Ma per i lavoratori forse la conseguenza negativa più grave era sul piano politico sindacale con la storica esclusione della Fiom dallo stabilimento. Un vero shock per un sindacato che nell'Italia democratica, anche durante le fasi di contrapposizione più dura non era mai stato cacciato dagli stabilimenti. Un gravissimo colpo alla libertà di espressione e alla rappresentanza sindacale dei lavoratori che, letto alla luce degli avvenimenti politici degli anni seguenti, si mostrava come sintomo di una democrazia ormai morente. Soltanto con la sentenza della Corte Costituzionale del luglio 2013 venne ripristinata la situazione gravemente lesiva della dignità dei lavoratori, stabilendo l'illegittimità dell'interpretazione dell'articolo 19 dello Statuto dei lavoratori nella parte che consentiva la rappresentanza sindacale aziendale (Rsa) ai soli sindacati firmatari del contratto applicato nell'unità produttiva e consentendo così il rientro della Fiom.
Oggi un altro referendum pone una svolta importante che probabilmente determinerà una frattura rilevante per tutti, con un avanzamento dei diritti di tutti o viceversa una loro prevaricazione. Il fallimento del progetto riformista del governo greco guidato da Syriza ha determinato una situazione di stallo politico da cui il suo leader Tsipras ha saputo uscirne solamente rimettendo il suo mandato direttamente nelle mani del popolo. Infatti, il 27 giugno lasciando l'ultimo Eurogruppo, il premier greco ha convocato un referendum popolare per far approvare o al contrario respingere direttamente dal popolo greco le ultime riforme proposte dalla Trojka.
Ecco che, come ci viene spiegato dagli stessi conservatori (leggi qui): proprio in questo frangente i tre attori sovranazionali hanno operato con strategie simultanee per chiudere nell'angolo il popolo greco come non avevano osato fare in seguito all'elezione del governo lo scorso gennaio. La manovra articolata dalla Trojka ha imprigionato Atene in una nuova gabbia dalla quale è risultato fin da subito difficilissimo uscirne. La Bce che aveva già operato astutamente con i 1.140 miliardi del Quantitative Easing con i quali ha inondato l’Europa badando bene di escludere la Grecia, ha poi rinunciato a innalzare il Fondo Ela, facendo non solo chiudere le banche ma ponendo di fatto la Grecia fuori dall'euro e interrompendo la libera circolazione di capitali nel paese (come viene fatto notare qui). Parallelamente mentre la Commissione Europea fingeva di continuare a voler trattare col governo greco, anche a distanza, per lo meno fino all'ordine contrario giunto da Berlino, il Fmi faceva partire i suoi colpi più duri. Il 30 giugno il governo greco dopo aver sempre pagato le rate del Fmi, anche ponendo la disponibilità a ritrattare molti punti del proprio programma, si è trovato nella condizione di non poter più saldare il suo debito, divenendo il primo paese avanzato a fare default sostanziale, anche se mascherato per ora dietro la dicitura di "arrears". Nella notte tra il 30 giugno e il 1 luglio è così giunta la prima condizione dal Fmi: prolungamento fino a cinque anni della scadenza a condizione che nel referendum prevalga l'opzione Nai (Sì) [come ricorda Il Sole 24 Ore].
Ecco dunque svelata la natura democratica delle istituzioni che i nostri "eroi" volevano mostrarci, magari cambiando loro nome e provando ad intavolare trattative. Peccato queste si siano rivelate per ciò che sono, ossia delle emanazioni del mai sopito spirito nazista che cova nel cuore dell'Europa (vedi l'articolo di F. Bifo Berardi) pronte a stroncare la Grecia per educare gli altri paesi riottosi.
Resta da chiedersi cosa si può concretamente fare in questi giorni per fronteggiare una situazione tragica come quella dei compagni greci ed è inevitabile che le posizioni ultraminoritarie a cui siamo ridotti come sinistra comunista non aiutino, ma nel nostro piccolo un'esperienza simile l'avevamo vissuta. Da quel referendum finito male abbiamo imparato come la strada del riformismo democratico sia spesso risultata un insufficiente strumento di difesa dei diritti fondamentali, tant'è che fu Marchionne stesso a intraprendere la via del referendum concepito come plebiscito perché il potere ricattatorio gli consentiva di renderlo tale manipolando il voto per via indiretta. Ecco, un avvertimento, ormai in ritardo, che si può lanciare ai greci è proprio questo: era difficile uscire dall'impasse in altri modi, ma ricorrendo a strumenti che concedono tutto il potere ricattatorio alla controparte si rischia di peggiorare notevolmente la situazione. Una vittoria del Sì al referendum di domenica a mio avviso sarebbe infatti disastrosa non solo per le ricadute negli altri Piigs, ma sarebbe in primo luogo un tonfo per la Grecia che finirebbe nelle grinfie di un nemico vendicativo nel bel mezzo di una crisi politica che rischierebbe di ribaltare la situazione verso le destre neonaziste. L'ironia della sorte vuole che sia proprio un referendum a decidere le sorti future della Grecia, ma il referendum è un'arma a doppio taglio e quando si insinua una possibilità di ricatto forte, esso da strumento di democrazia diretta in cui anche gli ultimi possono intervenire direttamente, diventa strumento di morte per operai e popoli.