Il giovane regista pisano Roan Johnson (padre inglese e madre italiana), dopo lo straordinario esordio con “I primi della lista”, torna a dirigere un film interessante, visto il momento storico che stiamo vivendo, partendo proprio dalla pellicola francese. Il titolo si riferisce proprio a quella scena, ma c'è una diversità di fondo: il messaggio del film italiano è “ma che facciamo, ci arrendiamo?”
Il giovane regista ha preso spunto dalle testimonianze di alcuni studenti dell'Università di Pisa che aveva incaricato Johnson di farne un documentario. Da qui Roan, insieme alla compagna Ottavia Madeddu, ha deciso di farci un film grazie anche all'impegno degli attori. Budget totale di appena 250 mila euro (briciole per il cinema), quattro settimane di riprese. Un'opera “libera, indipendente, un atto di coraggio partecipato” secondo lo stesso Johnson. Finalmente si torna a parlare di partecipazione e di condivisione “garibaldina”, per dirla come i divertenti titoli di testa. Compresa la colonna sonora (ormai divenuta un cult sul web) dei Gatti Mezzi. Ne aveva bisogno il nostro cinema.
Ma veniamo alla storia.
Luglio. A Pisa vivono 5 studenti che condividono un appartamento in affitto: c’è lo spassoso Cioni (Paolo Cioni de “I primi della lista” che però, qua e là, ammicca a quello all'omonimo di “Berlinguer ti voglio bene”), toscano doc e sognatore; Vincenzo (Alessio Vassallo), vulcanologo in procinto di trasferirsi in Islanda per diventare professore associato da 3000 euro al mese; la sua fidanzata Francesca (Melissa Anna Bartolini), che non vuole andare nell'isola col fidanzato e ha intenzione di proseguire il percorso intrapreso nella compagnia teatrale amatoriale “I poveri illusi”, che tiene in piedi con il coinquilino Andrea (Guglielmo Favilla che assomiglia in maniera impressionante al pilota Fernando Alonso), grande talento ma poca fortuna e invidioso/geloso per la ex, Marta (Isabella Ragonese), che ha sfondato nel cinema. Infine c'è Ilaria (Silvia D'Amico), originaria di Frosinone, che è rimasta incinta (senza volerlo) a causa della sua sessualità piuttosto spinta.
Ed ecco i problemi di questa “convivenza”: la pasta col nulla, i piatti lavati nella doccia quando il lavello è intasato, le bollette pagate alla “romana”, le preoccupazioni nei confronti dell' amministratore, la gestione delle risorse, la spesa, la roba scaduta. Dopo mille peripezie e momenti passati insieme, si diventa grandi e ognuno deve decidere cosa fare del suo futuro. Considerate che viviamo in epoca di disoccupazione giovanile ai massimi livelli. Vincenzo vuole andare in Islanda, Cioni tornerà dai suoi genitori. “Vorrei averli io casini da 3000 euro al mese” - dice quest'ultimo all'amico vulcanologo. In questa frase si può riassumere tutto il senso di smarrimento dei giovani italiani. Francesca, però, non lo vuole seguire e questo crea problemi al suo fidanzato.
Ilaria tornerà in famiglia a Frosinone dove alleverà il suo bebé, mentre Andrea si giocherà la carta dell’avventura in Nepal dove è andato un amico di vecchia data. È un brusco risveglio il separarsi, prendere una decisione che non vorremmo mai prendere. La paura prende il sopravvento nei nostri “eroi”. E “se non ci vedessimo più”? Ed ecco che nascono amori tenuti nascosti per anni, dubbi, incastri, imprevisti.Naturali e disinvolti gli attori (che recitano con i rispettivi accenti dialettali), amalgamati in maniera funzionale a questo progetto a cui ha voluto partecipare a titolo amichevole anche Isabella Ragonese (non a caso già protagonista per Virzì in “Tutta la vita davanti”).
È un affresco generazionale con punte nostalgiche da “Grande freddo” (o se preferite il remake francese “Piccole bugie tra amici” di Guillame Canet) ma nelle intenzioni di Johnson ci sono numerosi richiami al nostro cinema nazional-popolare: dalla condizione esistenziale de “I Laureati” di Leonardo Pieraccioni passando per “Berlinguer ti voglio bene” di Giuseppe Bertolucci e “Amici miei” di Monicelli fino ad arrivare al già citato Paolo Virzì.
In particolar modo quest'opera è “Ovosodo” in salsa pisana (amici livornesi non prendetevela) nel senso che la condizione di limbo esistenziale dei protagonisti è come “quella specie di ovo sodo, che non va né in su né in giù, ma che ormai fa compagnia come un vecchio amico”.
Ci sono molte cose in comune tra l' “ovo sodo” di Virzì, il remare di Roan Johnson: a far la differenza è dire che fino a qui è andato tutto bene e continuare a remare. È innegabile, c’è la crisi, c’è la disoccupazione giovanile, ci sono gli amici che un lavoro lo trovano solo andando all’estero. Cosa fare? Ci si arrende?
Certo che no, ci si arrangia. Gli italiani, si sa, son maestri in quest'arte. “Fin qui tutto bene” è un inno alla resistenza in tempi di (presunta) pace. Perché il film, per i duri di comprendonio, è dedicato a tutti quelli che,nonostante tutte le difficoltà, stanno continuando a remare nella stessa direzione. È scritto anche nei titoli di coda. Ecco la ricetta contro la crisi secondo Roan Johnson: fidarsi degli altri,remare tutti insieme pur trovando nel tragitto immense difficoltà con il rischio di “naufragar nel dolce mare” di sapore leopardiano.
TOP: Il valore del progetto,la qualità della recitazione, l'amalgama degli attori, l'umorismo,la metafora finale,il messaggio che dà quantomeno speranza ai giovani, gli omaggi al cinema italiano e internazionale
FLOP: chissà cosa avrebbe fatto Johnson con maggiore budget a disposizione...
VOTO ****