Dal dopoguerra in poi, gruppi rock di varia natura si sono succeduti, senza però riscuotere particolare interesse o successo. Occorre aspettare la fine degli anni ottanta prima di trovare una band capace di varcare i confini nazionali e ad approdare nelle classifiche internazionali: si tratta dei Sugarcubes, il frutto più maturo dell’oscura scena new wave di Reykjavik. Uscita nel 1988, l’opera prima Life’s Too Good trainata dal perverso e schizzato singolo “Birthday”, entra nelle charts britanniche, suscitando un interesse generalizzato. È in particolare la voce stridula e angelica, sottile e glaciale della cantante Bjork ad affascinare gli amanti del rock alternativo che vedono nella sua persona una esotica musa in bilico fra tradizione e post-modernità. Sarà del resto proprio lei, una volta sciolto il gruppo e lanciata la sua carriera solista, a trascinare l’intero movimento musicale islandese verso la notorietà, diventando fin dagli esordi di Debut (1993) e Post (1995), e poi grazie al
capolavoro Homogenic (1997), una delle stelle più brillanti del rock alternativo internazionale. Elogiata per il suo stile unico ed eclettico, celebrata per la complessità di taluni capolavori di seducente bellezza come Hyper-Ballad, All Is Full of Love o Human Behaviour, Bjork ha dato un contributo decisivo nel far uscire dall’isolamento un intera scena nazionale. Ben presto, altri artisti del sottobosco islandese cominciano ad attirare le attenzioni del mercato discografico e della critica: i Gus Gus si fanno notare per il loro approccio megalomane e barocco a un’elettronica estremamente variegata (electro, techno e house) e contaminata (pop, funk, punk) mentre l’italo- islandese Emiliana Torrini dopo qualche album underground, si fa conoscere con Love in the Time of Science che si caratterizza per un trip hop che guarda ai classici Massive Attack, Portishead e ovviamente Bjork. Sempre nel 1999, esce il secondo e dirompente album dei Sigur Ros, quell’Ágætis Byrjun che reinventerà il post-rock riconcettualizzandolo attraverso coordinate ambient e dream pop. Nonostante la complessità e la lunghezza delle composizioni, l’album avrà un successo oltre ogni aspettativa. I Sigur ros toccano le corde più intime dell’animo umano e la voce eterea di Jonsi e le avvolgenti atmosfere tastieristiche conferiscono una tensione drammatica che ha pochi precedenti nella storia del rock. Ágætis byrjun è tutt’oggi considerato come uno dei più importanti album degli ultimi venti anni.
Ormai in Islanda c’è un intero movimento che si è messo a sperimentare con le formule e i generi più inconsueti del rock e dell’elettronica. La piena consacrazione arriva nel 2002: I Sigur Ros bissano il successo di Agaetis con un altro gioiello di desolante malinconia: l’indecifrabile “()”, mentre i Mùm pubblicano il loro capolavoro - oltre che uno degli apici della folktronica mondiale - il delizioso Finally We Are No One. Anche gli esordi al silicio dei Singapore Sling e la brillante formula post-metal dei Sólstafir cooperano alla crescita della nuova mecca della musica alternativa. Da quel momento, del resto, non si contano le case discografiche straniere che cominciano a investire su giovani talenti islandesi, né gli artisti stranieri che si spostano in Islanda alla ricerca di ispirazione e di collaborazioni proficue.
Questa effervescenza cultura ed artistica è il preludio all’emergere di una nuova generazione di artisti che cominceranno a farsi notare già a partire dal 2005, anno in cui i Sigur Ros pubblicano il loro ultimo capolavoro, Takk. Da quel momento in poi, inizieranno una parabola discendente, anche se pur sempre caratterizzata da alcuni buoni spunti. Altrettanto si può dire di Bjork che, sulle scene già dagli inizi anni novanta, pur continuando a pubblicare discreti lavori, sembra aver già dato tutto ciò che poteva alla storia della musica.
Se il 2005 è un anno di rottura, il 2006 può essere visto come l’anno della svolta, segnato dall’emergere in simultanea di una nuova schiera di artisti molto interconnessi tra di loro, che bazzicano gli stessi luoghi e centri culturali di Reykjavik e che hanno ampliato notevolmente lo spettro stilistico dell’offerta musicale islandese. I primi esordi di rilievo sono l’eponimo album a firma Mammút e Lab of Love degli Skakkamanage. L’esplosione definitiva avviene nel biennio successivo, segnato dall’esordio di tutti i principali protagonisti della nuova onda islandese: Rökkurró, FM Belfast, For a Minor Reflection, Hjaltaljin, Olafur Arnalds, Seabear e molti altri che verranno analizzati più dettagliatamente nel prossimo articolo. In particolare, sono piccoli inni generazionali come Underwear degli FM Belfast o Sleepdrunk Seasons degli Hjaltaljin a dare slancio a un movimento che poi si impreziosirà con i contributi di Of Monsters and Men, Samaris, Ásgeir, Sóley, Agent Fresco e altri.
Considerando che l’intera popolazione islandese raggiunge appena le 300,000 unità (il comune di Firenze e quello di Bologna ne contano rispettivamente 379,000 e 386,000), non può che non stupire ritrovare una tale densità di artisti e una tale qualità musicale concentrati su un territorio così spopolato. Tuttavia, nell’analizzare la musica islandese dell’ultima decade, occorre evitare di cadere nell’errore di considerare questa grande vivacità un miracolo. Aleggia in molte impostazioni, un certo feticismo che porta a pensare che qualsiasi artista della terra dei ghiacci sia, in quanto islandese, necessariamente un genio, come se la creatività dipendesse esclusivamente da fattori genetici. Si tratta di un atteggiamento che non porta lontano. È opportuno invece rimarcare i fattori socio-culturali che stanno dietro alla brillantezza della scena musicale e in particolare fattori quali l’opulenza generalizzata, che consente a moltissimi giovani di dedicare tempo e risorse alla musica, una imponente promozione statale del settore artistico, le infrastrutture all’avanguardia, la qualità delle accademie d’arte e delle scuole di musica e infine le dense relazioni sociali che si sono stabilite fra i vari artisti che hanno così reso possibile molte collaborazioni e cooperazioni, aumentando così la qualità media della scena e aiutando i giovani esordienti a crescere in fretta.
Reykjavik è ormai una delle capitali mondiali della musica indipendente. Nonostante si tenda a immaginare gli artisti islandesi alla stregua di pastori solitari che passano tutta la vita in una remota fattoria nel mezzo di un fiordo disabitato, in realtà la maggior parte di loro è nata nella capitale ed è proprio grazie al loro stile di vita urbano, che hanno la possibilità di accedere alla musica, avvicinarsi a nuovi stili, tessere relazioni. Non è un caso che tutti i musicisti più affermati vivano a Reykjavik o nei borghi immediatamente vicini.
La generazione di musicisti di Reykjavik che emerge a partire dal 2006 dispone dunque di una situazione vantaggiosa che permette alla qualità musicale di esprimersi. Nonostante questo, il livello artistico raggiunto da Bjork e Sigur Ros non è stato ancora pareggiato da nessuno dei nuovi protagonisti. Questa constatazione non deve però farci fare l’errore inverso rispetto a quello dell’approccio feticista, ovvero quello di leggere ogni nuovo gruppo islandese come una mera copia dei Sigur ros, di Bjork o dei Mùm. Del resto non è raro, purtroppo, leggere recensioni in cui un artista viene accostato ai suddetti gruppi in quanto islandese anche se musicalmente non ci incastra nulla.
Rispetto a queste due visioni estreme, che vanno a mio giudizio, rifiutate, occorre leggere la scena musicale islandese degli ultimi dieci anni nella sua specificità, senza farsi influenzare dalla presenza ingombrante dei maestri ma senza neppure lasciarsi ammaliare più del necessario dal presunto esotismo dei suoi protagonisti. Del resto, uno dei grandi meriti di questa scuola di artisti è proprio quello di aver di ampliato notevolmente lo spettro musicale in direzioni mai seguite dai gruppi della generazione precedente. Una scuola che, parafrasando il titolo del primo album degli Hjaltaljin, Sleepdrunk Seasons, soffre di Sleepdrunkness, uno stato che si verifica quando ci si sveglia da un lungo sonno (il lungo oblio ormai finito del rock islandese) in uno stato di confusione e disorientamento (quello dei nuovi artisti di fronte alla dirompente rottura apportata dagli apripista Sigur Ros e Bjork).
Indicati gli aspetti generali che compongono il movimento, nel prossimo articolo verrà proposta una rassegna dei migliori artisti che hanno caratterizzato la musica islandese negli ultimi dieci anni.