Nell’ultimo capitolo della saga dell’Alligatore, L’amore del bandito, avevamo lasciato il nostro e i suoi soci (l’ex contrabbandiere Beniamino Rossini e l’ex attivista della sinistra extraparlamentare padovana Max La Memoria) alle prese con una guerra senza quartiere contro la mafia serba, per salvare la vita a Sylvie, l’amore franco-algerino di Rossini. Ma anche per salvare se stessi e per difendere la propria integrità in un mondo dove crimine e profitto, intrecciandosi, disegnano i tratti fondamentali di una società che calpesta le persone e la loro dignità.
La banda degli amanti riparte esattamente da quella guerra, i cui strascichi hanno portato l’Alligatore e i suoi compagni a separarsi momentaneamente, per tornare in azione per una nuova indagine commissionata da una ricca signora svizzera sulle tracce del suo amante, sparito un anno prima. Un lavoro che si trasforma subito in una nuova battaglia di amore e di dignità, condotta senza esclusioni di colpi che li riporta nel Veneto profondo ad affrontare Giorgio Pellegrini, protagonista di Arrivederci amore ciao e Alla fine di un giorno noioso. Ex militante di un piccolo gruppo di lotta armata, votato al profitto e al potere, disposto a qualunque nefandezza per accaparrarsi rispettabilità e denaro in un Paese sacrificato alla crudeltà sociale e alla volgarità, Pellegrini è il nemico naturale di Buratti, Rossini e Max La Memoria. Perché i nostri, pur consapevoli della sconfitta (e più o meno pacificati con essa) sono comunque decisi a raccogliere e vincere l’unica sfida oggi possibile: essere fedeli a se stessi. Costi quel che costi. E lo ribadiscono in ogni riga delle circa 200 pagine di La banda gli amanti: una corsa a perdifiato tra orrore e meraviglia, che fa battere forte il “cuore grande dei fuorilegge”.