L’Europa ha dichiarato, in maniera drastica, guerra alla plastica. Forse il materiale che più di altri ha rappresentato, dagli anni ’60 a oggi, l’idea del consumismo sfrenato e del benessere galoppante legato al boom economico. Perché? E soprattutto, sono obiettivi realistici oppure si riveleranno troppo ambiziosi per poterci arrivare? Le plastiche sono materiali polimerici che, grazie al ripetersi di un motivo chimico principale, acquisiscono robustezza, flessibilità e altre caratteristiche chimico-fisiche; possono essere naturali o artificiali, lineari o ramificati in due o tre dimensioni e contenere o meno additivi di vario tipo. La natura è ricca di esempi di polimeri, soprattutto se allarghiamo un po’ la nostra visione: dalla cellulosa delle piante alla chitina del guscio dei crostacei, entrambe composte da catene di zuccheri, dalle proteine, composte da aminoacidi, agli acidi nucleici (DNA e RNA).
Negli anni ’60 furono messe a punto le sintesi di due plastiche fondamentali: il polietilene e il polipropilene. Questi studi, rispettivamente di Ziegler e di Natta, li porteranno a vincere il Nobel per la Chimica nel 1963 (unico italiano a ricevere il premio)1. Le plastiche venivano studiate già da più di un secolo, tanto è che il primo vero polimero artificiale brevettato risale proprio agli anni ’20 del XX secolo, quando la DuPont ottimizzò la sintesi del PVC, il polivinilcloruro. Questa è la storia chimica della plastica, molto sommariamente. Perché quindi questa guerra senza quartiere ai polimeri?
La prima ragione è evidente. A differenza dei polimeri naturali, quelli artificiali non hanno meccanismi di degradazione intrinseci. Ciò causa il loro elevatissimo tempo di vita, sicuramente superiore al millennio2. La seconda motivazione riguarda il metodo con cui, artificialmente, si può distruggere una plastica. La combustione di materiali plastici produce le famigerate diossine, una classe di composti altamente cancerogeni che possono, intercalandosi nella doppia elica del DNA, indurre mutazioni e quindi provocare l’insorgenza di tumori. L’incenerimento misto con i rifiuti solidi urbani peggiora ancora più questa problematica, rendendo fondamentale la cultura della differenziazione a monte dello stoccaggio dei rifiuti.3
Terzo motivo. Dagli anni del boom economico a oggi, i problemi di cui sopra sono stati affrontati in più modi, sia alla fonte (sintesi di nuove materie plastiche), sia a valle (smaltimento dei rifiuti e riciclo), senza però mai mettere in discussione veramente il nodo centrale, cioè il legame tra la plastica e modello socio-economico di riferimento. Faccio un esempio: negli anni si è sentito parlare molto delle bioplastiche. Sapete cosa sono? Be’, sono materie plastiche ottenute o da fonti naturali o che possono essere riciclate facilmente. O l’una o l’altra. O entrambe le cose, chiaramente. Va tenuto presente però che le due opzioni non sono esattamente simmetriche: le plastiche ottenute da fonti naturali, tipo i biocarburanti, derivano da coltivazioni apposite di mais o altre piante e quindi entrano in competizione con l’agricoltura tradizionale (quella che fornisce il cibo!).
Quindi, per concludere, lo sforzo deve essere concentrato sulle plastiche biodegradabili o facilmente riciclabili, oltre che sulla diminuzione drastica del consumo totale di plastica. Ecco perché l’Unione Europea ha spinto il piede sull’acceleratore! Abbiamo sette anni per creare un sistema di raccolta differenziata del 90% basato su incentivi e premialità varie, un periodo in cui vedremo sparire dalle nostre vite piatti e stoviglie di plastica, cotton fioc e tutta una lunga serie di prodotti usa e getta che per decenni hanno rappresentato esattamente il modello di vita iperconsumistico in cui siamo immersi. E lo faremo non solo per il nostro continente, che già adesso è il più virtuoso, ma per l’intero pianeta!
Si, perché l’ecologia non conosce frontiere e, come diciamo spesso, la Terra è di tutti e tutti dobbiamo prendercene cura! Sapete che negli oceani sono presenti almeno cinque enormi isole di plastica galleggianti? Queste si formano grazie alle correnti che portano tutta la plastica gettata in mare nelle stesse zone; la più grande di queste si trova nel Pacifico del Nord e ha una superficie che oscilla tra quella della penisola iberica e quella degli Stati Uniti4. Insomma, la scienza, sicuramente strumento che ha creato le plastiche, può aiutare nella loro eliminazione, ma poco può fare se non cambiamo la nostra mentalità di consumatori. Provate a pensare quanta plastica producete ogni giorno e riflettete sul fatto che quel flacone, bicchiere, scatola non si distruggerà mai più. Si capisce facilmente che non potendolo bruciare le alternative sono solo stoccarlo per sempre o riciclarlo. Oppure, come ci dice l’Europa, iniziare drasticamente a usarne meno!