Il primo punto è la possibilità di effettuare ricerca scientifica in alcuni embrioni non utilizzabili per la riproduzione, perché malati o in sovrannumero, che sarebbero comunque destinati alla distruzione. La richiesta di destinarli alla ricerca viene proprio dai generanti, che si appellano all’articolo 9 della Costituzione, nel quale si dice che lo Stato promuove la ricerca scientifica quando questa sia collegata alla tutela della salute individuale o collettiva. E non dimentichiamoci che in Italia questo genere di sperimentazione è possibile su embrioni provenienti dall’estero, come se esistessero embrioni di serie A e altri di serie B.
Il secondo aspetto riguarda il consenso informato; secondo la legge 40 una donna, dopo aver accettato di sottoporsi alla procreazione non può in nessun caso revocare il consenso al trattamento, neanche per motivi che possano mettere a repentaglio la stabilità della famiglia, nella quale il bambino dovrebbe nascere, come divorzio o decesso del marito, obbligando così la donna a ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza, altro triste capitolo nella sanità italiana, dove sempre più spesso assistiamo a reparti completamente “obiettori”.
Questa legge continua a sgretolarsi sotto i colpi di ricorsi e sentenze, mettendo così a nudo una triste verità: l’incapacità o la non volontà della politica italiana di formulare una legge chiara e precisa su un argomento così delicato e importante. E speriamo che una volta per tutte si possa far chiarezza sul concetto di embrione, che ancora è così aleatorio nella legislazione italiana, e per questo usato sia dall’una che dall’altra parte a vantaggio delle proprie tesi.