Ogni settimana - circa - recensiamo per voi una novità cinematografica uscita nelle sale. Ogni tanto ci permettiamo di ricordare qualche pellicola del passato o altri film a cui teniamo particolarmente.
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Siamo a Los Angeles in un prossimo futuro (anche se in realtà è Shanghai).
Theodore (Joacquin Phoenix) lavora come impiegato. Scrive lettere d’amore via internet per clienti incapaci di comunicare con il/la partner. Un impiego davvero inusuale, grottesco, ma in via di sviluppo. Non riesce però a vivere la sua vita perché ha in corso un doloroso divorzio con la moglie Catherine (Rooney Mara).
Molti non lo sanno, ma l’Italia è il Paese che ha avuto più premi agli Oscar come miglior film straniero: ben 14. Anche se a livello di nomination la Francia ci batte: 36 contro le 28 italiane. Ma si sa quello che conta sono i premi e i cugini di Oltralpe ne hanno ricevuti 12.
Tutti sanno che l’Italia ha insegnato a fare cinema: infatti dal 1948 in poi il Belpaese ha inanellato una serie di 5 vittorie consecutive. Due volte Vittorio De Sica con “Sciuscià” e “Ladri di biciclette”,poi la coproduzione italo-francese “Le mura di Malapaga” ( di R. Clemont) e poi la doppietta di Fellini con “La strada” e “Le notti di Cabiria”.
Poi gli americani ci hanno (volutamente?) stoppato perché la nostra qualità anche negli anni ’60 era garantita.
Si sa gli americani erano patiti di questi due registi e non amavano particolarmente il toscanaccio Monicelli o il geometrico Michelangelo Antonioni.
Dopo una decina d’anni,il 1964 è l’anno del riscatto: esce “8 e 1/2” e Fellini ci riporta agli antichi fasti che proseguono anche l’anno successivo con Vittorio De Sica con “Ieri,oggi e domani”.
Una macchina da guerra cinematografica. Potente. Capace di travolgere qualsiasi aspettativa e pregiudizio.
La struttura di un blockbuster, strumentalmente usata per stupire, con un coraggio narrativo che rifugge tanto gli stereotipi quando il cinema ricercato.
Bong Joon-ho raggiunge la perfezione con una regia particolarmente ispirata. Complicato riuscire a non trasmettere minima monotonia rispetto a una storia rinchiusa tra i vagoni di un treno.
Il remake di RoboCop doveva uscire nel 2010. Darren Aronofsky rinuncia al progetto, che finisce nelle mani di José Padilha, reduce dai successi dei due Tropa de Elite e appassionato del cult del 1987.
Sul web ovviamente si aggira una nutrita schiera di utenti che sostiene il pregiudiziale “non sentivamo il bisogno che venisse rifatto RoboCop”. È chiaro. Infatti, per fortuna, nessuno ripropone le logiche di 26 anni prima. L’intervento sulla storia è significativo e il film si adatta a un pubblico più ampio, soprattutto in termini di età anagrafica. Assomiglia a un film della Marvel piuttosto che a un noir fantascientifico.
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