Ma veniamo al film.
Prima cosa doverosa: all'inizio si legge la scritta "Ispirato a fatti realmente accaduti". Lo spettatore non deve aspettarsi fatti di cronaca o un documentario ma una ricostruzione importante soprattutto a livello psicologico. Il film è tratto da “Foxcatcher. Una storia vera di sport, sangue e follia”, autobiografia scritta dal vero Mark Schultz. La narrazione avviene tra il 1988 e il 1996 in Pennsilvanya (Stati Uniti d'America). Ci sono i fratelli Schultz che vivono la loro vita per lo sport, in particolare per la lotta: si chiamano Mark (Channing Tatum) e Dave (Mark Ruffalo), entrambi medaglia d'oro alle Olimpiadi in periodi diversi. Sono due persone particolarmente diverse: il primo ha una vita precaria, vive da solo e non ha amici, lo sport è la sua ancora di salvezza. Il secondo, invece, è il fratello maggiore/allenatore, quello che, in assenza dei genitori, ha tirato su Mark e lo ha fatto diventare quello che è. È sposato con Nancy (la Sienna Miller di “American Sniper”) e ha due figli, Danielle e Alexander.
Un giorno Mark viene contattato da un delegato del milionario John E. du Pont (Steve Carrell): quest'ultimo gli offre soldi, vitto e alloggio per formare una squadra di lotta libera in grado di partecipare alle Olimpiadi di Seoul. Mark accetta perché vuole vincere a tutti i costi. Il fratello Dave invece rifiuta perché ha famiglia e non vuole separarsi da loro. Per lui quello stile di vita è più importante dei soldi e del successo. Mark, invece, è attratto (e non poco) dall'accecante mondo dorato (e poi effimero) dell'american dream. Vede questa possibilità come una grande sfida: vuole vincere l'oro e primeggiare ovunque. John è l'erede della famiglia che, con la vendita di munizioni, costruì un impero a partire dalla Guerra di Secessione. Vive con l'anziana madre (Vanessa Redgrave) nella proprietà “Foxcatcher Farm”, ispirandosi,architettonicamente, alla villa di Thomas Jefferson (3° Presidente della storia degli Stati Uniti). Il nome della tenuta rimanda all’aristocratica “caccia alla volpe” mostrata nelle prime inquadrature.
Miller sembra ispirarsi ai film horror: la dimora di Du Pont è spettrale, tetra con una recinzione da campo di concentramento che la circonda. Ovviamente questo è funzionale (soprattutto) alla seconda parte del racconto. John si definisce un patriota e vuole,attraverso uno sport considerato minore, elevare la missione dell’America di primeggiare rimettendola in carreggiata. In realtà il mecenate Du Pont desidera accumulare trofei per riempire la sala di famiglia per dimostrare il suo valore alla madre che lo considera una nullità. La lotta, che la donna ha sempre considerato uno sport ridicolo e secondario, era l'occasione di riscatto del figlio. La realtà è che Du Pont soffre di disturbi psicologici originati da una totale dipendenza dal giudizio dell'anziana madre. Inoltre è abituato a manipolare l’affetto degli altri comprandoli col denaro.
“L'allenatore è un padre, l'allenatore é un mentore, l'allenatore ha un gran potere sulla vita degli atleti” - questo è il pensiero colmo di gratitudine di Mark. Du Pont diventa il coach e il mentore di Schultz. Le cose si mettono subito bene: Mark vince l'oro nel 1987 ai Campionati del Mondo. Ma questo rapporto, a breve, comincerà a diventare quasi morboso degenerando in una spirale autodistruttiva innescata dalla cocaina. Il resto non ve lo racconto ma credo lo possiate immaginare. La progressione di Mark verso l'abisso è iniziata, il malessere, l'insoddisfazione e la depressione prendono il sopravvento.
Il regista Bennett Miller analizza il sistema sportivo americano per mostrare un Paese dilaniato da deliri di onnipotenza e da mecenati come Du Pont che credono di poter acquistare tutto (anche l’amore) col denaro. È un sorprendente e trasformato Steve Carell (sì avete letto bene,quell'attore che fa sempre la parte dell'idiota in film come “40 anni vergine” e “Una settimana da Dio”),qui al massimo della sua forma attoriale, che mostra la sua immensa bravura nelle posture e negli atteggiamenti di un personaggio che ricorda il Norman Bates dello “Psyco” del maestro Hitchcock. John du Pont è un reazionario psicopatico affetto da disturbo bipolare. Pensate che doveva essere Gary Oldman a interpretarlo in origine,ma l'interpretazione di Carrell,mascherato sotto un pesante trucco e un imponente nasone finto,è il sale di questo film.
L'altra faccia della medaglia sono i fratelli Schultz. A interpretarli gli ottimi Channing Tatum e Mark Ruffalo, non nuovi a perfomance di questo tipo. Mark, il gigante buono fragile psicologicamente, sviluppa un rapporto in cui gli “abbracci” (sportivi) diventano metafora della mancanza del padre. Dave, invece, ha principi solidi come la famiglia, il lavoro sviluppato con potente ed estrema disciplina sportiva. Il denaro viene dopo questi valori. Un uomo d'altri tempi, verrebbe da dire. Non è un caso che lo sviluppo del personaggio subisca l'esito della storia. È una metafora dei nostri tempi dove chi c'è sempre qualcuno disposto a vendersi che schiaccia chi non lo fa. In Mark leggiamo la stupidità del sistema americano (ovviamente copiato nei minimi dettagli anche in Italia non solo a livello sportivo) che fa crescere “campioni” che credono di possedere una cultura (Mark è laureato,ma è terribilmente ingenuo) mentre invece sono stati semplicemente tollerati grazie alle loro qualità atletiche. Channing Tatum interpreta un gigante buono dall'ottimo fisico, ma è terribilmente fragile dal punto di vista psicologico. Alla fine questo lo porterà a mettersi al servizio (o meglio a vendersi) di chi gli prospetta un grande futuro: ovvero Du Pont.
Di questi tempi tutte queste critiche che Miller rivolge all'America non sono certo facili da digerire. Ma ecco che il regista trova anche spazio per deformare il fenomeno del “mecenatismo” che anche nel nostro Paese riveste un ruolo fondamentale nell'evoluzione e nello sviluppo della società. Compreso lo sport, dove gente ricca acquista sempre più prestigio grazie al “carrozzone” che coinvolge sempre più spettatori. A differenza del passato, oggi queste persone sono sempre più onnipotenti e si aspettano un ritorno finanziario sempre più ampio e diretto. Alla fine Miller li mette tutti nello stesso calderone di vincitori apparenti,ma in realtà sono tutti dei grossi perdenti. Perchè alla fine la più grossa paura dell'America è quella di dimostrarsi “loser”. Prendete l'11 settembre 2001. Gli americani sono rimasti segnati da quell'esperienza perchè ha mostrato al mondo l'inconsistenza e la vulnerabilità della prima potenza mondiale. Ed è una sconfitta tutt'altro che apparente.
TOP: il trucco,le interpretazioni di Ruffalo,Tatum e Carrell (il migliore),la regia accorta,la storia ricchissima di sfumature e di significati,l'estetica fotografica del film
FLOP: qualche piccolo taglio poteva esser fatto per dare maggior ritmo alla narrazione
FOXCATCHER – UNA STORIA AMERICANA
U.S.A. 2014
Regia: Bennett MILLER
Cast: Steve CARRELL, Mark RUFFALO, Channing TATUM,
Vanessa REDGRAVE, Sienna MILLER
Distribuzione: BIM
Durata: 2h e 14 minuti
VOTO ****