Giovedì, 25 Dicembre 2014 00:00

Anche le vite dei neri sono importanti

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La vigilia di Natale è stata accompagnata, oltreoceano, dalla notizia della crescita del PIL statunitense del 5% nel terzo trimestre dell'anno. Abbiamo visto in televisione il Presidente Obama festeggiare, circondato da bimbi danzanti, augurando buone feste a tutti, dato che del disastro del 2008 gli USA sono completamente usciti.

Che poi, forse, questo scatto avanti non riesca a mandare tutta la polvere sotto il tappeto non si dice. Leggiamo della tensione arrivata alle stelle a causa delle violenze della polizia sulla popolazione di colore ma difficile che ci mettano nell'orecchio che forse tutti questi omicidi sono sintomatici di una situazione sociale che sta effettivamente degenerando.

Di due giorni fa la notizia drammatica dell'ennesimo omicidio. A perdere la vita Antonio Martin, diciottenne ucciso a colpi di pistola dalla polizia in una stazione di servizio nella periferia di Ferguson, Missouri. Il poliziotto afferma di aver agito per legittima difesa contro il giovane che gli avrebbe puntato contro un arma da fuoco; la madre afferma che Antonio fosse fuori con la fidanzata. I fatti comunque restano: l'ennesima vittima. L'ennesima vittima di colore uccisa da un poliziotto bianco. Sinceramente mi dà molto fastidio dover specificare il colore della pelle di aggressore e vittima ma è evidente che nel clima che si vive negli Stati Uniti non sono elementi secondari.

Il Presidente Obama a inizio dicembre specificò che, per quanto il razzismo sia ancora radicato nella società, i tempi sono cambiati e che gli Stati Uniti non sono più quelli di cinqunt'anni fa. In un certo senso è vero, le cose in cinquant'anni sono cambiate: nella Lousiana del 1950 il razzismo era un elemento quotidiano, che quasi non destava scandalo. Era normale che i neri non potessero viaggiare sui mezzi pubblici come i bianchi o che le cameriere di coloro non potessero usare i servizi igienici dei padroni. Oggi, dopo sessant'anni di “esportazione della democrazia” e di sviluppo, elaborazione e affermazione dei diritti umani, tali discriminazioni non sono più possibili. È imbarazzante dover ammettere che, ancora oggi, il grandissimo crogiolo che vuole rappresentare una possibilità di affermazione per ogni uomo di buona volontà in realtà mantiene al suo interno barriere che fanno sì che, ad esempio, i maggiori tassi di analfabetismo o bassa istruzione si rilevino tra la popolazione ispanica o che tra i lavoratori maggiormente sfruttati e meno professionalizzati troviamo persone di colore.

Molto più facile rilegare i fatti degli ultimi mesi (dall'uccisione di Micheal Brown, freddato con più colpi di pistola a quella di Eric Garner, morto soffocato durante il fermo da parte di agenti della polizia all'omicidio di due poliziotti bianchi a New York, per vendetta dei due ragazzi neri uccisi) a spiacevoli episodi. Cose che capitano. Allontaniamo quello che sta accadendo dall'idea di conflitto sociale, riportiamo tutto ad una visione nella quale la violenza non esiste, dove, sì, c'è razzismo ma con le buone maniere si risolve tutto. E anche il cinema viene impiegato in quest'operazione di “raffreddamento degli animi”: l'anno scorso con The Butler, la storia del maggiordomo di colore alla Casa Bianca che si emancipa (?) con il duro lavoro e che disconosce il figlio Black Panther, a breve con Selma, un film sul pastore Martin Luther King e le sue marce per i diritti, di cui è veramente molto difficile pensare che l'uscita nelle sale sia casuale. Non a caso, il film che ha rappresentato in modo realistico lo sfruttamento sistematico dei neri da parte dei bianchi è realizzato da un regista inglese, Steve Mc Queen, che con il suo 12 anni schiavo ha fatto, a mio parere, davvero un capolavoro.

Nonostante gli sforzi fatti dal governo per appacificare gli animi (per il presidente Obama la questione della discriminazione e della violenza a sfondo razziale è, evidentemente, particolarmente scottante), diventa sempre più difficile non unire i puntini e farsi una visione di insieme che tiene insieme le violenze delle polizia agli scioperi per l'aumento del salario minimo dei lavoratori dei fast food. Il sindaco di New York De Blasio è stato apertamente contestato dalla NYPD per non aver difeso l'agente che ha scampato l'accusa di omicidio in seguito alla morte di soffocamento di Garner (ignobili le foto degli agenti di polizia ritratti con magliette con stampato “I can breathe”, a ridicolizzare le parole pronunciate dal ragazzo in punto di morte, oppresso dai poliziotti) e migliaia di persone sono costrette, alle soglie del 2015, a sfilare e protestare con cartelli che ricordano che “Black lives matter”, anche le vite dei neri contano.

Forse gli Stati Uniti non saranno quelli di cinquant'anni fa, ma di certo non sono poi tanto diversi.

Ultima modifica il Mercoledì, 24 Dicembre 2014 19:49
Diletta Gasparo

"E ci spezziamo ancora le ossa per amore
un amore disperato per tutta questa farsa
insieme nel paese che sembra una scarpa"

Cit.

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