La riduzione dei miti socialisti e comunisti a vuoti simulacri è un'operazione che ha segnato gli ultimi decenni. Mondine in campo. Dinamiche e retoriche di un lavoro del Novecento offre l'occasione per indagare le ragioni di un'identità politica tanto forte nel passato, quanto debole nel presente. Troppo spesso si sorvola sul tema, appellandosi al Muro di Berlino e alla troppo citata teoria della "fine della storia".
Barbara Imbergamo, attiva in campo sociologico ma con specializzazioni in campo storico, anche a livello accademico, affronta un ambito specifico: le mondine tra la fine dell'Ottocento e i primi anni Sessanta. Lavoratrici consegnate agli onori delle celebrazioni nell'Italia del secondo dopoguerra, ma la cui realtà spesso è stata letta esclusivamente con gli occhi della narrazione politica strumentale. Un'indagine accurata delle condizioni sociali e dell'effettiva organizzazione politica della categoria porta alla comprensione di un fenomeno che ha poco a che vedere con il semplicistico mito dei campi, di una lavoratrice agraria speculare all'operaio metalmeccanico della Fiom (altro archetipo caro alla sinistra che fu).
La storia delle mondine si accompagna ad una fase politica complessa della giovane Italia, che in meno di un secolo ha attraversato la nascita della nazione, il susseguirsi di diversi governi, l'avvento della democrazia di massa, il primo conflitto mondiale, i decenni fascisti, la seconda guerra mondiale, la Guerra Fredda.
Tra i meriti del libro c'è l'attenzione all'archivio istituzionale, in grado di tracciare l'effettivo intervento dello Stato rispetto al tema agricolo e ai lavoratori del settore. Si evidenzia così l'operazione politica compiuta da Mussolini, in grado di attribuirsi meriti dei governi precedenti, compensando una scarsa attenzione sindacale e politica da parte delle Sinistre. Sarà il fascismo ad influenzare in modo significativo l'immagine delle mondine, ricercando la pacificazione della categoria, richiamando al contempo un passato rivoluzionario che sarà paradossalmente utile alla narrazione della Resistenza. Quest'ultima ha finito per travisare lo sciopero del 1931 e ridurre la biografia di Maria Margotti, due esempi per la cui comprensione si rimanda alla lettura del libro, ma entrambi utili a indicare quanto si possa travisare la Storia anche quando si è mossi dalle migliori intenzioni.
Nel confronto con le raccoglitrici di olive (che lavoravano in condizioni più arretrate e con meno diritti) emerge quanto l'immagine del proprio lavoro e la percezione della categoria all'interno della società abbia determinato la conquista dei diritti (quindi l'efficacia della lotta). Senza illusioni rispetto ad un'autosufficienza dell'ambito comunicativo, alla luce del fallimento degli scioperi che accompagnarono il definitivo declino del mestiere delle mondine. La comprensione del valore di uno strumento sta anche nel non confonderlo come un fine.
Nel confronto tra scioperi del primo Novecento e quelli degli anni Sessanta, dunque, si nota una variazione del registro narrativo, ma anche un rapporto inverso tra retorica ed effettive vittorie: al trionfo della battaglia per le otto ore di primo Novecento corrispondeva un racconto in cui le donne erano esseri irrazionali, molto femminili ma poco politici; mentre quando si parla delle deboli vittorie degli anni Sessanta le donne vengono descritte come protagoniste consapevoli del proprio ruolo e sindacalmente forti.
Qui si innesta il ruolo di una lettura maschile del processo storico, rispetto ai protagonisti della divulgazione scientifica e politica di buona parte del Novecento. La centralità delle donne raccontata da uomini, piuttosto che una storia di donne, rivendicata dalle stesse donne (riconoscendo un'eterogeneità tra situazioni soggettive che rifiuta anche ad un'appiattimento riduttivo di ogni differenza ad una lettura di genere).
Nel libro si guarda anche al ruolo delle organizzazioni che nascono per l'assistenza delle lavoratrici, sia sul piano degli interventi dello Stato che su quello dell'associazionismo (o del sindacalismo), oltre che sul rapporto tra questi due ambiti. Il diverso atteggiamento della Sinistra verso le pratiche sociali, i mutamenti che avvengono con l'avvio della Guerra Fredda. Da una parte la scelta di abbandonare modelli statunitensi per la comunicazione da parte di comunisti e socialisti, dall'altra il sostegno quasi esclusivo che i governi garantivano alle associazioni cattoliche.
Si tratta di una pubblicazione storica precisa e dettagliata, ricca di fonti e citazioni, oltre che in grado di attingere ad un nutrito apparato critico. Quello che emerge è un lavoro articolato, complesso, completo, di non agevole lettura divulgativa (anche se l'accesso non è proibitivo ed anzi si tratta di un testo obbligato per chi abbia voglia di interrogarsi sul chi siamo e dove andiamo, in quanto sinistra italiana). Forse il limite di Mondine in campo è l'aspettativa del potenziale lettore, stuzzicato nell'Introduzione rispetto ad un parallelo tra le mondine e le lavoratrici autonome del XXI secolo. La necessità di destrutturare una narrazione mitologica non può lasciare grande spazio a forzature interpretative, o a suggestioni politiche, che rimangono di competenza esclusiva del lettore.
La severa (e lodevole) precisione della ricostruzione storica adombra il ruolo dell'ideologia tra le categorie dei lavoratori. La necessità di narrare la vita reale delle protagoniste delle risaie, insistendo sul contesto in cui si trovarono individualità di donne realmente vissute, sacrifica il sole dell'avvenire che ha saputo comunque muovere sindacaliste e rivoluzionarie. Se i socialisti rivoluzionari dell'Emilia Romagna furono più un'eccezione che rappresentanti esemplificativi di una situazione generale, è pur vero che lotte reali si accompagnarono a rivendicazioni politiche da cui nacquero Camere del Lavoro, sindacati, partiti e movimenti in grado di costruire una narrazione efficace, seppure a tratti mitologica. Se ancora esistesse un'organizzazione di sinistra in grado di rivendicare anche solo un vuoto simulacro, si potrebbe condividere con maggiore facilità la necessità di non lasciare spazio ad un Sole mai sorto.
I successi della lotta di classe della categoria delle mondine non sono dimenticati o ignorati. Rimangono però innestati in una polemica a cui nessuna sinistra ideologizzata è purtroppo oggi in grado di replicare, forse proprio perché incapace di comprendere l'inevitabile artificiosità della narrazione su cui è andata a costruirsi alla fine dello scorso secolo.