Alyosha Matella

Alyosha Matella

32 anni, residente a Omegna. Insegnante precario e collaboratore in qualità di traduttore e recensionista di Le Monde diplomatique/il manifesto. Capogruppo del Partito della Rifondazione Comunista nel Consiglio comunale di Omegna. Appassionato di storia del movimento operaio, jazz, blues e letteratura noir.

Venerdì, 23 Febbraio 2018 00:00

Riflessioni su "Principe Libero"

Riflessioni su "Principe Libero"

Premessa: da una miniserie TV trasmessa dalla RAI in prima serata su personaggi o vicende reali mi aspetto un prodotto che sappia coniugare in misure accettabili cultura, divulgazione e intrattenimento. Stop.

Lissy: il Sud Tirolo si tinge di giallo con Luca D'Andrea

Dopo il romanzo d’esordio, “La sostanza del male”, Luca D’Andrea ci riporta nel Sud Tirolo per mostrarci ancora una volta il suo aspetto più inquietante e feroce, con i suoi paesaggi e le sue tradizioni che, ben lungi dall’offrire una rassicurante immagine da cartolina, offrono un volto della regione trasfigurato dalle contraddizioni che attraversano e lacerano quelle terre.

Bastardi in salsa rossa: con Lansdale, sono tornati Hap e Leonard

Hap e Leonard sono tornati. “Bastardi in salsa rossa” è la loro nuova avventura. La decima, per la precisione.

Hap Collins è sempre un liberal con un passato remoto da contestatore, un altro più recente da funambolo della precarietà e un presente reso decisamente piacevole dalla sua saggia e appassionata compagna Brett, da un lavoro più o meno fisso come investigatore privato (presso l’agenzia di Brett) che condivide con il suo eterno socio Leonard e dalla entrata in scena di Chance, la figlia ventenne di cui fino a poco tempo prima Hap non sospettava nemmeno l’esistenza.

Venerdì, 30 Ottobre 2015 00:00

Il tempo dell'inquietudine

Jesper Stein “Il tempo dell’inquietudine” (Marsilio, 2015, € 18,50)

Nel marzo 2007, a Copenaghen, la polizia sgomberava il centro sociale di Ungdomshuset, situato nel quartiere popolare e multietnico di Nørrebro: un’operazione che diede vita a uno dei più intensi e prolungati disordini della storia recente danese. Centinaia di autonomi, squatters e attivisti ingaggiarono violenti scontri con le forze dell’ordine che si estesero anche alla zona di Christianshan (vicino alla storica “città libera” di Christiania).

Giovedì, 27 Agosto 2015 00:00

Il commissario Habib. Due gialli in Africa

Moussa Konaté "Il commissario Habib. Due gialli in Africa", Del Vecchio Editore, 2015, €9,90

Lo scrittore Moussa Konaté è stato definito da molti il “Simenon africano”. Benché sia piuttosto scettico verso questo tipo di paragoni e accostamenti, è evidente la somiglianza tra il famigerato Maigret e il suo collega maliano nato dalla penna di Konaté. Il commissario Habib si muove infatti goffo e meditabondo come la creatura di Simenon, procede per intuizioni e ragionamenti che seguono spesso strade oblique e impreviste, osserva con sguardo penetrante le passioni che muovono gli uomini e le donne che lo circondano, siano essi suoi subordinati, superiori, amici o criminali. E mescola così la ricerca del colpevole con la narrazione dei mondi sociali che hanno partorito il delitto.

In questo volume edito da Del Vecchio, vengono raccolti e riproposti due romanzi, “L’assassino di Banconi” e “L’onore dei Kéita”, già pubblicati dallo stesso editore. Nel primo, Habib indaga su una serie di omicidi avvenuti a Banconi, il quartiere più povero di Bamako: il lettore accompagna il commissario tra i banchi colorati del Grand Marché e nella penombra di baracche pericolanti, facendosi strada tra la folla di venditori ambulanti, bambini, ciclisti, animali e taxi-brousse. Un universo di poveri cristi che lottano per sopravvivere, potenti marabutti e alti papaveri dell’apparato statale ubriachi di impunità e violenza: qui la verità si apre la via senza spettacolari colpi di scena ma attraverso una lenta opera di deciframento dei comportamenti, dei tormenti e delle relazioni di potere che animano le strade assolate e brulicanti della capitale maliana.

Nel secondo romanzo, il ritrovamento del cadavere di un presunto stregone porta il commissario e il suo collaboratore Sosso lungo le rive del Niger, in un piccolo paese dove ancestrali e suggestive tradizioni tribali resistono violentemente alla modernizzazione e ai mutamenti sociali. Nel villaggio di Nagadij, l’onore della nobile famiglia Kéita è una divinità per cui molti sono pronti a immolarsi e contro la quale la ribellione conosce un prezzo molto, troppo alto. Anche in questo caso, passato, presente, realtà e magia si mescolano per portare l’indagine ben aldilà dei confini del romanzo poliziesco classico, nel cuore di quei codici e simboli delle culture dell’Africa che costituiscono, secondo l’autore, il vero mistero da svelare.

Certo, lo scenario in cui si dipanano le due storie è poco e male conosciuto. E i dialoghi non seguono il ritmo incalzante della tradizione hard boiled statunitense, ma sono fedeli alle forme e alla modalità comunicative di un mondo distante dai sobborghi californiani o dai locali notturni di New York. Ma la prosa di Konaté ci consente di esplorare un territorio meticcio, dove il piacere della lettura e la scoperta di nuovi significati si incontrano e si mescolano.

Mercoledì, 25 Marzo 2015 00:00

La banda degli amanti

Dopo qualche anno di silenzio, Carlotto torna a raccontarci le imprese di Marco Buratti, detto l’Alligatore, figura anomala del noir italiano con un passato da detenuto politico (suo malgrado) e bluesman, e un presente da investigatore senza licenza e viaggiatore nei mondi illegittimi della società italiana a cavallo tra il XX  e il XXI secolo.

La crescita di consensi dell’estrema destra xenofoba e populista costituisce indubbiamente uno degli elementi fondamentali dell’Europa dei nostri giorni. La crisi economica e sociale che ha travolto il mondo occidentale e il processo di crescente impoverimento di larghi strati popolari e dei ceti medi ha investito anche le architetture istituzionali liberaldemocratiche. Sono numerosi i commentatori e gli analisti che evocano scenari “weimariani” di fronte ai successi elettorali delle formazioni più o meno dichiaratamente fasciste e al moltiplicarsi di pratiche, discorsi e atti che richiamano il passato più buio della storia continentale.

Martedì, 05 Febbraio 2013 00:00

Un sogno chiamato rivoluzione

Il Novecento è stato anche e soprattutto un secolo percorso dai passi concitati di milioni di uomini e di donne che, da un capo all’altro del pianeta, hanno tentato, in condizioni spesso drammatiche, di segnare il corso degli eventi a favore di un “quarto stato” che da figlio illegittimo della modernità capitalista aveva deciso di elevarsi a soggetto della Storia.

“Un sogno chiamato rivoluzione” di Filippo Manganaro- autore di opere e ricerche sul movimento operaio e popolare statunitense- edito da Nova Delphi restituisce grandezza e tragicità del XX secolo attraverso il racconto delle vicende che hanno avuto come protagoniste generazioni successive della stessa famiglia, le cui storie individuali si collocano nella narrazione di una gigantesca impresa collettiva di liberazione che ha permeato di sé un’epoca e che ha condizionato i destini di innumerevoli subalterni.

Una narrazione che vede protagonisti Sholomo, Chaya, Aidan, Paddy: nomi dei membri di una famiglia che, generazione dopo generazione, percorre luoghi ed epoche, abita stamberghe poveramente arredate, conosce i mille volti dello sfruttamento capitalistico, del razzismo e della miseria, stringe in pugno la sensazione della vittoria e assapora l’amaro della sconfitta.

Persone nate e cresciute nel “tempo del disordine/quando la fame regnava” e che seppero battersi, riconoscendo il lato giusto della barricata ovunque si trovassero: dai ghetti ebraici della Russia zarista sconvolti dai pogrom agli scioperi di Lawrence del 1912, dall’Irlanda miserabile e coraggiosa conosciuta attraverso i racconti dei padri alla Spagna repubblicana dove migliaia di volontari accorrono a difendere il “sogno di una cosa”.

La fatica, le delusioni, gli entusiasmi e il dolore sono elementi che vengono pagina dopo pagina scandagliati nella loro dimensione più intima, senza mai scinderli da quel gigantesco assalto al cielo talvolta fallito e sconfitto ma “appena incominciato”, come avverte uno dei figli di Chaya la coraggiosa, mentre riannoda i fili della propria storia e fa pace con essa, in un giorno d’estate sotto i cieli di Madrid, in mezzo a uomini che fondono i loro idiomi in un’unica melodia e fanno sorgere da essa la lingua universale della dignità e del riscatto.

 

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