Sabato, 03 Marzo 2018 00:00

Gli ultraottantenni colpiscono ancora: il ritorno di Roman Polanski

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Gli ultraottantenni colpiscono ancora: il ritorno di Roman Polanski

Al cinema vanno di moda gli over 80. Sarà un caso, ma negli ultimi mesi sono usciti film di Ridley Scott (80 anni), Woody Allen (82), Clint Eastwood (87).

Senza dimenticare l'inossidabile leone inglese Ken Loach (81 anni e non sentirli) che nel 2016 ha vinto la Palma d'Oro con "Io, Daniel Blake".

All'appello non poteva mancare Roman Polanski (84 anni).

I loro stili sono unici, riconoscibili a occhio nudo e difficilmente eguagliabili. Per questo abbiamo sempre bisogno di loro e delle loro opere. Dal 2009 la carriera di quest'ultimo è per forza cambiata. Il passato è tornato a chiedergli il conto.


Nel 1977 a Los Angeles, a casa di Jack Nicholson, venne accusato di violenza sessuale, con ausilio di stupefacenti, ai danni della tredicenne Samatha Geimer. Tranquilli non era la nipote di Mubarak (tanto per rimanere in tema di ultra ottantenni).

Il caso è piuttosto complesso e contorto, anche perché il giudice riconobbe che non c'era stata violenza o stupro. Per molti la ragazza era stata consenziente (sembra che la madre, anche lei modella, le volesse far fare carriera). Per via di questo episodio, Polanski si è rifugiato in Francia, perché temeva le luci della ribalta del caso. Nel 2009 viene arrestato in Svizzera (dove era andato per ritirare un premio). Per il regista seguono dieci mesi tra prigione e arresti domiciliari.

Da Carnage (2011) in poi il regista polacco si è dovuto reinventare qualcosa.

Da allora fa film di interni, una sorta di "teatro filmato". Di media un'opera ogni tre anni. Dopo Carnage, nel 2014, ha proseguito con lo splendido Venere in pelliccia, fino al maggio 2017 quando a Cannes è stato presentato D'après une histoire vraie (tradotto in italiano con il ridicolo titolo Quello che non so di lei).

Ogni volta la sfida è diversa.

Stavolta, ad aiutare il quasi ottantacinquenne Polanski, ci voleva il talento del regista/sceneggiatore Oliver Assayas (Qualcosa nell'aria, Sils Maria, Personal Shopper) ad alzare l'asticella.

Fin dalle prime immagini, questo film intriga, coinvolge e gioca con lo spettatore come il gatto con il topo.

Ancora una volta il cinema contemporaneo ci propone due personaggi femminili enigmatici, ammalianti e misteriosi, che catalizzano l'attenzione.

«Non avevo mai fatto una storia su due donne. Fin qui avevo messo a confronto due uomini o un uomo o una donna. Era il momento giusto per farlo» - ha rivelato Polanski durante un'intervista alla stampa a Cannes.

Questo mi induce a passare al film.

L'opera è speculare a L'uomo nell'ombra: qui Ewan McGregor era un ghostwriter che lavorava per scrivere la biografia di un noto politico inglese, interpretato da Pierce Brosnan.

In Quello che non so di lei, Delphine de Vigan (Emmanuelle Seigner) è un'autrice di un romanzo su sua madre, morta suicida. Ha "lavato i panni sporchi" del passato, come Polanski. Il libro è divenuto un bestseller. La gente la adora, la ferma per strada. È una star. Oltre ai fan, però, ha anche qualche detrattore che le scrive lettere anonime, accusandola di aver scritto cose troppo private.

La scrittura può essere molto pericolosa. La penna, si sa, può ferire più della spada.

Improvvisamente però, come descrisse Fellini attraverso il personaggio di Mastroianni nel capolavoro Otto e Mezzo, può esserci un blocco creativo e quella pagina di Word rimane sempre bianca. Il problema è naturalmente di tipo psicologico.

L'autrice si considera brutta, incapace, l'autostima va a farsi benedire, è segnata dalla depressione, dalla fragilità. L'autodistruzione e l'insicurezza diventano realtà. Tuttavia la chiave non è nascosta molto bene. Se si alza lo zerbino, la soluzione si presenta sotto gli occhi.

Infatti nel frattempo ha conosciuto una sua accanita lettrice: Leila (Eva Green) nella versione italiana, Elle in quella originale. L'incontro sarà una cosa importante per Delphine. Leila è estrosa, creativa, sicura di sé, piena di iniziative. Lei sembra l'unica in grado di sostenerla nelle sue scelte, nelle sue battaglie, nei suoi tormenti.

È una ghostwriter (Polanski si ricollega così anche alla sua opera L'uomo nell'ombra del 2010) e nessuno come lei sa cosa significa scrivere per altri.

La creatività torna, ma, puntuale come un orologio svizzero, arriverà anche la morbosità. Leila le chiede di dividere con lei l'appartamento. Ansia, paure, sensazioni, panico, protezione e anche il senso del pericolo non tarderanno a manifestarsi.

Partendo da un romanzo (come accadeva già con Venere in pelliccia), Assayas e Polanski ci raccontano le loro ossessioni, i loro tormenti prendendo spunto da antiche lezioni di cinema firmate Bergman e Hitchcock.

Il problema principale del film è la sceneggiatura che nella seconda parte gira un po' a vuoto.


Per chi è cinefilo come me e ha già visto i film precedenti di Polanski, ci sarà qualcosa che gli piacerà, perché coglierà i collegamenti. Chi invece non ha mai visto un'opera del regista polacco, troverà Quello che non so di lei un film poco interessante.

La mano di Assayas è piuttosto evidente in fase di sceneggiatura (nel bene, ma anche nel male). La relazione tra la scrittrice Delphine e la fan Leila ricorda (troppo) quella tra Kristen Stewart e Juliette Binoche in Sils Maria, ma (in maniera più vaga) anche quella tra la stessa Stewart e Kyra in Personal Shopper.

Francamente si sa che Assayas si concentra sempre sui soliti capricci: «alcune persone, come il personaggio di Elle nel film, sono convinte che la realtà sia più interessante e soprattutto più vera della finzione. Io penso il contrario. Secondo me c’è molta più realtà in una storia inventata».

Per lui fare cinema è "ascoltare le proprie budella". La voce di Assayas è espressa proprio da Eva Green quando sta preparando il gioco al massacro.

Naturalmente la voce di Polanski è espressa tramite la moglie, Emmanuelle Seigner, che "subisce".


Il regista polacco dal canto suo preferisce la realtà alla finzione.

Questo conflitto si avverte nel passaggio dalla sceneggiatura allo schermo.

La mano del regista è evidente nell'atmosfera (l'uso di lenti grandangolari che deformano la realtà), per come dirige la Seigner, per i tormenti personali, per la linea che collega questo film alle sue opere precedenti (L'uomo nell'ombra, Venere in pelliccia, ma anche La nona porta, Repulsion, Cul de sac e Rosemary's Baby).

La direzione è pulita, la regia è sapiente, le inquadrature sono costruite con saggezza e maestria.

«Non è facile definire i confini tra realtà e finzione di questi tempi in cui la realtà, anche grazie alla tecnologia, è sempre più fluida. Siamo ossessionati dall'idea di “storie vere” perché viviamo in mezzo a un flusso ininterrotto di immagini cui ci appoggiamo in cerca di verità. Ma cercare la verità è un’assoluta illusione. Tutto oggi si può manipolare  grazie ai social da cui mi tengo lontano» - ha rivelato il regista polacco.

Polanski, per creare questa sensazione, fa crescere la suspance gradualmente, a fuoco lento, come solo lui sa fare.

Non poteva esserci attrice migliore della Seigner per questo ruolo visto che nella vita reale è sua moglie.

Infatti la signora Polanski è molto in parte e riesce a "frenare" la presenza di una Eva Green sinuosa, perversa, ambigua, magnetica, conturbante, elegante e sensualissima (sui livelli di Sin City 2 e 007:Casino Royale).

Anche se Polanski mostra alcuni "difetti fisici" della Green, mentre sceglie di non farlo con sua moglie/ la sua musa.


Ancora una volta ci sono i soliti temi: l'identità, i dubbi durante la fase di creazione (artistica, ovviamente), il rapporto tra realtà e finzione, i dubbi quando si intraprende un nuovo rapporto (o una nuova relazione).

Lo spettatore comincerà a farsi domande del tipo: chi è Elle? I fatti sono reali o frutto della rielaborazione di Delphine? Come si fa a scrivere un libro? È vero che bisogna avere un tale livello di ossessione nell'arte? Chi è che manipola?

Ancora una volta le risposte spettano allo spettatore. E che il gioco di specchi abbia inizio.


L'importante è avere dubbi, specie nell'ambiguo (e provocatorio) finale. Come diceva Mark Twain, «non sono le cose che non sai a metterti nei guai. È quello che dai per certo che invece non lo è».


QUELLO CHE NON SO DI LEI ***1/2 (Francia, Belgio, Polonia 2017)

Titolo originale: D'après une histoire vraie  

Regia: Roman POLANSKI

Sceneggiatura: Roman POLANSKI, Oliver ASSAYAS


Fotografia: Pawel EDELMAN

Musiche: Alexandre DESPLAT

Cast: Emmanuelle SEIGNER, Eva GREEN, Vincent PEREZ

Genere: Thriller

Durata: 1h e 50 minuti circa

Distribuzione: 01 Distribution

Uscita: 1 Marzo 2018

Tratto dal romanzo: Da una storia vera di Delphine DE VIGAN

Trailer youtu.be/brdPcUxGnW0

Riconoscimenti: presentato al Festival di Cannes 2017

La frase: «Il successo, i commenti, la ribalta improvvisa... immagino che lei sia a rischio di un esaurimento».


TOP

- Eva Green e Emmanuelle Seigner danno spessore al racconto.

- È un film seducente e intrigante che prende lo spettatore e lo costringe a farsi domande.

- Eva Green è sensuale e magnetica, ambigua ed elegante allo stesso tempo.

- Roman Polanski crea atmosfera come solo lui sa fare, giocando con tensione e umorismo.

- La critica alla manipolazione e alla ricerca ossessiva della verità assoluta.

- Polanski propone strade già ampiamente battute, ma ha uno stile difficile da eguagliare.

- Il film è in stretta continuità con le pellicole precedenti di Polanski: L'uomo nell'ombra, Carnage e Venere in pelliccia soprattutto, ma anche Luna di fiele, La nona porta.

- Polanski ci racconta i meccanismi psicologici quando un vero artista deve produrre qualcosa di nuovo.

- Assayas è una sorta di erede del cinema di Polanski. Questo film è una sorta di passaggio del testimone.

FLOP

- La sceneggiatura di Assayas è in forte continuità con le sue opere precedenti. Questo non sempre è un bene. Si sa quali sono i suoi tormenti e si capisce dove vuole andare a parare.

- La prevedibilità di alcune situazioni (per chi ha visto altre opere di Polanski e Assayas).

- L'opera è intrigante, ma non sempre del tutto incisiva (specie in fase di scrittura).

- La seconda parte dell'opera gira un po' a vuoto.

- È un Polanski minore.

- Polanski è un po' crudele con Eva Green. Decide di mostrare alcune sue imperfezioni fisiche, con insistiti primi piani. La stessa cosa non si può dire per la moglie, Emmanuelle Seigner.

- È un film da cinefili. Chi non ha mai visto un film di Polanski, lo troverà poco interessante.


Immagine di copertina liberamente ripresa da movieplayer.it locandine liberamente ripresa da sentireascoltare.com e da www.01distribution.it, immagini liberamente riprese da www.movielicious.it, da media.gettyimages.com, da enigmasmovies.com, copertina del libro liberamente ripresa da img.ibs.it.

Ultima modifica il Sabato, 03 Marzo 2018 01:25
Tommaso Alvisi

Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant'altro.

Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.

Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.

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