sorprende, ripresenta un gruppo in una fase di ritrovata ispirazione e che soprattutto è riuscito a rinnovare il proprio suono, ha capito che se ormai il passato resta tale, tanto vale spingere sull’acceleratore dell’innovazione. A un primo ascolto si potrebbe suggerite che se Valtari guardava al versante autunnale/invernale e più classico del gruppo, Kveikur prende ispirazione dalla svolta primaverile/estiva di Takk (2005) e Með Suð Í Eyrum Við Spilum Endalaust (2008) regalando melodie più tradizionali, componimenti più ariosi che ritrovano il formato canzone (Isjaki, Stormur).
Tuttavia, questo primo giudizio di massima non deve farci dimenticare gli elementi specifici di novità che l’ultimo disco apporta alla loro produzione. Innanzitutto il fattore umorale: laddove gli album primaverili/estivi dei Sigur ros mostravano una maggiore spensieratezza e un vivido e festoso senso di gioia, Kleivur è oscuro e violento. Il cantato ancestrale di Jonsi rimette al centro quel senso di inquietudine e di universale senso di smarrimento che aveva reso i primi dischi dei Sigur ros così rappresentativi dei nostri tempi. Se Með… era una sagra di paese, Kleivur è una sfrenata e autistica festa notturna su una spiaggia solitaria.
Secondo, il fattore ritmico. Laddove nell’album del 2008 si ricorre ad elementi orchestrali, ad archi e tastiere per sostenere i ritmi serrati, qua i protagonisti sono i battiti secchi degli strumenti percussivi volti a scandire cadenze più o meno regolari (Hrafntinna, Stormur) e le chitarre, mai così muscolose, utilizzate per riprodurre un wall of sound dalle marcate derive rumoristiche (Brennisteinn, Rafstraumur)
Strettamente connesso con il precedente,va infine considerato l’uso dell’ elettronica che, nettamente più incisivo e disinvolto, flirtando con elementi tanto electro quanto dubstep, accentua il carattere ruvido del pop ancestrale di Kveikur e plasma due delle migliori composizioni dell’album: la iniziale Brennisteinn e la title track Kveikur.
Per tornare allora alle domande dell’incipit, si può forse rispondere in maniera positiva: se i Sigur ros continueranno a seguire questa strada di innovazione nella tradizione, cioè di proporre elementi di novità ma restando fedeli al loro unico e peculiare sound, sarà molto probabile che il loro nome sarà menzionato fra gli artisti più influenti e caratterizzanti (anche) di questo decennio.
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