Protagonista insieme ad Hans Modrow e Gregor Gysi delle tormentate vicende che hanno portato alla caduta della Repubblica Democratica Tedesca ed alla sua annessione alla Repubblica Federale si schierò con quanti nel SED presero le distanze dalla direzione intrapresa da Honecker (culminata con la sua espulsione dal partito e con le modifiche costituzionali sul ruolo del SED nella DDR) considerando - in gran parte a causa delle scelte compiute dalla dirigenza sovietica e che portarono alla dissoluzione dell'URSS proprio in quel'anni - la fine del proprio Paese come oramai inevitabile e tentando conseguentemente di ricostruire su basi nuove una forza di sinistra nella Germania riunificata.
Ugualmente non venne mai considerato - a causa del proprio ruolo nella DDR - come un interlocutore "rispettabile" da una classe politica conservatrice che dopo aver ottenuto la "vittoria" sulla Germania Democratica si mostrò animata da sentimenti di vendetta e da un istinto alla criminalizzazione di una intera classe dirigente, di un intero Paese e di un intero popolo con il chiaro obiettivo, per usare le parole di Honecker, di marchiare la DDR "come Stato illegale e ingiusto" in quanto ha rappresentato "un segno che il socialismo è possibile e che è migliore del capitalismo".
Una pagina di storia – quella che va dal 1989 al 1991 – ricca di contraddizioni e colpi di scena e che sancì una profonda divisione all'interno del vertice del SED e dello Stato tedesco-democratico.
Una pagina che, sia che si ci schieri tra i “riformatori” sia viceversa tra i “conservatori”, non può essere certamente liquidata alla maniera manicheista, senza sforzarsi di immergersi nel clima di quegl'anni e nell'ingarbugliata situazione economica, politica e sociale vissuta in quel momento dall'intero blocco dei Paesi del Patto di Varsavia. Sicuramente la scomparsa di Bisky sottrae alla riflessione ed all'indagine storica una delle più autorevoli voci su quanto ha rappresentato il socialismo in terra tedesca.