“terroristici”; ma contemporaneamente esso si incagliò su questioni imbarazzanti del tipo: i governi israeliani protagonisti per sessant’anni di massacri, di deportazioni di massa della popolazione palestinese, di distruzioni di abitazioni e di villaggi palestinesi, di espropri di terre e di acqua palestinesi sono da considerare terroristici? Figurarsi, dissero alcuni; certamente, dissero altri; ma i più non dissero nulla, non conveniva parlare. Venne così fuori la solita sciacquatura europea di piatti, un mucchio gigantesco di parole il cui succo era zero o zero virgola. Tuttavia, ed è qui il fatto veramente importante, ci avevano già pensato da un pezzo gli Stati Uniti a risolvere gli amletismi europei. A pochi giorni dall’11 settembre era giunto nelle sedi dell’Unione, partito da Washington, un elenco di venti e rotti (non ricordo l’esatto numero) realtà terroristiche (gruppi, società, individui) accertati come tali dalle agenzie di intelligence statunitensi; e il Parlamento Europeo, per iniziativa dei suoi gruppi servili (in senso ampio), popolari-conservatori, socialdemocratici, liberali, altri minori di vario tipo si era affrettato a produrre e a votare una risoluzione che, dopo la condanna del terrorismo talebano, la solidarietà agli Stati Uniti, la sottolineatura dei rischi anche per l’Europa, quella della necessità di tutelarla con adeguate misure di prevenzione e vigilanza ecc. aggiungeva l’elenco delle realtà terroristiche indicate dall’intelligence statunitense! Fui tra i pochi a protestare, dichiarando che elenchi del genere andavano verificati da parte europea prima di diventare atti politici. Solo una parte del mio gruppo, il GUE, e una parte dei Verdi condivisero la mia posizione. Neanche la più debole repubblica delle banane si sarebbe comportata così. Ricordo che per mesi si aggirò per gli uffici del Parlamento Europeo un povero cristo di somalo, emigrato da una vita in Svezia e lì diventato piccolo imprenditore, il cui nome era stato messo dagli Stati Uniti sull’elenco delle realtà terroristiche, e la cui attività era stata quindi chiusa dal governo svedese. Chiedeva di essere tolto dall’elenco, non avendo mai avuto nulla a che fare con il terrorismo; o, almeno, che ci fosse un’indagine europea che accertasse la sua posizione. Non ottenne nulla.
Ma l’ondata di sbandamento non riguardò solo l’Europa, d’altronde abituata al servaggio verso gli Stati Uniti. Nel corso del II Forum Internazionale Mondiale, a Porto Alegre, 2002, quando gli Stati Uniti avevano già avviato bombardamenti in Afghanistan che uccidevano migliaia di civili, era stata prodotta, per una discussione e un voto nel Forum parallelo dei partiti ivi presenti, una bozza di risoluzione che esprimeva condanna dell’attentato dell’11 settembre e solidarietà alle vittime. Bertinotti e io presentammo un emendamento che aggiungeva al testo la solidarietà alle vittime dei bombardamenti statunitensi in Afghanistan: emendamento che non passò, perché incontrò la contrarietà sia della maggioranza dei partiti latino-americani (su indicazione del rappresentante del PT brasiliano) che di una parte di europei (tra i quali, naturalmente, il Partito Socialista Francese e un partito del GUE che non voglio nominare).
Perché questa rievocazione di cose passate. Perché aiutano a capire cosa è accaduto successivamente, sia il ricorso larghissimo in Occidente e con grande successo della categoria terrorismo e la mancanza di un suo significato giuridico minimamente coerente, o decente, sia il fatto che questa categoria è oggi uno strumento molto importante della politica internazionale e a volte anche interna degli stati e degli aggregati di stati dell’Occidente. Fu l’esperienza stessa del subito dopo l’11 settembre a insegnare ai governi statunitensi l’importanza dell’uso della categoria terrorismo: cioè la sua grande efficacia terroristico-propagandistica in sede psicologica, in grado di orientare come soldatini governi, parlamenti, sistemi informativi e popolazioni occidentali e portarli ad aderire quasi con riflesso condizionato alle richieste militari o alle altre pratiche aggressive degli Stati Uniti. Dunque, concludendo, una categoria, nella vasta panoplia dei governi statunitensi, altrettanto e in determinate circostanze ancor più efficace delle armi nel fare il risultato della sconfitta di un nemico o del suo isolamento o semi-isolamento internazionale.
Come funziona. Della categoria terrorismo è stata affermata, in primo luogo, una sorta di proprietà esclusiva non semplicemente occidentale: l’accusa di terrorismo è a disposizione esclusiva della sovranità statale, può essere cioè operata solo da parte di uno stato (occidentale). Qualcun altro ci può provare, ma non ne segue nulla. Ciò significa, di converso, che uno stato non può essere indiziato o accusato di terrorismo, se non in via del tutto eccezionale e, naturalmente, solo quando non si tratti di uno stato occidentale, inoltre appartenga all’elenco statunitense degli “stati canaglia” (oggi un po’ afflosciato, mi pare ci rimanga solo la Corea del Nord). Nei confronti di uno stato (Corea del Nord a parte) certo l’accusa può essere quella di “crimini contro l’umanità”: equipollente nella gravità obiettiva a quella di terrorismo, serve però a evitare che dinanzi a crimini di massa da parte di uno stato si parli di terrorismo. Si tratta infatti di evitare il rischio che l’accusa di terrorismo tanto disinvoltamente abusata dai paesi occidentali possa essere usata contro una parte di essi. Di evitare dunque il rischio che si cominci a parlare di terrorismo israeliano, turco, e, perché no, statunitense, francese, britannico, anche italiano (l’accenno è alla guerra fatta alla Libia). In altre parole, forse più precise, si tratta di caotizzare il più possibile il quadro giuridico di riferimento delle possibili accuse di strage di popolazioni civili rivolte ai governanti occidentali, e così di ridurre al minimo il rischio che prima o poi finiscano dinanzi al Tribunale Penale Internazionale dell’Aja. Solo qualche governante stragista africano o balcanico continua perciò a incorrere in una tale disavventura.
I portatori politici o militari delle varie sovranità occidentali possono dunque bombardare, deportare, macellare migliaia o decine di migliaia o centinaia di migliaia di esseri umani. Possono torturare. Possono distruggere intere città. Possono aprire conflitti che diventano piaghe epocali dentro alle quali sono annullate le vite di decine di milioni di esseri umani. Ma, perché manifestazioni questi crimini della sovranità statale, i loro protagonisti fondamentali non sono terroristi. E, avendo caotizzato il quadro giuridico internazionale, neanche essere messi in stato d’accusa davanti a un tribunale internazionale. Terroristi sono solo quelli che gli si oppongono ricorrendo anche a mezzi militari, anche quando non siano affatto terroristi, com’è nella grande maggioranza dei casi, ma rappresentanti di popolazioni o classi estremamente oppresse. Tra parentesi, non si tratta di novità storiche: la novità sta solo nella loro feroce parossistica attualità. Garibaldi fu a lungo un pericoloso terrorista ricercato dalle polizie italiane, e i militari nazisti (espressione della sovrana Germania) indicavano tra il 1943 e il 1945 come percorsi da Banditen, che significa quasi la stessa cosa, i territori italiani dove operavano forze partigiane. Chiusa parentesi. Al contrario, sono terroristi i curdi del PKK e lo sono stati fino a ieri i palestinesi di Hamas. Che siano tali lo hanno deciso i governi assassini, razzisti e stragisti della Turchia e i governi assassini, stragisti e colonialisti di Israele; e siccome si tratta di alleati decisivi oltre che storici degli Stati Uniti, PKK e Hamas sono diventati terroristi per l’Unione Europea. Visto che l’attuale governo turco dell’AKP si sforza di superare nel peggio le infamie anticurde dei precedenti governi militari di estrema destra o laici più o meno kemalisti, l’Unione Europea verrà chiamata prossimamente dalla Turchia a dichiarare terroristi anche i giornalisti, gli sportivi, i preti islamici ostili al governo, dato che appunto è di terrorismo che sono accusati?
Alla proprietà e alle declinazioni occidentali della categoria terrorismo si è rapidamente aggiunta l’intangibilità assoluta delle frontiere statali, anche quando non abbiano altro senso che produrre conflitti tra popolazioni diverse, data la natura oppressiva dei governi e la loro violazione dei diritti linguistici delle minoranze. Alla sovranità che ormai rivendica il diritto di comportarsi nella più assoluta libertà non poteva continuare a seguire la possibilità di riduzioni del territorio, anche quando legittime dal punto di vista politico e da quello morale. Quindi non è terrorista il bombardamento delle città ucraine dell’est, popolate da russi, da parte del governo ucraino, è terrorista la rivolta dei russi dell’est ucraino. Il governo ucraino, essendo formalmente il governo dello stato, è riconosciuto come legittimo in ogni suo atto, non è terrorista per definizione; la rivolta dei russi dell’Ucraina, non disponendo un governo riconosciuto, è anche per questo terrorista. Mentre da un lato si predica, da parte occidentale, la necessità di soluzioni politiche, dall’altro il sostegno politico a poteri solo perché formalmente statali comporta un’asimmetria nel rapporto tra le parti in conflitto che fa sì che la trattativa non ci sia o sia una finzione, la popolazione soffra, la situazione si incancrenisca, cresca il rischio di un allargamento ingovernabile della tensione tra Occidente e Russia.
Tutto quanto, infine, è giustificato da parte occidentale, dinanzi prima di tutto a se stessa, da giaculatorie di tipo fondamentalmente moralistico, alla base delle quali, in forma religiosa-protestante o laico-illuministica, vengono vantati i valori di democrazie in realtà sempre più odiose perché, in tutta evidenza per il resto del pianeta, sempre più vuote, manipolate, sociopatiche, egocentriche, prepotenti, indifferenti alle sofferenze, da esse stesse fondamentalmente determinate, di centinaia di milioni di esseri umani, indifferenti infine alle condizioni delle future generazioni umane.
Spingersi oltre nell’analisi rendendola più concreta obbligherebbe a guardare alle situazioni accennate anche esaminandone peculiarità e differenze, inoltre affrontando limiti o avventurismi, a volte, di chi si ribella. Ma questo è un articolo che deve rimanere abbastanza breve. Concludo esprimendo il mio enorme apprezzamento per il fatto che la Corte di Giustizia di Strasburgo (Corte, rammento, legata, pur nella sua indipendenza, al Consiglio d’Europa, organismo che comprende i paesi europei nella loro interezza; da non confondere, quindi, con la Corte di Lussemburgo, legata all’Unione Europea, che si occupa di vertenze implicanti le sue istituzioni o i suoi paesi) ha ordinato con una recente sentenza di escludere l’organizzazione patriottica palestinese Hamas dall’elenco delle organizzazioni terroristiche. Certo potrà esserci da parte di fatto israeliana un ricorso, in ogni caso Hamas da quest’elenco esce. Le motivazioni della sentenza sono ovvio: in base al diritto internazionale, a partire dalla Carta delle Nazioni Unite, una popolazione oppressa da un potere criminale (nel caso di Hamas, dal potere stragista e colonialista israeliano) ha diritto alla rivolta. È molto semplice. Si può certo discutere se i mezzi di lotta adottati da Hamas siano i più validi, se essa non abbia ecceduto, tirando missili casarecci, nel mettere a repentaglio vite palestinesi, sapendo delle inevitabili micidiali ritorsioni israeliane: ma si tratterà di una discussione di qualità tutta diversa, poiché tra palestinesi e amici dei palestinesi. Per quel che so, senza le risposte di Hamas all’occupazione israeliana la questione palestinese sarebbe stata chiusa da un pezzo a tutto vantaggio di Israele, essendo fallimentare e paralizzante l’investimento dell’Autorità Nazionale Palestinese sulla mediazione statunitense. Questa sentenza della Corte di Strasburgo è una meraviglia, segno forse che non tutto è perduto in Europa, segno forse che i giganti che opprimono hanno, come diceva il vecchio Mao, i piedi di argilla, e che questi piedi hanno cominciato da qualche tempo a sbriciolarsi.
A quando analoga esclusione del PKK dall’elenco europeo delle organizzazione terroristiche? Occorrerà aspettare una sentenza da Strasburgo, o ci penserà (è nel suo potere) il Consiglio Europeo? (Esso formalmente esamina ogni sei mesi quell’elenco, aggiornandolo; concretamente, l’esame avviene quando richiesto; e a richiederlo può anche essere una rappresentanza legale). Da una parte ci sta, negativamente, che, a differenza di Israele, la Turchia è un partner economico importante dell’Unione Europea, e business is business; inoltre che è la seconda forza militare della NATO, seconda solo a quella statunitense; infine che tutto l’Occidente sta premendo perché cessi di supportare lo Stato Islamico e tende a rabbonirla non contrastandone troppo le pretese anticurde. Dall’altra parte ci sta, positivamente, che il PKK è l’unica effettiva forza combattente sul terreno oggi operante contro lo Stato Islamico, entità questa sì terrorista e inoltre pericolosissima per l’Occidente intero; dunque l’unica forza che sul terreno difende valori democratici e interessi sporchi occidentali. Dirgli grazie sarebbe il minimo.