I fuorilegge con un cuore di Carlotto portano avanti la loro crociata in un mondo incompatibile con i loro valori. L’ottavo capitolo dell’Alligatore ci salva dall’insopportabile fiume di inchiostro che quotidianamente denuncia politici corrotti e poveri cittadini per bene indifesi di fronte alla globalizzazione, mentre viene criminalizzata ogni forma di dissenso rispetto al sistema.
“Una nuova criminalità organizzata” che “rispecchia le logiche che dominano il mondo” è in campo. Lo scrittore di Padova ce la racconta ormai da anni, con un ritmo serrato, che non lascia tregua. Ogni caso dell’Alligatore può essere letto a parte o ci può impegnare in una lettura in serie di facile esaurimento: è un blues veloce, a tratti crudele, efficace nella sua eleganza, legato all’oscurità che guida i meccanismi della nostra società.
Beniamino Rossini è il gigante buono che lascia aperte le nostre speranze, Max la Memoria il migliore amico che ognuno di noi vorrebbe avere, Marco Buratti il punto di riferimento a cui vorremmo rivolgerci (suo malgrado) andandolo a trovare in una Cuccia ormai chiusa da diversi romanzi.
Per tutto l’oro del mondo aggiorna la fotografia sulla società italiana, innestandosi nel tessuto narrativo della serie con una storia di rapine e vendette. I “regolari” sono quelli con il cuore più oscuro, la cui sete di denaro e vendetta rischia di travolgere un bambino innocente. Per venti centesimi i tre cavalieri della verità cercheranno di fare giustizia (non quella dei tribunali, ovviamente).
Il codice d’onore della banda dell’Alligatore emerge con sempre maggiore chiarezza e ci sono alcune righe in cui tornano alla mente le parole di Gramsci sul valore della disciplina intesa come libero rispetto di regole condivise.
Noi eravamo rimasti tra i pochi uomini liberi a osservare scrupolosamente le regole. Era l’unico modo per tutelare i deboli e le vittime. E le coscienze.
I libri di Carlotto non si possono lasciare a metà. Tolgono ore di sonno, chiedono di essere riletti, perché i dettagli rischiano di perdersi, ma il ritmo non rallenta neanche quando li riprendi in mano.
Hanno il fascino del noir, con il grande pregio di non crogiolarsi nell’autocommiserazione di una letteratura di denuncia sterile. Il problema non sono i corrotti, è il sistema. Non resta che difendersi, nella speranza che ai margini della nostra realtà quotidiana ci sia un crociato disposto a difenderci nel momento in cui diventiamo scomodi ai meccanismi del potere. O forse non resta che fare dell’Alligatore un eroe dell’immaginario resistente, in grado di ridicolizzare le logiche che soffiano sull’ipocrita giustizialismo di un’Italia da ricostruire, dopo le sconfitte pesanti degli ultimi decenni.
Per tutto l’oro del mondo conferma i livelli narrativi e di inchiesta che segnano tutta la serie, stavolta con meno dettagli inquietanti rispetto alla psicologia umana ma insistendo in modo efficace sulla fondamentale distanza che separa il fuorilegge dal criminale.
Ovviamente a fine corsa rimane una sorta di vuoto, l’esigenza di avere per le mani il prossimo libro, anche perché questa volta Carlotto è stato più crudele del solito nel lasciare qualche punto interrogativo sul futuro dell’Alligatore.
Bad news is coming, canterebbe Luther Allison.