Giovedì, 22 Dicembre 2016 00:00

Teutoburgo: la tomba del sogno di un Impero romano germanico

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Teutoburgo: la tomba del sogno di un Impero romano germanico

Un impero bruno e biondo, questo era il sogno di Ottaviano, dopo aver ricevuto dal Senato romano il titolo di Augusto (“degno di venerazione e di onore”) e successivamente la carica di Princeps (“primo cittadino”) nel 19 a.C. Dopo le guerre e conquiste repubblicane precedenti culminate nella grande conquista della Gallia con Giulio Cesare, si era diffuso nella Repubblica l’idea di un imperium senza fine, uno stato romano civilizzato in continua espansione, quello che Cicerone definiva “l’unico luogo degno al mondo in cui vivere”.

Questa azione di civilizzazione e conquista fu una reazione agli attacchi subiti nel passato dai popoli confinanti, oltre ovviamente all’eliminazione di potenziali concorrenti come lo fu Cartagine nel dominio sul Mediterraneo. Una importante azione di conquista del primo imperatore fu la stabilizzazione dei confini orientali dell’Impero, la definitiva sottomissione dell’arco alpino della Rezia e la conquista di Pannonia e Dalmazia. Augusto si fece promotore di numerose riforme nella Repubblica, che ne cambiarono completamente la fisionomia trasformandola in una entità territoriale vasta che noi conosciamo come Impero romano. Riformò l’amministrazione e la suddivisione delle province, oltre che dello stesso territorio italico, completando il processo di integrazione delle nuove colonie conquistate nei decenni passati quali Iberia e Gallia. Proprio l’integrazione di quest’ultima fu uno stimolo per Augusto riguardo l’azione che egli decise di intraprendere in Germania.

La Gallia divenne la provincia più produttiva dell’Impero, fornì numerosi ausiliari all’esercito romano addestrati secondo le tecniche militari delle legioni e quella che un tempo era una vasta regione popolata da bellicose tribù in conflitto tra loro (che spesso premevano sui confini romani) si trasformò in un’area civilizzata con una discreta rete stradale, nuovi insediamenti, rotte commerciali ecc. La provincia confinava appunto con i territori germanici, in cui il grande fiume Reno faceva da confine tra i territori romani e le impervie foreste germaniche. Le popolazioni germaniche negli anni precedenti si erano rese protagoniste di numerose incursioni nel territorio gallico, lo stesso Giulio Cesare nella sua campagna di conquista si scontrò con alcune tribù germaniche.

Il fondatore dell’Impero romano si convinse della necessità di includere quei territori considerati selvaggi e le popolazioni della Germania nell’Impero, non soltanto per una questione di sicurezza dei nuovi confini ma anche per il fascino suscitato da questi guerrieri considerati i principali avversari di Roma. Popolazioni seminomadi, che si spostavano in un territorio ostile fatto di cupe foreste e paludi, in cui agricoltura e pure siderurgia erano semisconosciute. Nessuna offerta quindi in termini di ricchezza materiale o bottino, quanto piuttosto la volontà di civilizzare e integrare queste popolazioni divise nell’Impero nello stesso modo in cui fu conquistata la Gallia, anche questa prima divisa in numerose tribù bellicose.

Nella percezione tramandatoci di Augusto, l’Urbe doveva coincidere con l’Orbe, il mondo delle terre emerse, in una vocazione civilizzatrice della civiltà romana. Nell’immaginario collettivo inoltre le popolazioni germaniche tribali erano considerate un pericolo per la stessa Roma: come scrisse Orazio, “Il barbaro vincitore si ergerà sulle ceneri dell’Urbe”, vi era una percezione forte di pericolo di queste popolazioni. Probabilmente frutto dell’esperienza delle invasioni passate nell’Italia settentrionale di Cimbri e Teutoni, oltre che della presa di Roma agli albori della Repubblica quando arrivarono i galli. Mentre con i Parti la politica estera di Augusto si mosse sui binari della diplomazia, percepito il loro regno come pari interlocutore dell’Impero e concorrente nella ambizione di dominio territoriale nel bacino mediterraneo, nei confronti delle popolazioni considerate barbariche dell’Impero andava portata avanti questa azione di conquista e di civilizzazione. I popoli germanici erano i principali protagonisti di questa azione, per farli diventare una preziosa risorsa dell’esercito romano e integrarli nel grande progetto imperiale che si andava delineando. Un progetto molto simile alle mire espansionistiche di un altro grande condottiero quale Alessandro Magno, con la differenza dell’abbandono di un sogno ellenistico quale un ponte tra la cultura occidentale e orientale ma un sogno integralmente romano che integrasse al suo interno le popolazioni confinanti. Imitando il suo padre adottivo, egli sognava per la Germania lo stesso destino della Gallia. Impegnò nella realizzazione di questo progetto i membri della sua famiglia, il comandante Druso e suo fratello Tiberio entrambi figli adottivi, che negli anni precedenti si erano coperti di gloria in Pannonia e Dalmazia. Dopo la morte di Druso, fu Tiberio a portare avanti l’invasione della Germania e la sottomissione delle sue tribù per fare del fiume Elba il confine della nuova provincia germanica. L’azione di conquista fu affidata a Publio Varo, generale che si era distinto in Siria e nella soppressione di una rivolta in Giudea. Nell’esercito di Varo vi era un comandante di origine germanica, Arminio, figlio del capo della tribù dei Cherusci: strappato come ostaggio alla famiglia in tenerà età, fu allevato ed educato a Roma come cittadino romano (onorificenza che gli fu concessa proprio nella campagna di Germania).

Nonostante i numerosi anni passati a Roma, l’educazione e l’assimilazione della cultura romana, egli organizzò con i principali capitribù germaniche una trappola mortale per Varo e le sue legioni proprio nella foresta di Teutoburgo, nel 9 d.C. Nonostante gli avvertimenti di Segeste, un altro capo germanico rivale del padre di Arminio, Varo si inoltrò in pieno territorio germanico guidato dal giovane ribelle e vi trovò la morte con le sue legioni. I romani si ritrovarono persi e intrappolati in questa fitta foresta, in un sentiero sconnesso che fonti archeologiche testimoniano modificato per ordine dello stesso Arminio e subirono i feroci attacchi delle tribù germaniche riunite sotto il comando del nuovo capo dei Cherusci. Fu un colpo durissimo per l’impero e per lo stesso Augusto, come scrive Svetonio: “Quando giunse la notizia dicono che Augusto si mostrasse così avvilito da lasciarsi crescere la barba ed i capelli, sbattendo, di tanto in tanto, la testa contro le porte e gridando: "Varo rendimi le mie legioni”(Svetonio, Vite dei dodici Cesari II, 23).

Nonostante la vendetta portata avanti da Germanico negli anni successivi, il confine dell’Impero con i territori germanici rimase il fiume Reno e venne abbandonato dallo stesso Tiberio, succeduto ad Augusto come imperatore, di spostare il confine al fiume Elba. La Germania non subì il destino della Gallia, proprio perché Arminio riuscì a riunire sotto il suo comando le principali tribù tra il Reno e l’Elba. I romani non riuscirono a sfruttare e fomentare le divisioni tribali come invece riuscì a fare Cesare in Gallia, fattore principale della sua vittoria. Avessero affrontato le tribù divise come fece il padre adottivo di Augusto, che pure aveva meno uomini di Varo e Tiberio, forse le cose sarebbero andate diversamente. A causa delle enormi spese e dispiegamento di uomini e risorse, il nuovo imperatore Tiberio, impegnato anche in intrighi dinastici, rinunciò a nuove campagne in Germania e a integrare quei territori che avevano al suo interno popolazioni come Cherusci, Marcomanni, Longobardi ecc. Nomi che i romani impareranno a conoscere durante gli anni del crepuscolo dell’Impero, che ne attraverseranno non sempre pacificamente i confini spinti dalle invasioni di altre popolazioni da oriente quali Vandali e Unni e ne contribuiranno al collasso, in un Impero che alla prossimità della sua fine era incapace di integrare e assimilare nuove popolazioni. Il tramonto a Teutoburgo del grande progetto di Augusto di un Impero romano germanico dominatore in Europa e non solo si rivelerà una ferita che risulterà mortale nei secoli successivi.

Ultima modifica il Mercoledì, 21 Dicembre 2016 16:17
Marco Saccardi

Nato a Bagno a Ripoli (FI) il 13 settembre 1990, sono uno studente laureato alla triennale di Storia Contemporanea presso l’Università di Firenze, adesso laureando alla magistrale di Scienze Storiche. Appassionato di Politica, amante della Storia, sono “fuggito” dal PD dopo anni di militanza e sono alla ricerca di una collocazione politica, nel vuoto della sinistra italiana. Malato di Fiorentina e di calcio, quando gioca la viola non sono reperibile. Inoltre mi ritengo particolarmente nerd, divoratore di libri, film e serie tv.

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