Giovedì, 13 Dicembre 2012 00:00

Il diritto delle donne al tribunale di Firenze

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Nel 2004, dopo anni di dibattiti e proposte di leggi, viene approvata la legge 40 sulle tecniche riproduttive: è una delle leggi più restrittive al mondo, sia per i criteri di accesso sia per le tecniche permesse. La legge 40 sceglie fin dal nome da che parte stare: Norme in materia di procreazione medicalmente assistita e la scelta terminologica veicola una posizione concettuale ben precisa. La procreazione è intrisa di religiosità e sarebbe preferibile parlare di riproduzione, parola che denota il processo che porta alla formazione di un individuo maturo sessualmente o la fecondazione dei gameti sessuali.

E non solo è quella più ristrettiva, è anche quella più contestata: cinque volte è finita sui banchi della Corte Costituzionale (nel 2005, due volte nel 2009 e una nel 2010 e infine a maggio 2012); se poi si considera anche i ricorsi per altre parti della legge siamo già a 17 bocciature, compresa quella di Strasburgo.

Ma questi continui e indispensabili attacchi non sono finiti.

Ieri (12 dicembre 2012) il Tribunale di Firenze ha rinviato alla Corte Costituzionale la decisione di pronunciarsi su due aspetti della legge.

Il primo punto è la possibilità di effettuare ricerca scientifica in alcuni embrioni non utilizzabili per la riproduzione, perché malati o in sovrannumero, che sarebbero comunque destinati alla distruzione. La richiesta di destinarli alla ricerca viene proprio dai generanti, che si appellano all’articolo 9 della Costituzione, nel quale si dice che lo Stato promuove la ricerca scientifica quando questa sia collegata alla tutela della salute individuale o collettiva. E non dimentichiamoci che in Italia questo genere di sperimentazione è possibile su embrioni provenienti dall’estero, come se esistessero embrioni di serie A e altri di serie B.

Il secondo aspetto riguarda il consenso informato; secondo la legge 40 una donna, dopo aver accettato di sottoporsi alla procreazione non può in nessun caso revocare il consenso al trattamento, neanche per motivi che possano mettere a repentaglio la stabilità della famiglia, nella quale il bambino dovrebbe nascere, come divorzio o decesso del marito, obbligando così la donna a ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza, altro triste capitolo nella sanità italiana, dove sempre più spesso assistiamo a reparti completamente “obiettori”.

Questa legge continua a sgretolarsi sotto i colpi di ricorsi e sentenze, mettendo così a nudo una triste verità: l’incapacità o la non volontà della politica italiana di formulare una legge chiara e precisa su un argomento così delicato e importante. E speriamo che una volta per tutte si possa far chiarezza sul concetto di embrione, che ancora è così aleatorio nella legislazione italiana, e per questo usato sia dall’una che dall’altra parte a vantaggio delle proprie tesi.

Ultima modifica il Lunedì, 17 Dicembre 2012 19:29
Erica Rampini

Sono nata ad Arezzo il 26 giugno 1987, dopo un diploma in lingue ho lasciato il mondo poliglotta per iscrivermi alla Facoltà di Scienze per i Beni Culturali, laureandomi nel lontano 2009 con una tesi su donne e Resistenza. Sono stata presidente dell'Udi aretina e attualmente sono membro nella Commissione Pari Opportunità della Provincia di Arezzo. Da qui si possono evincere le mie passioni: politica e diritti. Attualmente sono assessora nel Comune di Monte San Savino, ridente paesino in provincia di Arezzo

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