L’Italia raccontata da Evangelisti è una nazione attraversata da articolati mutamenti, tendenze complesse troppo spesso banalizzate sui libri di storia. Il proletariato diventato protagonista delle trasformazioni del Paese acquisisce sempre maggiore consapevolezza del conflitto che si trova a portare avanti per i propri diritti, sognando una società diversa ma ritrovandosi a combattere per questioni quotidiane estremamente concrete.
La parola krumiro che diventa crumiro, il definitivo mutamento delle campagne, lo sviluppo della classe operaia, i successi elettorali dei socialisti, i compromessi e le sconfitte degli stessi socialisti, le divisioni della sinistra italiana (con partiti che hanno “più correnti che iscritti”), il passaggio traumatico della prima guerra mondiale, l’avvento del fascismo: sono solo alcuni dei passaggi reali in cui si innesta la trama del romanzo.
Non è il rosso del sangue della famiglia Verardi che unisce le numerose pagine de Il Sole dell’Avvenire: è il rosso del proletariato, dalla camicia garibaldina alle bandiere portate in corteo dagli scioperanti. Non ci sono mai paragrafi didascalici che cercano di ridurre due decenni in schematici riassunti. È il vissuto di alcuni personaggi che alla politica arrivano per proprie esigenze, piuttosto che per passioni intellettuali.
Un pezzo di Italia (o meglio di proletariato) a cui sentirsi legati, che ha saputo lottare per l’emancipazione e ha vissuto più sconfitte che successi sul medio periodo, tradito da gruppi dirigenti purtroppo inadeguati.
Il tutto sotto forma di romanzo popolare, che non si preoccupa di partire da storie d’amore e da linguaggi non aulici. Farsi coinvolgere dalla lotta di classe in Emilia Romagna è l’antidoto più efficace di chi vorrebbe normalizzare la storia del paese. Ritrovarsi a cercare le strofe e le canzoni citate, per poi cantare con i personaggi, ridere delle loro uscite e raccontare le loro storie con gli amici intorno a una birra, quasi fossero parenti o vicini di cui ti hanno raccontato da piccolo: questo è il livello di familiarità che riesce a creare Valerio Evangelisti, in un romanzo secondo solo al volume precedente.
Non ci sono giudizi sui processi storici e neanche una propaganda propria degli intellettuali organici a contemporanee esperienze politiche. Il passato è qualcosa di cui appropriarsi, senza pretendere di poterlo piegare alle proprie esigenze, o tentare di ripeterlo. C’è la storia dei compagni di un tempo, delle loro vite, della dignità con cui affrontarono passaggi epocali. È la nostra storia, quella di cui andare orgogliosi, resistendo ai patetici tentativi di chi cerca di nobilitare la borghesia italiana del ‘900 o (peggio) il fascismo.
Alla fine del libro brindate a Canzio Verardi e al personaggio che più vi ha coinvolto. Fateli vivere nella vostra memoria e la lettura del romanzo sarà un’esperienza che saprà segnarvi.
“Il borghese ti predica la democrazia, ma, se non gli pieghi la testa una volta per sempre, prima o poi si vendica. In modi niente affatto democratici”.
(Consigliamo la lettura dell’intervista realizzata grazie alla disponibilità di Valerio Evangelisti, scaricabile cliccando qui)