Mercoledì, 02 Gennaio 2019 00:00

Springsteen a Broadway tra musica e teatro

 Un esperimento unico che coniuga un disco live e un film Netflix che rilegge la vita del Boss

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Mercoledì, 12 Dicembre 2018 00:00

Mount Eerie, tre pezzi difficili

Quello di Phil Elverum è un nome noto agli amanti della bella musica, così come quello del suo progetto più recente, Mount Eerie. Delle sonorità lo-fi tra il sognante e l'evocativo che lo avevano reso un nome imprescindibile, però, ultimamente resta poco. In mezzo la tragedia di Geneviève Castrée, fumettista canadese francofona, musicista ed eccezionale esempio di artista a tutto tondo, moglie, collaboratrice e madre della figlia di Elverum, uccisa da un cancro a 35 anni. A lei, ed alla sua scomparsa, sono dedicati gli ultimi tre album di Mount Eerie: A Crow Looked At Me, Now Only ed il live album (after).

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Di arte, politica e cantieri navali: alcune considerazioni a seguito di The Last Ship

La convergenza tra arte e politica è da sempre un tema allo stesso tempo importante e rischioso. In diversi momenti storici, l'introduzione di temi politici in opere d'arte – siano esse visive, performative, o letterarie – è stata vista come un valore aggiunto o perfino una nobile missione, ma anche come un elemento controverso e, talvolta, passibile di censura.

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Giovedì, 05 Ottobre 2017 00:00

25 anni di un disco automatico, per la gente

25 anni di un disco automatico, per la gente

Nel mese di ottobre sono usciti tantissimi bei dischi che hanno rivoluzionato il rock. Ne ho scelti tre che vi terranno compagnia per tutto il mese. Lo sapete che per me le canzoni sono come delle istantanee soggettive, frutto di interpretazioni, di sogni e sensazioni.

I R.E.M., il cui nome deriva dalla fase più intensa del sogno, da sempre fanno parte della mia vita. Le loro canzoni mi hanno sempre provocato emozioni, stati d'animo e la voglia di andare a scoprire il significato delle cose.

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Pearl Jam: 26 anni di Ten, il disco di esordio

Nel 1991 avevo 5 anni. Ero all'ultimo anno di asilo e non sapevo neanche cosa fosse il rock. Io quell'anno lo rimembro in maniera frammentata, ma lo ricordo. Musicalmente parlando, mi manca assai. Nella mia inconsapevolezza di bambino, ascoltavo fugacemente pezzi che stavano cambiando la mia percezione e i miei gusti.

Pur non capendo un tubo, adoravo il mandolino (e la cantilena) di "Shiny Happy People" e "Losing my religion" dei R.E.M. che all'epoca uscirono con il loro album più importante (Out of time, vedi qui). Poi c'erano Bruce Springsteen con "Human Touch" (la cui titletrack per me è ormai una pietra miliare), "Nevermind" dei Nirvana, "Blood Sugar Sex Magic" dei Red Hot Chili Peppers, "Innuendo" dei Queen (l'album con "The show must go on") e "Achtung Baby" degli U2 (l'album di "One"). Solo per citarne alcuni. Ma loro li scoprii più avanti.

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Song to song ***1/2

(USA 2017)

Regia: Terrence MALICK

Cast: Natalie PORTMAN, Cate BLANCHETT, Ryan GOSLING, Rooney MARA, Michael FASSBENDER, Val KILMER, IGGY POP, Patti SMITH

Fotografia: Emmanuel LUBEZKI

Durata: 2h e 9 minuti circa

Distribuzione: Lucky Red (www.luckyred.it)

Uscita italiana: 10 Maggio 2017

Trailer italiano: youtu.be/PPzrZx68pK4


Il cinema di Terrence Malick rappresenta un concetto valido per ognuno di noi: ci si può sforzare, ma non si può piacere a tuttiÈ bene che questo assioma venga applicato nelle nostre vite, che ci piaccia o meno.

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Suicide: ristampato il primo disco dei geni della new wave

Non poteva nascere sotto circostanze più luttuose la ristampa dell'omonimo primo disco dei Suicide. Il capolavoro del duo vede infatti nuova luce pochi giorni prima di quel sedici luglio scorso, quando Alan Vega, all'età di 78 anni, viene trovato morto nel sonno. Dei suicide ora resta solo l'altra metà, il sempre attivo e prolifico Martin Rev. I suicide appartengono definitivamente al passato, ma la loro influenza perdura tutt'ora.

Il duo è stato uno dei progetti allo stesso tempo più sperimentali e più stimolanti della fine degli anni settanta. In un epoca di forti turbolenze e agitazioni musicali, con la travolgente comparsa del punk e i primi vagiti di quella rivoluzione epocale che fu la new wave, i Suicide hanno saputo cogliere lo spirito nichilista, nervoso, iconoclasta dell'epoca per contribuire in maniera determinante a definire le coordinate della musica del futuro, dando un impulso decisivo a generi come l'industrial, la techno e la new wave stessa.

Nell'anno della piena consacrazione della prima ondata del punk, con la pubblicazione di Nevermind the Bollocks dei Sex Pistols, dell'omonimo disco dei Clash e del devastante Rocket to Russia dei Ramones, tutti targati 1977, si muoveva in parallelo un movimento di musicisti più oscuri e sotterranei ma non meno ambiziosi e visionari. Epicentro di questa scuola di artisti che vedeva il punk come evento di rottura epocale ma già guardava oltre, era New York, dove vi gravitavano artisti estremamente raffinati ed incredibilmente avanti coi tempi. Oltre alla poetessa Patti Smith e all'irresistibile combo dei Blondie, si muovevano nella giungla urbana della Grande Mela, gravitando spesso attorno al locale CBGB, gruppi destinati a cambiare completamente il modo di fare e intendere la musica.

Fra questi, i Talking Heads, fin dal loro esordio discografico del 1977, presero il nichilismo punk e lo impregnarono di un concentrato di ritmi funky sbilenchi e ossessivi, di sonorità elettroniche plastiche e tese, per un rock psicotico e allucinato. Decisivo fu anche il contributo dei Television che su Marquee Moon, trasfigurarono il punk in un baccanale di ricchissime soluzioni chitarristiche anni sessanta, in un capolavoro di suoni nevrotici e viscerali. Non ultimi, proprio i Suicide, rappresentavano all'interno di questo calderone di creatività dirompente, la componente più estrema e la proposta più radicale dell'intera scena.

Il loro album d'esordio, sempre del 1977, era l'omonimo Suicide per l'etichetta indipendente Red Star, album che all'epoca riscosse una tiepida risposta di pubblico e critica ma che col passare degli anni ottenne tutto quel riconoscimento che merita. Si tratta di un disco fondato su una proposta musicale minimalista: tastiere (Rev) più voce (Vega) per un rock destrutturato e nichilista che li fece accostare alla componente più radicale, iconoclasta e autodistruttiva della new wave, ovvero quella No-Wave magistralmente immortalata nella compilation "No New York" prodotta da Brian Eno nel 1978.

Ma i Suicide non erano dei demolitori musicali fini a se stessi: nelle loro composizioni trapela piuttosto il tentativo di rappresentare tutto il disagio e i turbamenti di una generazione in subbuglio, schiacciata fra gli ultimi sogni idealisti di trasformazione sociale e l'alienazione individualista metropolitana, che stava risucchiando la contestazione in un oceano di edonismo e rassegnazione.

Suicide contiene sonorità mai sentite fino a quel momento. Tutte le tracce sono assalti frontali alla normalità e alla convenzione. Innocue ballate anni cinquanta, banali ritmi disco, vengono lacerati e rovesciati in un incubo perpetuo. I personaggi che popolano i testi di Vega e Rev sono fantasmi persi in qualche anfratto di un ospedale psichiatrico in abbandono. Tutto diventa un atroce e spasmodico lamento che non trova risposta. Come afferma il critico Piero Scaruffi, che considera Suicide uno dei dischi più importanti della storia del rock, "i loro brani sono deliri di suicidi volontari nei labirinti metropolitani, sono esercizi di auto-flagellazione che raggiungono un pathos paranoico attraverso una monolitica catalessi esistenziale".

Ossessivi e pungenti, minimali e martellanti, i synth di Rev si pongono al servizio del cantato spasmodico e affannoso di un Vega invasato. Le urla demoniache e i frenetici mantra vocali rendono il dittico iniziale "Ghost Rider"/"Rocket USA" un vero e proprio esercizio di perversione e angoscia. L'inquietudine domina anche gli episodi più rilassati e melodici, come la dolce "Cheree", una versione ansiogena e depravata di Sunday Morning dei Velvet Underground o la conclusiva "Che", un concentrato di pulsioni funeree. L'incubo continua con "Johnny", un rockabilly per menti schizzate su un giro di tastiere ipnotico e inquietante e con il desolante mantra psichedelico di "Girl", figlio di una tensione nervosa perpetua ed estenuante. L'angoscia raggiunge però il suo climax con la lacerante "Frankie Teardrop", storia di un operaio depauperato dai processi di deindustrializzazione che per disperazione finisce per sterminare la propria famiglia prima di rivolgere la medesima violenza contro se stesso. Gli oltre dieci minuti di questo raccapricciante canto di morte, che rende universale la deprivazione morale e materiale di un proletariato urbano inghiottito in un vortice di alienazione e smarrimento ("We're all Frankies/ We're all lying in hell", recita l'ultimo verso), rappresenta uno degli episodi più agghiaccianti di tutta la storia della musica rock.

Il contributo dei Suicide alla musica alternativa è difficilmente quantificabile. Le loro ossessioni e perversioni musicali hanno creato un fantasma destinato a riapparire in molte delle produzioni new wave successive e non solo (Joy Division, Killing Joke, Einstürzende Neubauten,ecc..). Il loro album d'esordio ha costruito delle atmosfere ansiogene e nervose destinate a fare scuola e ha rappresentato una delle più fedeli rappresentazioni del disagio e delle angosce di quel periodo storico.

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Fra post metal e folk- rock: il vincente sodalizio di Mark Kozelek con Jesu
recensione del progetto di collaborazione fra Jesu e Sun Kil Moon

Jesu/Sun Kil Moon è l'esito della collaborazione fra due artisti di grande spessore all'interno della scena indipendente. Da una parte, il polistrumentista Justin Broadrick, che arriva a delineare il progetto post-metal Jesu dopo una lunga e prolifera carriera nei Godflesh, dall'altra Mark Kozelek, uno dei più apprezzati cantautori americani contemporanei, dietro i leggendari Red House Painters e ora timoniere dei Sun Kil Moon.

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L’involucro vuoto degli anni ottanta: il ritorno dei Tame Impala con Currents

Nell’epoca del continuo riciclaggio e del perenne ripescaggio, la tendenza postmoderna al pastiche, al mettere insieme influenze e stili diversi nella speranza di ricavarne qualcosa di originale e diverso è ormai la triste normalità. Il fatto che il rock stia attraversando uno dei momenti più neri della sua storia rappresenta oramai un giudizio storico sempre più condiviso, nonostante le tante buone (ma raramente eccellenti) prove e uscite discografiche degli ultimi quindici anni. I voti esageratamente alti (da parte di alcune delle principali riviste musicali come Pitchfork, NME, Drawned in Sound) con cui è stato accolto l’ultimo disco degli australiani Tame Impala, l’attesissimo Currents, uscito a luglio di quest’anno, sembrano confermare la tendenza della critica internazionale ad aggrapparsi alle poche novità interessanti e a conferire a queste ultime improbabili poteri taumaturgici in grado di generare una qualche forma di nuova catarsi rock.

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Monsanto Years: il nuovo manifesto politico di Neil Young
Recensione dell’ultimo, impegnato album del cantautore canadese

Monsanto/Let our farmers grow what they want to grow” – “Monsanto Permetti ai nostri contadini di coltivare quello che vogliono”, recita il ritornello di A Rock Star Bucks A Coffee Shop. Non poteva essere più diretto il messaggio di Neil Young, nella sua sincera indignazione nei confronti di una delle multinazionali più controverse nell’ambito dell’industria alimentare.

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