La potenza ottomana ha prosperato negli anni di maggior debolezza dell’Europa, condizionata dagli effetti di cambiamenti storici e da conflitti laceranti. Una curiosa analogia con la situazione contemporanea. In un’Unione Europea sempre più fragile, condizionata dalla crescita delle diseguaglianze che spesso accompagnano la ripresa da una crisi se non regolate, in cui soffiano i venti del nazionalismo e di divisioni, dall’altra parte del Bosforo Recep Tayyip Erdogan ha vinto nuovamente le presidenziali. Ininterrottamente ai comandi del suo paese dal 2003, Erdogan non soltanto è stato rieletto per altri cinque anni, ma avrà maggiori poteri costituzionali che gli permetteranno di governare per decreti e combinare, in una sola carica, le funzioni di presidente e primo ministro.
Denominato dalla stampa internazionale “il Sultano”, ha sempre avuto atteggiamenti e posizioni contraddittorie verso l’Unione Europea. In più si è reso protagonista di un nuovo fervore religioso della Turchia tornata ad avere un ruolo centrale nelle diatribe religiose dei paesi a maggioranza musulmana. Con l’ombra delle accuse di aver favorito la nascita dello Stato Islamico in Iraq e aver finanziato per anni la loro guerra santa e la loro espansione verso Afghanistan, Siria, paesi dell’Africa e l’Asia. Apparentemente come l’Impero ottomano, la Turchia di Erdogan ha fatto propri il simbolismo e fervore religioso dell’Islam, cercando di mantenere comunque dei rapporti di collaborazione con i paesi europei, in quanto membro della Nato, come si è visto nei rapporti commerciali con le forniture energetiche e con il lavoro sporco a caro prezzo per frenare la rotta dei migranti.
Ma l’Impero del Sultano era comunque un’autorità sovranazionale che aveva diviso il territorio in unità territoriali controllate dai Visir, in cui veniva garantita in gran parte la libertà di culto a religioni differenti, le tradizioni tribali e la confessione religiosa era più un elemento politico identificato con l’autorità del Sultano, come dimostra i ruolo fondamentale dei Giannizzeri nella gerarchia militare e politica. Il Sultano, anche per la definizione che ha nel gergo delle istituzioni islamiche, aveva una dimensione più politica. La classe dirigente dell’Impero ottomano non faceva capo ad un medesimo gruppo etnico e culturale. Questa antica differenziazione aveva fatto sì che i vari nuclei etnici e linguistici, gelosi delle proprie tradizioni, vivessero molto distaccati gli uni dagli altri.
Nondimeno, la massima autorità governativa turca, il Sultano appunto, si sovrapponeva alla più importante carica religiosa imperiale, il Califfo (diretto successore temporale e spirituale di Maometto) era accettata in maniera differente dalle varie correnti interne dell’Islam. I sunniti riconoscevano la doppia natura politica e religiosa del sultano-califfo, mentre al contrario, gli sciiti ponevano pesanti riserve sulla duplice funzione del capo dello stato. Senza contare che un buon 25% della popolazione dell’Impero ottomano professava una fede diversa da quella mussulmana. L’autorità imperiale quindi, nonostante la doppia valenza, era sbilanciata più verso il lato politico. Uno sbilanciamento che si rifletteva nell’organizzazione di tutto l’Impero. Tramite le sue mosse occulte con il finanziamento con l’Isis e un avvicinamento strategico con i sauditi e il Qatar che sembrano accettare la sua egemonia nel mondo arabo, Erdogan aspira in modo propagandistico al ruolo di grande Califfo con la Turchia egemone su tutti gli stati arabi.
In questi anni, Erdogan ha fortemente puntato sull’Africa. E ha per certi versi anche esteso la già grande sfera d’influenza turca, giungendo fino alle coste somale e al Sahel. L’Algeria è il primo partner commerciale della Turchia in Africa. 800 aziende turche operano nel Paese. E a fine febbraio sono stati siglati nuovi importanti accordi economici. La Tunisia, dopo la cosiddetta Rivoluzione dei gelsomini, ha concluso nuovi accordi commerciali, economici e militari con la Turchia nel dicembre del 2017. In Libia, Erdogan ha intrapreso una lenta penetrazione che ha avuto il suo simbolo nel viaggio di Fayez al Sarraj a Istanbul a fine febbraio. Il presidente turco ha voluto ribadire i legami storici fra i due Paesi ma ha anche sostenuto la necessità di far arrivare le aziende turche nel Paese. E in molti ritengono che le milizie islamiche in territorio libico abbiano forti collegamenti con Ankara. La sua strategia occulta con l’Isis ha portato destabilizzazioni e guerre non ancora concluse in Mali, Nigeria e altri stati africani. Ha portato avanti gli interessi turchi strategici in Somalia, Sudan e Mozambico.
Puntando sul fervore religioso e sulla retorica islamica, Erdogan ha riaperto diatribe storiche con stati europei come l’Austria, la Germania e molti paesi balcanici. I finanziamenti e gli interessi della Turchia in Bosnia Erzegovina, Kosovo e Albania sono stati di grande rilievo in questi anni, superando stati come l’Iran e l’Arabia Saudita che iniziarono a finanziare questi paesi dalla dissoluzione della Jugoslavia. Inoltre la Turchia sta manovrando una operazione di destabilizzazione dell’area caucasica e degli stati intorno al Mar Nero, intaccando un’area di influenza storicamente russa.
Lo stato turco vuole strappare all’Iran lo status di punto di riferimento del mondo arabo e maggiore potenza non solo militare, ma anche religiosa e politica. Riaprendo uno scenario che sembrava chiuso con la fine della Prima Guerra Mondiale e la nascita di stati nazionali arabi forti come l’Egitto, la Siria, la Libia e l’Iraq oggi destabilizzati o a brandelli. La Turchia di Erdogan rappresenta anche un pericoloso punto di arresto del processo di laicizzazione del mondo arabo, ancora molto lento. La retorica di Erdogan e la sua strategia, pur dentro istituzioni apparentemente democratiche, non sono dissimili dagli ayatollah di Teheran. L’ombra della Sublime Porta è tornata a farsi minacciosa sul Mediterraneo e sugli interessi dell’Europa e della Russia, fortificata dalla vittoria a queste elezioni che consegnando totalmente lo stato turco nelle mani del sultano Erdogan, pronto a diventare simbolicamente il nuovo Califfo.
Immagine ripresa liberamente da wikipedia.org