Senza cambiare neanche una virgola al testo, saremmo portati a pensare che la narrazione proposta sia un manifesto no-global, un volantino perduto nelle vie di Firenze e affiorato quasi un quindicennio dopo il Social Forum Europeo. Se non fossimo patiti della lettura di appelli e controappelli, potremmo scambiarlo per la chiamata della coalizione sociale: in fin dei conti, manca solo il termine “mutualismo” e poi potremmo immaginare la firma del segretario nazionale della FIOM.
Il paragrafo è tratto dall'ultima Lettera Enciclica di papa Francesco, “sulla cura della casa comune” (Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2015). Già qui, una prima perdita di conoscenza. Perché partire da qui per contribuire al “triangolo”? Partiamo dall'area in cui ha sede questo triangolo: l'Europa al cuore di una crisi senza fine, in cui non si avverte né una mutazione del capitalismo né tanto meno risposta egemonica alternativa. I racconti greci, spagnoli, irlandesi e lusitani sembrano – sotto una cinica luce generale – torbidi sommovimenti delle periferie dell'Impero. Timidezza complessiva ammanta le forze riconducibili alla storia del movimento dei socialismi europei, che dopo la sconfitta dell'impacciata prospettiva di Ed Miliband, lo scivolamento verso destra dell'opinione pubblica e dell'elettorato francese opposto al governo del Parti Socialiste e l'accettazione della grande coalizione da parte della SPD di Sigmar Gabriel, trovano (sic!) nel Partito Democratico di Matteo Renzi l'unica risposta vincente.
Una risposta che costruisce egemonia nel suo campo e rafforza propositi come quello di Manuel Valls, premier ministre d'Oltralpe, che ha appena incassato al congresso del PS a Poitiers un'insperata vittoria, frutto dell'alleanza fra l'attuale segretario Cambadèlis, l'ala innovatrice sociolibérale e i riformisti di sinistra raccolti intorno a Martine Aubry, sindaco di Lille, relegata ad un ruolo poco più rilevante di un Pierluigi Bersani dell'anno II p. R. - post Renzi (o Renzim, forse serve l'accusativo...). Lo droitisation dell'elettorato moderato francese e dei ceti medi impoveriti dalla crisi non rende solo più probabile una sfida al ballottaggio del 2017 fra Marine Le Pen e uno sfidante ancora non chiaro – forse l'attuale capo di Stato, forse il redivivo Nicolas Sarkozy che ha trasformato l'UMP ne Les Républicains, forse Alain Juppé ex premier sinistre, moderato, sindaco di Bordeaux. Nel momento in cui le risposte alle conseguenze sociali della crisi sono l'insistenza sul respingimento da parte del ministro ell'interno Bernand Cazeneuve sul versante dell'immigrazione o l'indennizzo dei licenziamenti per ragioni economiche sul versante del mondo del lavoro, cardine della proposta del ministro dell'economia Emmanuel Macron, cade la capacità delle antiche forze egemoni del mondo socialista e socialdemocratico di immaginare un'alternativa su cui spendere una battaglia culturale e politica.
È tristemente logico, dunque, come le posizioni durissime del governo d'Ungheria rischino di diventare un input valido per l'opinione pubblica e le forze politiche dell'intero continente: l'erezione di un muro al confine con la Serbia e l'uscita dal regolamento UE del 2003 che aggiornava la Convenzione di Dublino del 1990 in merito alla gestione dei richiedenti asilo – un dispositivo, peraltro, molto criticato dal Consiglio d'Europa e dall'UNHCR Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati – saranno forse i prossimi strumenti con cui verrà implementata la proposta di “blocco navale”? Le vicende elleniche circa la sfida fra rigore esasperato dei conti pubblici e ristrutturazione della posizione debitoria della Grecia vedono un intensissimo protagonismo da parte dell'ex Trojka: i socialisti europei, che hanno aumentato i propri consensi in rapporto al 2009 a fronte di una diminuzione dei voti dei partiti del PPE, non hanno canalizzato un rapporto possibile con forze alternative ai conservatori. La delega agli affari economici in Commissione Europea, conferita al socialista Pierre Moscovici dopo una durissima trattativa tra François Hollande e Angela Merkel, è affossata dal ruolo dominante giocato dal presidente dell'EuroGruppo, il ministro delle finanze olandese Jeroen Dijsselbloem, e dal primo vicepresidente della Commissione UE, Jyrki Katainen, delegato al lavoro, alla crescita e agli investimenti. Il primo, teoricamente socialdemocratico moderato, nei fatti ha rifiutato qualunque proposta di ristrutturazione del debito greco ed è stato protagonista del salvataggio delle banche cipriote nel 2013, frutto di un prelievo forzoso sui depositi bancari. Il secondo, già primo ministro in Finlandia con il partito liberal-conservatore di Coalizione Nazionale, ha “bacchettato” il governo Renzi nel novembre 2014 ricordando che «le regole sul debito sono importanti quanto quelle sul deficit». Katainen fu protagonista della clamorosa correzione del tiro riformatore del c.d. “piano Juncker” di rilancio dello sviluppo nell'UE: ricordate i 300 e più miliardi di investimenti annunciati dal presidente della Commissio UE? Ecco, in realtà erano solo 21, che «si moltiplicano al pari della fiducia degli investitori privati e ne mobilitano 315», come scrisse correttamente Guido Gentili sul Sole 24 Ore. Katainen specificò che la Banca Europea degli Investimenti sarebbe stata invitata a mobilitare tale gettito solo se avesse mantenuto la sua elevata posizione nei ranking finanziari internazionali. Prima le persone, no? Rigore, austerità, paure, crisi.
E 'sto triangolo quando arriva? Nel mezzo della crisi, che si abbatte sulla politica, una vasta capacità propulsiva della sinistra in Italia è esaurita dal 2008. La stagione di più elevato impatto sul panorama nazionale di una figura come Nichi Vendola è legata ad una fase ampia di mobilitazione sociale di cui gli studenti e le loro organizzazioni – sopravvissute alla morte delle giovanili di partito – sono stati indiscutibili protagonisti. Terminata quella fase, morto l'ultimo abbozzo di centrosinistra per timidezze bersaniane e larghe intese acute, Matteo Renzi è l'emblema di un ciclo storico e politico che, pur variabile in pochissimi anni per leadership e sigle, è fin troppo stabile. A confronto con tale fase, il triangolo degli insubordinati capaci di produrre vasta mobilitazione culturale e concentrano energie sociali è raccolto intorno a tre poli, di cui alcuni fortemente contraddittori ma non per questo da trattare con indifferenza. Una precisazione evidente: non m'interessa semplificare o banalizzare le tante insubordinazioni, giornaliere e necessarie, in tre proposte secche. Ritengo che esistano tre poli di attrazione importanti, nel mare più vasto delle disobbedienze che non fanno rete o delle esperienze locali che in questo stesso triangolo non si riconoscono – e al cui interno non intendo racchiudere.
La coalizione sociale raccolta attorno alla narrazione di Maurizio Landini, che punta alla ricostruzione di una rappresentanza a beneficio di quella maggioranza invisibile di precari e maistabilmente-occupati, che politicizza una vasta rete di militanti e punta ad ampliare lo spazio d'azione a elementi come il mutualismo. La giornata romana che ha dato inizio al percorso della coalizione si è arricchita con la riflessione sulla crisi della democrazia, oltre che su temi cardine come reddito e mutualismo. Parole antiche e nuove per il movimento operaio, sindacale e dal lavoro: dalla costruzione di luoghi sociali condivisi nascevano Leghe e Cooperative. Nomi che oggi sono ammantati dal grigiore degli scandali Capitali, ma che nuove generazioni riscoprono sotto un coworking o le pratiche dei lavoratori dello spettacolo, militanti e non che provano a spaccare la logica della mera auto-imprenditorialità per restituire spazi inutilizzati all'utilità pubblica.
La Chiesa Cattolica, che dal 2013 trova nel pontefice argentino non un traino sovrastrutturale o un novello oppiaceo per popoli inventato da un ufficio marketing, ma l'espressione netta e indiscutibile di una presa di posizione autonoma che fa perno sulla fede cristiana e cattolica, prosegue in palese continuità il magistero della Santa Sede e produce significative discontinuità nella sua declinazione pastorale e l'actuosa partecipatio di clero e fedeli, di cui sono espressioni il Sinodo dei Vescovi sul tema della famiglia e l'attivismo dei movimenti d'ispirazione religiosa sul versante sociale. Nella Chiesa di Francesco si ricostruisce una narrazione egemonica che fa perno sullo sganciamento reale dal potere politico e, al contempo, è capace di lanciare messaggi autonomi in cui l'esigenza di alloggi popolari o il pari salario per uomo e donna fanno il pari con il rilancio sui temi etici, l'attacco aperto sull'educazione ai generi. La ventura assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi è chiamata a fare un punto sui nodi insoluti dall'assemblea straordinaria dell'autunno 2014, aperta – per la prima volta nella storia di questa fede – da una “campagna di ascolto” condotta in tutte le diocesi del mondo. La stessa Chiesa italiana avrà il suo momento di discussione: attraverso il Convegno ecclesiastico nazionale di novembre a Firenze, il quinto dalla nascita della Conferenza Episcopale, la CEI proverà a raccontare «in Gesù Cristo il nuovo umanesimo», come recita la traccia scritta da mons. Cesare Nosiglia. Più che una traccia «un testo aperto, che vuole stimolare un coinvolgimento diffuso verso il Convegno, arrivando per quanto possibile a tutte le realtà delle nostre Chiese locali» (In Gesù Cristo. Il nuovo umanesimo, p. 6).
Una traccia da cui emerge una forte lettura della società: scrive, infatti, il comitato preparatore presieduto da Nosiglia che «l’orizzonte storico nel quale siamo entrati è oscurato da nubi minacciose. Siamo sfidati da un capitalismo meno liberale e più autoritario, dove il potere politico appare indebolito. Le armi riprendono a farsi sentire in scenari in cui le guerre si combattono in modo nuovo, sempre più tecnologico, su diversi fronti regionali e nazionali, e anche sui palcoscenici mediali globali» (Ibidem, p. 22). Non è Tsipras, ma l'arcivescovo di Torino. La condanna del culto dell'autosufficienza prodotto dal capitalismo è, da un lato, il segno di rinascita dei legami solidali e comunitari e, dall'altro, il rilancio sull'idea di dignità connesso alla persona. In tale rilancio, al netto delle miriadi di contraddizioni legate a movimenti oltranzisti tipo Sentinelle in piedi e di personaggi dubbi da palco del Family Day, si esprime il dinamismo del messaggio della Chiesa, interlocutore necessario e attore autonomo con cui deve avere profondamente a che fare qualsiasi esperienza politica che si poggi sul concetto di uguaglianza e solidarietà fra “ultimi” e “penultimi”. Il grillismo, considerato in tutta la sua radicalità di pratiche, le sue contraddizioni di contenuto (si veda il caso dell'immigrazione e le spregevoli parole usate in qualche tweet), la sua diversità di posizionamenti (gli “ex grillini” di Alternativa Libera e Italia – Lavori in Corso, interlocutori di Sinistra Ecologia e Libertà, i gruppi parlamentari “ortodossi”, le varie declinazioni delle liste Cinque Stelle presenti sul territorio). Il grillismo continua a radicarsi come indignazione netta e senza colore, “eversione democratica”. Al netto dei mille imbarbarimenti comunicativi e culturali di cui è portatore lo stesso Grillo e i suoi più fidati sodali, quel mondo resta ancora il coagulo interclassista più credibile per qualsiasi elettore interessato a rovesciare il banco della gestione del potere. L'erosione – pur incompleta – da parte di Salvini dell'elettorato più sensibile alla “ruspa” non evita la concentrazione in un soggetto che è ormai sul podio dei principali partiti nelle elezioni locali di tutte quelle persone che hanno creduto ai “riformismi” proposti negli ultimi vent'anni e che, per esperienza personale, hanno coscienza piena della barbarie liberista di cui è portatore il governo del Partito Democratico.
Ilvo Diamanti ha precisato più volte che l'elettorato 5Stelle è composto in parte ampia da disoccupati, precari, giovani e giovanissimi, latori “naturali” del cambiamento di cui è megafono plurale un Movimento teoricamente senza classe dirigente. Un grande assente fra i vertici del triangolo. Il sindacato. Il più grande sindacato d'Europa, quello capace di organizzare le più potenti mobilitazioni. Probabilmente, il più colpito dagli schiaffi del “partito del centrosinistra” al governo del Paese, oltre che il più complesso nell'immaginare la sua proiezione nel futuro. La sfida della coalizione sociale, in questo senso, interroga la CGIL rispetto al suo essere per i prossimi decenni: quale corpo, anzi, quali corpi sociali s'intendono rappresentare? Quale modello di lavoro? Non ho parlato di Civati? Fassina? Cofferati? Non ho scritto se il “nuovo partito” deve essere più socialdemocratico o più amico della GUE? Ritengo che il “triangolo” proposto possa essere la lettura di un mondo in cui qualsiasi rete/soggetto che pratichi in modo autonomo un'agenda di trasformazione poggiante su solidarietà e uguaglianza costruisce le proprie relazioni. Al netto del bisogno di protagonismo a sinistra, non è una risposta utile ad alcuno l'organizzazione di micro-ceti politici in barba ai veri poli politico-sociali capaci di aggregare consenso in quel campo attraversato dalle nostre idee. Reddito, mutualismo,integrazione, solidarietà: per rendere concreta qualsiasi di tali prospettive coltivare un nesso fra lo spazio sempre più piccolo di militanza a sinistra e questi vertici del triangolo è necessario. La ricostruzione di una narrazione ampia richiede molto più tempo della scrittura di uno statuto o della creazione di un simbolo, ma è vitale. Nella prosecuzione indeterminata della crisi, la fuga dalla democrazia rende necessari nuovi fronti popolari – fatti un po' meglio di quello del '36 francese – affinché l'Europa non ricaschi nei suoi soliti, pessimi errori.