Il 14 febbraio mentre molte donne scendevano in piazza per il “One Billion Rising”, un flash mob internazionale contro il femminicidio, nei tg di tutto il mondo rimbalzava la notizia dell’omicidio di Reeva Steenkamp. Una giovane donna laureata in legge e testimonial per una campagna contro gli stupri, sempre a fianco delle donne per la difesa dei loro diritti; ma famosa soprattutto per la sua bellezza e per essere la fidanzata di Oscar Pistorius.
Se il mondo trema per una danza collettiva è possibile cambiare.
Il 14 febbraio 2013 le prime a danzare contro la violenza sono state le donne in Papua Nuova Guinea. Poi la danza ha attraversato l’Australia, l’Asia, l’Africa, l’Europa e l' America del Nord e del Sud. Ragazze, bambine, donne di ogni età, estrazione sociale, professione, tutte insieme per dire 'Stop the Violence', 'La violenza finisce ora' danzando sulle note di “Break the chain”.
Il 2 febbraio 1945 finisce la lunga attesa delle donne per l'esercizio del diritto di voto. Un percorso iniziato all'indomani dell'unificazione, nel 1861. I primi movimenti di emancipazione si collocano nei primi anni del 1900 ma è solo con l'abbattimento della dittatura fascista e la conquista della democrazia che il consiglio dei ministri estende il voto alle donne al compimento della maggiore età (all'epoca 21 anni). Le donne votano per la prima volta nel corso delle elezioni amministrative del marzo e aprile 1946 e, successivamente, per il referendum monarchia/repubblica, il 2 giugno 1946. Non voglio fare una retorica celebrazione, ma ricordare che il voto è il risultato della lotta di tante generazioni di donne e uomini, capace di cancellare un’ingiustizia. Un piccolo tassello nella lotta per l’emancipazione che ancora ci vede in trincea.
Ma torniamo al presente, a questi giorni duri di campagna elettorale di bombardamento mediatico, di overdose di talk, di colpi bassi senza esclusione, di promesse al vento, di facce di leader che si propongono e sovrappongono, di poteri forti che dispiegano tutti i mezzi a disposizione per mantenere l’egemonia sul sistema.
Per una volta non voglio fare una denuncia o sottolineare il continuo scarso interesse dai mass media nelle tematiche di genere e dei diritti, intensi in senso lato. Ma voglio raccontarvi la mia esperienza che può servire ad altri amministratori locali. Io mi ritrovo ad essere assessore in un momento difficile a livello economico: blocco assunzioni, patto di stabilità e spending review sono i temi cardine di questa mia esperienza.
Siamo creativi o politici? Beh, oggi a mio avviso entrambi. Ma a volte nelle scelte che fai prevale la parte politica e dunque ci sono delle scelte che gli amministratori o le amministratrici devono fare per mandare segnali e per far capire quali sono le priorità che uno intende portare avanti.
Questa riflessione mi è sorta oggi quando ho consegnato il primo “pacco mamma”. Cos’è il pacco mamma? Sono una serie di prodotti che il comune regala, attraverso la farmacia comunale, a tutte le neomamme. A creme e salviettine si unisce un regalo “civico”: la Costituzione Italiana. Il semplice pensiero ha un valore commerciale di 50 euro, ma è comunque un’attenzione che l’amministrazione verso i futuri genitori.
L’iniziativa prende spunto da un progetto europeo sulle buone pratiche a favore della conciliazione tra vita individuale, famigliare e lavorativa. Quindi si, qualcosa si può fare, senza nasconderci dietro a delle scuse, vere non lo metto in discussione, ma comunque scuse perché è l’ora di fare delle scelte politiche intelligenti.
La nostra è stata quella di capire la necessità di un sostegno alla genitorialità (n.b. genitorialità e non famiglia) e sul senso universale di maternità, che deve essere “a carico” della società, e non della singola donna.
Via Garibaldi, Viale San Martino, Corso Cavour, Via Principe Umberto, Piazza Mazzini, Viale Vittorio Emanuele, ecc. ecc. Le strade, le piazze, i giardini e i luoghi urbani in senso lato, delle nostre città brulicano di nomi altisonanti ma, solamente il 4% di questi appartiene a donne. A guardare le tante targhe presenti nelle nostre città siamo tristemente costretti ad affermare che nonostante la storia pulluli di tante illustri figure femminili l’evidente sessismo caratterizza l’attuale onomastica urbana. Ne parliamo con Maria Pia Ercolini, fondatrice di “Toponomastica femminile” gruppo nato per impostare ricerche e pubblicare dati con l’obiettivo di fare pressioni su gli enti locali al fine di far intitolare le prossime vie alle donne che si sono distinte sul territorio tentando di colmare la loro assenza nel Paese e poter riscoprire le molte biografie femminili cancellate dalla storia per promuovere, anche in questo modo, la parità tra donna e uomo.
1) Maria Pia Ercolini, studiosa di geografia e fondatrice del gruppo” Toponomastica femminile”, come nasce l’amore per la toponomastica?
Mi occupo di didattica di genere e studio itinerari turistico-culturali alla scoperta delle tracce lasciate dalle donne. È stata una mia alunna, durante un’uscita scolastica, a osservare l’assenza delle intitolazioni femminili. Da allora è nata la curiosità e la ricerca personale.
“L'asilo nido è una istituzione di carattere assistenziale ed educativo derivante da esigenze della società moderna: la madre, pur avendo il diritto di usufruire di periodi di assenza dal lavoro per il primo anno di vita del bambino, ha spesso difficoltà a provvedere all'assistenza del piccolo; qui si inserisce il nido, che le viene in aiuto accogliendo minori dai tre mesi ai 3 anni di età.” Questa è la definizione che viene fornita da wikipedia quando cerchiamo asilo nido.
In Italia questa istituzione nasce in ritardo rispetto al resto dell’Europa, soprattutto se ci riferiamo a quello pubblico. La legge che li istituisce è la 1044 del 1971, che definisce il nido come un servizio sociale di interesse pubblico, sottolineando così la sua funzione assistenzialistica e non educativa-sociale. Come possiamo notare, la nascita di questo servizio coincide con il momento del boom-economico, quando le donne entrano in maniera massiccia e significativa nel mondo del lavoro, e necessitano quindi di aiuti e di un welfare che permette loro di uscire di casa senza ulteriori preoccupazioni. Ed ecco perché il riferimento solo al carattere assistenziale, tipo parcheggio, dell’asilo.
In realtà le finalità di un nido sono altre: educative, affiancando i genitori nella crescita dei loro figli; sociali, offrendo ai bambini un luogo di socializzazione e di relazione con altri bambini loro coetanei; culturali, in quanto offrono un modello culturale che non opera discriminazioni nell’erogazione del servizio, e inoltre sono luoghi di promozione. Oggi, purtroppo, il valore sociale dell’asilo si sta smarrendo, dimenticandoci, così, la sua reale importanza.
È notizia di pochi giorni fa che le iscrizioni agli asili nido sono in netto calo anche nella fiorente e ridente Toscana. “Non abbiamo ancora dati definitivi sul fenomeno – ha dichiarato Stella Targetti, assessore regionale alla Pubblica Istruzione – ma questo ci dicono Comuni, soggetti del privato sociale e operatori del settore. Sono preoccupata per una tendenza che emerge e che, oltretutto, ha anche una ricaduta negativa sull’occupazione. La tendenza a iscrivere numeri sempre minori di bambini ai nidi è chiara ed è diretta conseguenza della grave situazione economica, che colpisce in particolare donne e giovani”.
Il nido diventa un lusso per un numero sempre maggiore di famiglie. Questa è la cartina di tornasole di una crisi che colpisce duro da farci regredire agli anni Quaranta, con le mamme relegante in casa a badare ai figli. Le mamme che hanno perso lavoro si dedicano alla cura della casa e dichi vi abita, figli inclusi; a volte si fa ricorso, per risparmiare, ai nonni, sempre se questi siano in pensione o comunque disponibili. Una fotografia doppiamente sconvolgente. Da un lato perché evidenzia le difficoltà economiche delle famiglie, dall’altro perché gli esperti concordano sull’importanza di far frequentare ai bambini il nido. Certo, i servizi di infanzia costano, ma tutti i Comuni attuano politiche di riduzioni ed esoneri, pur di incentivare la partecipazione dei più piccoli.
L’isolamento casalingo dei bambini comporta anche dei problemi di sviluppo delle loro capacità relazionali; i nonni, pur svolgendo perfettamente il loro ruolo, non si possono sostituire ad educatrici ed educatori preparati e formati, e soprattutto, non posso diventare coetanei dei loro nipoti, condividendo con loro giochi e passioni. La situazione è dunque allarmante, ma non dimentichiamoci anche dall’altro aspetto della medaglia, cioè la perdita di posti di lavoro. Il calo di iscrizioni, fa, ovviamente, diminuire il numero di addetti e assistenti dentro gli asili, e spesso, chi vi opera, sono donne e ragazze, diventando così una crisi ciclica e senza uno spiraglio di uscita. Non voglio concludere con i soliti discorsi e riflessioni, e per questa volta le lascio fare a voi, sono state giuste le politiche adottate dal governo Berlusconi prima, e dal governo Monti poi, per incentivare il lavoro femminile e giovanile?
Nel 2004, dopo anni di dibattiti e proposte di leggi, viene approvata la legge 40 sulle tecniche riproduttive: è una delle leggi più restrittive al mondo, sia per i criteri di accesso sia per le tecniche permesse. La legge 40 sceglie fin dal nome da che parte stare: Norme in materia di procreazione medicalmente assistita e la scelta terminologica veicola una posizione concettuale ben precisa. La procreazione è intrisa di religiosità e sarebbe preferibile parlare di riproduzione, parola che denota il processo che porta alla formazione di un individuo maturo sessualmente o la fecondazione dei gameti sessuali.
E non solo è quella più ristrettiva, è anche quella più contestata: cinque volte è finita sui banchi della Corte Costituzionale (nel 2005, due volte nel 2009 e una nel 2010 e infine a maggio 2012); se poi si considera anche i ricorsi per altre parti della legge siamo già a 17 bocciature, compresa quella di Strasburgo.
Ma questi continui e indispensabili attacchi non sono finiti.
Ieri (12 dicembre 2012) il Tribunale di Firenze ha rinviato alla Corte Costituzionale la decisione di pronunciarsi su due aspetti della legge.
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