Una vittoria del sì alle condizioni presentate dai creditori comporterebbe la continuazione del lento dissanguamento greco iniziato qualche anno fa e che – proprio come i salassi dell’antica medicina – nulla risolve. La continuazione delle misure di austerità non farebbe altro che condurre la Grecia ad un default differito e dalle conseguenze se possibile aggravate dall’introduzione, tanto cara ai popolari ma anche ai socialisti, di un mercato del lavoro ottocentesco e dalla perdita di ogni asset strategico pubblico.
Una vittoria del no potrebbe rafforzare il governo Tsipras al tavolo delle trattative (che potrebbero finalmente riprendere dopo il “nein” seguito all’annuncio del referendum da parte del premier greco), consentendo a Syriza di strappare qualche misura utile (come una dilazione del debito su tempi molto più lunghi) e di attuare qualche misura che dia respiro all’economia ellenica. Una vittoria del no potrebbe però aprire anche scenari ben più tragici qualora le posizioni della troika, irritata da così tanta sinistra, si irrigidissero portando ad un prosciugamento della liquidità per le banche greche con conseguente collasso del sistema, uscita dall’euro (già, ma come si esce tecnicamente dall’euro?) ed adozione di una dracma dal valore drammaticamente basso: sarebbe questa per la Grecia una devastazione dalla quale si riprenderebbe con difficoltà.
Qualunque sarà l’esito del referendum di domenica e qualunque piega prenderanno gli eventi dopo il cinque luglio la battaglia di Syriza dice alle sinistre di tutta Europa (in primo luogo a quelle spagnole, irlandesi e portoghesi) che è possibile immaginare, e provare a realizzare, un’Europa completamente diversa da quella costruita dalle élite conservatrici.