Venerdì, 02 Maggio 2014 00:00

House of Cards sotto il cielo di Londra

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Kevin Spacey ha un fascino innegabile nei panni di Frank Underwood, protagonista di House of Cards, che sta riscuotendo molto successo e interesse, anche in Italia, dove Sky ha deciso di puntare su questa serie per lanciare un nuovo canale (Sky Atlantic), affiancandola alla quarta stagione del Trono di Spade.

L’attrazione verso gli intrighi del potere non è solo merito degli attori o della regia, apprezzabili in tutte le prime cinque puntate trasmesse ad oggi. Quello che viene offerto al pubblico televisivo si consolida in un tessuto narrativo dato alle stampe per la prima volta nel 1989, in un contesto completamente diverso da quello di oggi.

Michael Dobbs, citando la biografia dal suo sito, è uno «che non ha mai avuto un vero e proprio lavoro - e ora è un membro della House of Lords come Lord Dobbs of Wylye, quindi probabilmente non lo avrà mai». Classe 1948, è stato un dirigente politico di spessore sotto i governi Thatcher, uscendo da quell’esperienza politica «con le ossa rotte», nonostante non sia venuto meno il suo giudizio positivo rispetto alla lady di ferro.

House of Cards è il primo volume di una trilogia che mai era stata tradotta in Italia, fino alla produzione della serie distribuita negli USA da Netfix (2013), che segue la trasposizione televisiva della BBC del 1990.

Fazi Editore ha avuto il buon gusto di non mettere in copertina il volto di Spacey, contribuendo a creare la giusta comprensione dell'eterogeneità del fenomeno. L’autore ha rimesso mano alla prima stesura del romanzo, ma garantisce che è stato solo per renderlo più incisivo e scorrevole, niente di più di qualche limatura.

Si tratta di una fortunata operazione commerciale di qualità, che mescola diversi registri di produzione culturale in modo efficace, rafforzando una direzione di interscambio tra libri e telecamere, che in altri casi si allarga anche al settore videoludico.

Nel caso specifico non c’è nessun problema rispetto al seguire il telefilm e la lettura del libro: si inseriscono in due universi distinti, con in comune poco più delle iniziali del protagonista. Frank Underwood per il piccolo schermo, Francis Urquhart l'originale su carta stampata. FU, valido anche per Fuck You.

Non ha molto senso cercare le differenze (o le corrispondenze) tra la storia scritta e quella sceneggiata. Da una parte i conservatori inglesi nell’immediato post Thatcher, dall’altra gli USA dell’era Obama.

Questa capacità di rendere valida la narrazione in contesti diversi ne attesta un ottimo livello qualitativo, che riesce a ridere dei meccanismi della politica senza svuotarli completamente di fascino.

L’eleganza del cinismo, l’umanità della corruzione, l’ipocrisia della morale: la politica è solo una pratica per raggiungere i propri scopi, come la guerra (secondo l'autore).

Dobbs dichiara di aver «iniziato dal personaggio, mentre la trama è arrivata dopo», quindi l’aspetto interessante è registrare la validità delle pratiche a decenni di distanza.

Anche perché a primi ministri che vengono messi in difficoltà dall’interno delle relative maggioranze e da manovre istituzionali che poco hanno a che fare con la partecipazione dei cittadini ci siamo quasi abituati, almeno in Italia.

«House of Cards non è un manuale d’istruzioni e neanche un documentario. È un racconto del lato oscuro, la politica ha sempre un lato oscuro perché ha a che fare con il potere. Il potere è un qualcosa per cui si lotta sempre. Ci sono politici con ottime intenzioni che cercano di migliorare il mondo per noi. [...] Tutti i grandi ideali, tutti i grandi principi non serviranno a nulla, perché saranno come una cattedrale nel deserto. E nessuno potrà ascoltarli.»

Europa, 9 aprile 2014, intervista di Stefania Carini

«Dietro ogni grande vicenda c’è un uomo, con le sue paure e le sue ango­sce che non pos­sono essere asso­lu­ta­mente dimen­ti­cate se si vuole dare un senso alle sue azioni. I poli­tici io li rac­conto così: attra­verso le loro osses­sioni, i loro desi­deri, le loro pul­sioni. Non per ciò che mostrano alla luce del sole, ma per quello che cer­cano di tenere ben nascosto»

il manifesto, 9 aprile 2014, intervista di Guido Caldiron

Un ammiratore della lady di ferro, che insieme a lei ha condiviso il governo del partito conservatore e di tutta l'Inghilterra, ha scritto un avvincente romanzo (in attesa che anche il resto della trilogia venga tradotto). Quasi 20 anni dopo il libro può circolare come novità editoriale, senza infastidire il lettore. L'autore è riuscito a ridargli vita in epoca contemporanea grazie a una delle produzioni televisive USA più interessanti degli ultimi anni.

Vale la pena perdersi nel fascino delle perversioni descritte, anche solo per ricordarci cosa non deve essere la politica e ricordare alla sinistra che una riflessione sul senso del potere non è mai da dare per scontata. Nel paese che ha dato i natali a Machiavelli e in cui lo stesso filosofo è ridotto a macchietta letteraria, un libro del genere è utile per ricordare che «il fine giustifica i mezzi» solo quando i mezzi qualificano il fine (anche se l'autore probabilmente non sarebbe d'accordo).

Immagine liberamente tratta da andersbirger.wordpress.com

Ultima modifica il Domenica, 28 Gennaio 2018 15:36
Dmitrij Palagi

Nato nel 1988 in Unione Sovietica, subito prima della caduta del Muro. Iscritto a Rifondazione dal 2006, subito prima della sconfitta de "la Sinistra l'Arcobaleno". Laureato in filosofia, un dottorato in corso di Studi Storici, una collaborazione attiva con la storica rivista dei macchinisti "ancora IN MARCIA".

«Vivere in un mondo senza evasione possibile dove non restava che battersi per una evasione impossibile» (Victor Serge)

 

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