Proprio in quei giorni e in quei luoghi si dipana la storia di “Il tempo dell’inquietudine”. Axel Steen, ispettore della Sezione omicidi, è l’unico poliziotto di Copenaghen ad abitare nel quartiere teatro dello sgombero e osserva dalla finestra gli scontri. Fuma hashish per lenire l’insonnia, ha paura di morire e non riesce a fare i conti con il naufragio del proprio matrimonio. Ed è a casa sua quando viene chiamato per indagare sulla morte di un uomo ucciso ai margini della rivolta, a pochi passi dalle auto incendiate e dalla pioggia di lacrimogeni e molotov. Un delitto che potrebbe esasperare gli animi già infuocati e che i capi della Polizia hanno interesse a gestire in maniera discreta. Troppo discreta. Un assassinio che innesca una danza che vede coinvolti apparati dello stato, giornalisti, servizi segreti, sottobosco criminale e note e meno note figure dell’antagonismo e della controcultura danesi. L’irrequieto e brusco ispettore si lancia così in una caccia al colpevole che lo porta a confrontarsi con intrighi e giochi di potere, amori logorati e possibili, fenomeni criminali che non conoscono frontiere e viaggiano alla velocità dell’economia globale. Per arrivare in fondo alla corsa con poco fiato e ancor meno certezze, ma stringendo in pugno una verità fatta di fragilità umane, dolore e solitudini.
Jesper Stein compone con una prosa asciutta e spigolosa una fotografia caotica ma realistica dei mondi sommersi della società danese e ci consegna con “Il tempo dell’inquietudine” un romanzo d’esordio notevole, in grado di imporsi e distinguersi nel mare magnum del noir nordeuropeo.