Mercoledì, 18 Novembre 2015 00:00

La catastrofe è in corso, ma è arrestabile. A determinate condizioni prima di tutto politiche.

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La catastrofe è in corso, ma è arrestabile. A determinate condizioni prima di tutto politiche.

L’intervento russo nella tragedia siriano-irachena e la terribile strage del 13 scorso a Parigi a opera dei killer fanatici dello Stato Islamico pare stiano cambiando parte delle coordinate insensate, politiche e militari, con le quali Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Unione Europea hanno affrontato da cinque anni a questa parte questa tragedia. Sarà sufficiente quel che si comincia a vedere? Non è detto; non è detto, prima di tutto, che il comportamento occidentale riuscirà a essere coerente. Anzi si può già constatare come non abbia l’intenzione di essere tale.

Cominciamo dalle novità positive. Le trattative di Vienna sulla Siria e l’intrico di guerre che ne stanno distruggendo città e popolazioni hanno appena partorito, investite dalla strage di Parigi, dichiarazioni che paiono importanti, per bocca di Obama e Kerry, Putin e Lavrov. L’intesa tra Russia e Stati Uniti, già operante sul piano dei bombardamenti aerei, sarà estesa alla totalità delle operazioni e degli attori militari legati ai due paesi. L’intervento russo è stato positivo e la transizione di governo in Siria dovrà avvenire per via pacifica, ha riconosciuto Obama, ottenendo in cambio la disponibilità della Russia a questa transizione di governo. Ciò dovrà significare come prima cosa la realizzazione del cessate il fuoco tra governo siriano e sue opposizioni armate non considerate terroriste, poi l’avvio di una trattativa tra queste forze. Competerà alla Giordania il censimento delle opposizioni armate non terroriste.

Reggerà quest’intesa? La Russia, che ne è protagonista decisiva, appare al tempo stesso estremamente scettica. I nemici di quest’intesa sono gli alleati storici fondamentali degli Stati Uniti e dell’Occidente nell’area. Sono stati con i quali l’Occidente fa colossali affari sporchi e puliti di tutti i tipi. Sono il governo criminale e liberticida della Turchia, il governo della destra razzista e colonialista israeliana, i governi medievali sunniti di Arabia Saudita e Qatar. La Turchia, detentrice del secondo esercito della NATO, dichiara il suo totale consenso alla guerra occidentale contro il terrorismo, salvo praticare il suo contributo facendo guerra alle popolazioni curde di Turchia, Siria e Iraq e bombardando gli insediamenti del PKK curdo-turco in Turchia e Iraq, le sue organizzazioni giovanili, il PYD curdo-siriano e le sue milizie. Arabia Saudita, armata fino ai denti dagli Stati Uniti, e Qatar, armato fino ai denti dalla Francia, risultano impegnati a fondo nella guerra civile in corso nello Yemen in appoggio al suo governo e contro l’alleanza tra sciiti e parte delle forze armate yemenite. Tra gli alleati di fatto di Arabia Saudita e Qatar troviamo in Yemen la locale al-Qaeda, che ha potuto quindi estendere il proprio controllo su quasi tutta la vasta parte orientale dello Yemen e formarvi un analogo dello Stato Islamico.

Si legga per capire meglio le cose il notiziario Sole Parev, prodotto da UIKI Onlus/Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia. Nel suo più recente comunicato ci informa di come la città curdo-turca di Silvan sia dal 2 novembre cioè da due settimane sottoposta a coprifuoco di 24 ore, assediata e bombardata dalle forze armate turche. Carri armati ne percorrono le strade e ne distruggono a cannonate gli edifici, altri carri armati la bombardano dalle colline, gli elicotteri bombardano e mitragliano, cecchini sparano a vista su quegli abitanti, anche donne, anziani, ragazzini che escono di casa in cerca di acqua e di cibo. I feriti non possono essere raccolti e rimangano a morire sulle strade. I morti non possono essere seppelliti. Il “reato” della popolazione di questa città è di essersi organizzata a difesa propria e delle sedi delle proprie organizzazioni politiche e sociali contro i continui attacchi delle forze di sicurezza e di polizia e a prevenzione di stragi, come quelle di Suruç e di Ankara, da parte dei gruppi dello Stato Islamico intrecciati alla polizia e ai servizi di intelligence. Quanto ad Arabia Saudita e Qatar è stranoto al mondo che si tratta dei finanziatori originari di talebani, al-Qaeda (il cui braccio siriano è al-Nusra) e altre organizzazioni terroriste sunnite e che parte delle famiglie reali continua tranquillamente a finanziare oltre ad al-Nusra/al-Qaesa lo stesso Stato Islamico, d’altra parte sorto da una costola irachena di al-Qaeda.

Mi stavo dimenticando di Israele: che, oltre a continuare a massacrare palestinesi, a distruggerne le abitazioni e a rubargli territori, come fanno da cinquant’anni, adesso bombardano truppe hezbollah “ree” di avvicinarsi troppo ai loro confini, uccidendo dunque sciiti libanesi e loro comandanti iraniani che stanno combattendo contro Stato Islamico, al-Nusra ecc., recando così un contributo non da poco alla propaganda anti-occidentale di queste organizzazioni in Medio Oriente, Africa, Europa, vedi ghetti arabi delle periferie francesi, ecc.
Contemporaneamente in queste settimane è accaduto che forze curde, milizie yazide e cristiane inquadrate dai curdi e miliziani di tribù arabe hanno attaccato con successo nel nord dell’Iraq lo Stato Islamico nella zona di congiunzione tra le sue parti irachena e siriana, quindi interrotto questa congiunzione: ciò che potrebbe consentire la conquista in Siria, da parte curda e di tribù arabe sunnite, della “capitale” Raqqa dello Stato Islamico e la sempre rimandata conquista in Iraq della città di Mosul e del territorio a essa circostante, da parte curda, dell’esercito iracheno, di milizie sciite, di tribù arabe sunnite. Giova fare presente (lo ha scritto Adriano Sofri, presente in quell’area, su Repubblica) che all’attacco curdo nel nord dell’Iraq hanno contribuito, accanto ai peshmerga curdo-iracheni, anche le milizie del PYD curdo-siriane e quelle del PKK curdo-turco (probabilmente con parte delle sue milizie stanziate nel nord dell’Iraq).

L’uso del cervello dovrebbe quindi consigliare all’Occidente, o meglio ai suoi comandanti politici in capo statunitensi, qualche ragionamento su quelli che sono gli alleati veri nella guerra allo Stato Islamico e quelli fasulli, anzi che remano contro. Non si tratta necessariamente di prenderli a calci, ma di imporgli almeno di starsene tranquilli. Ma non pare che stia andando così. Abbiamo appreso come gli Stati Uniti abbiano interrotto nei giorni scorsi, su richiesta turca, e violando un impegno ben preciso, i rifornimenti militari (tra l’altro fatti solo di armamento leggero) ai miliziani curdo-siriani del PYD, quelli, per intendersi, della battaglia di Kobanê. D’altra parte l’Occidente si è ben guardato dal cancellarli, a oggi, dall’elenco delle organizzazioni “terroriste”, dati i loro rapporti di consanguineità politica democratico-rivoluzionaria al PKK. Ma soprattutto è accaduto (ciò che descrive perfettamente la qualità politica e morale infima dei vari personaggi alla testa dei governi europei e dell’Unione Europea) che Angela Merkel, messa in difficoltà da una destra democristiana che non accetta l’ospitalità tedesca alla povera gente disperata in fuga dalla Siria, è corsa a chiedere al presidente turco Erdoğan di bloccarne il passaggio dalla Turchia alla Grecia in cambio della disponibilità alla riapertura delle trattative di adesione della Turchia all’Unione Europea (la Germania si era sempre pronunciata contro quest’adesione); e pressoché contemporaneamente è arrivata la decisione di tenere il G20, cioè la riunione delle maggiori potenze economiche occidentali più la Cina, in Turchia. L’intento occidentale è quanto meno di ottenere dal governo turco la cessazione dei molteplici favori che da cinque anni reca al fondamentalismo sunnita, Stato Islamico compreso. Ovviamente Erdoğan ha interpretato tutto quanto come manifestazioni di debolezza e di rincretinimento da parte occidentale, come provano oltre al bombardamento di Silvan la continuazione delle detenzioni di migliaia di giornalisti, di esponenti del partito curdo legale HDP, ecc. ecc. e, soprattutto, il fatto che i profughi continuano a imbarcarsi sulle coste turche, e ad annegare: ciò che consente a Erdoğan di continuare a tenere sotto ricatto Merkel e Unione Europea. Parimenti Obama, dopo avere sconsolatamente affermato che la questione palestinese potrà essere affrontata solo alle calende greche, date, a suo avviso, le “rigidità” delle due parti in causa (carri armati e aerei contro sassi e coltelli), si è affrettato a ricevere negli Stati Uniti Netanyahu e a dichiaragli che Israele è l’alleato numero uno, “speciale”, ecc. degli Stati Uniti. Netanyahu naturalmente ha giurato a Obama di volere una Palestina fatta di due stati ecc. Ovviamente da quest’incontro egli ha tratto le medesime conclusioni tratte da Erdoğan dall’incontro con Merkel e soci.

Funzionerà davvero, perciò, l’intesa delineata a Vienna? Basterà l’impegno sul terreno dello schieramento costituito da Siria, Iran, hesbollah libanesi, curdi? Turchia, Israele, Arabia Saudita, Qatar cioè le maggiori potenze militari mediorientali hanno tutta la convenienza a che il tritacarne siriano continui, a nome dei propri obiettivi di espansione territoriale o di contrasto all’irredentismo curdo o di contrasto alla presenza sciita e iraniana. Davvero riconsidereranno o moduleranno i loro comportamenti in modo da non mandare per aria quell’intesa? Oppure decideranno di continuare a fare i loro comodi? Le opposizioni armate siriane classificate come non terroriste, a loro volta, risponderanno alle richieste di chi, Stati Uniti, le ha armate, o alle richieste di Turchia, Arabia Saudita, Qatar, che possono decidere di farle distruggere da al-Nusra e Stato Islamico? Si vedrà. Scommettere che tutto andrà liscio è molto rischioso.

Tra le reazioni politiche in Europa alla strage di Parigi ce ne sono di pericolosissime, e come tali da contrastare anche con i mezzi di una mobilitazione civile. Al caporione leghista Salvini non è parso vero di dare sfogo ai suoi deliri razzisti: occorre bombardare bombardare bombardare dappertutto in Medio Oriente e in Africa, bloccare i profughi, respingerli anche se sono in mare, rimandarli a casa cioè ai loro territori distrutti se sono già in Europa, interrogare uno per uno e sottoporre a ferreo controllo di polizia i cittadini europei di fede mussulmana, ecc. Il tentativo leghista è il solito della conquista di qualche voto usando l’esasperazione popolare. Il ricorso a tali mezzi sarebbe solo di ausilio alle campagne di reclutamento e ai conseguenti attentati dello Stato Islamico in Europa. Addirittura peggiore per gli effetti e per gli intendimenti politici appaiono le dichiarazioni e le decisioni del presidente francese Hollande. Questi ha affermato la necessità di un intervento occidentale più efficace nella tragedia siriano-irachena come intervento puramente militare, inoltre ha ordinato il bombardamento della “capitale” in Siria dello Stato Islamico Raqqa e dichiarato l’impegno a continuare con i bombardamenti. Lo Stato Islamico ha reagito affermando che le bombe francesi sono cadute su aree deserte. Speriamo sia vero: altrimenti avrebbero realizzato un massacro di gente innocente. Raqqa infatti è una città che prima della guerra era abitata da oltre 200 mila persone, uomini, donne, bambini, anziani, ora sono senz’altro meno, comunque tanti. Va da sé che, trattandosi delle dichiarazioni e delle decisioni di una figura tra le più penosamente mediocri dei ceti politici di governo occidentali, il loro motivo è un altro e tutto di bottega interna: si tratta per Hollande di evitare che alle prossime elezioni francesi vinca il Front National di Marine Le Pen, e che questa vittoria mandi in pensione socialisti, centristi, gollisti, ecc.

E’ constatabile in questo modo di ragionare e di fare da parte francese (così come in quello degli Stati Uniti a partire dalle guerre mosse all’Iraq e all’Afghanistan) quest’illusione: l’idea che l’alta tecnologia militare possa essere lo strumento risolutivo della guerra quando il nemico non ne sia in possesso, o lo sia marginalmente. Non è più così da un pezzo. L’alta tecnologia militare è servita storicamente all’Europa occidentale e agli Stati Uniti ad andare, a partire dal Cinquecento, all’assalto del mondo e a sterminare le popolazioni delle Americhe e dell’Australia, a trarre schiavi dall’Africa e dall’Asia, a colonizzarne vasti territori e a sconfiggerne le rivolte popolari: ma i tempi dopo la seconda guerra mondiale sono progressivamente cambiati. Gli Stati Uniti ormai perdono, in concreto, tutte le guerre che fanno. Lo Stato Islamico non è solo una forma radicalmente reazionaria e barbarica di rivolta contro l’Occidente: è anche una forma di rivolta straordinariamente moderna, proprio in quanto capace di confrontarglisi militarmente e in quanto capace di egemonia su quote di popoli esasperati per via delle sopraffazioni occidentali storiche e attuali. Certo la soluzione auspicabile della tragedia mediorientale non può evitare il ricorso a mezzi militari, nata la natura, le azioni e i programmi dello Stato Islamico: ma deve essere prima di tutto una soluzione politica. Parimenti il fatto che debba essere prima di tutto una soluzione politica implica un diverso modo di praticare il ricorso a mezzi militari. Altrimenti saranno guai gravi: regaleranno infatti consensi ulteriori allo Stato Islamico.

L’illusione infatti che l’alta tecnologia militare possa essere risolutiva implica un uso irresponsabile e quindi criminale dell’arma aerea. Essa è concepita da quest’illusione come largamente sostitutiva dell’intervento di terra: ciò che significa l’uso su scala estrema, in ogni circostanza, noncurante di fatto degli effetti cosiddetti collaterali, dei bombardamenti, dei droni, ecc. Anziché, quindi, essere impiegata esclusivamente in appoggio diretto all’intervento di terra l’arma aerea è impiegata prevalentemente se non del tutto contro bersagli dall’alto definiti a tavolino, gran parte dei quali ovviamente in centri urbani, dato che lo Stato Islamico non è fesso: comandi, depositi, caserme, centri di addestramento, ecc. Ciò significa migliaia di civili morti e feriti, di loro abitazioni distrutte, di migliaia di profughi, ecc. Il motivo per cui gli interventi aerei russi appaiono più efficaci non è dato tanto dalla loro numerosità quanto dal fatto che il regime siriano dispone di informatori sul terreno e passa immediatamente i risultati delle loro osservazioni ai comandi russi. La stessa cosa hanno fatto gli Stati Uniti da un certo momento in poi in ausilio ai difensori di Kobanê: ma sul resto del territorio siriano e su quello iracheno non dispongono e continuano a non disporre di niente. In breve il primato della politica sulla guerra dovrebbe comportare un uso diverso dell’arma aerea: bombardamenti ben mirati e in appoggio prima di tutto alle azioni militari sul terreno. E ciò a sua volta comporta la necessità di truppe più numerose sul terreno. Però oggi sono a disposizione solo o quasi solo quelle del regime siriano, gli hesbollah libanesi, i curdi, per di più sottoposte agli attacchi di opposizioni armate, di Israele, della Turchia. Il primato della politica dovrebbe perciò comportare, accanto al cessate il fuoco tra stato siriano e opposizione armata non fondamentalista, anche una pressione decisa sulla Turchia perché la smetta di bombardare i curdi, l’armamento pesante di questi ultimi, una pressione decisa su Israele perché la smetta di bombardare gli hesbollah e i loro ufficiali iraniani, ecc. Ma questo sarebbe un rovesciamento radicale da parte occidentale, prima di tutto da parte statunitense, sul piano delle alleanze strategiche. Avverrà, magari in modo contorto? Al momento è improbabile.

Il primato della politica dovrebbe infine significare atti da parte dell’Occidente capaci di contendere i giovani mussulmani del Medio Oriente, delle altre parti del mondo e della stessa Europa a un fondamentalismo sunnita che offre una risposta, che a noi sembra insensata e orribile, al loro desiderio di ribellione e di riscatto rispetto a condizioni di miseria, emarginazione sociale, mancanza di lavoro e di prospettive di vita, oppressione colonialista o neocolonialista, ghettizzazione in periferie urbane invivibili. Può essere convincente in questo senso, è chiaro, solo l’offerta a questi giovani di ciò che gli manca: appunto il lavoro, l’inclusione sociale, la possibilità di una vita decente. L’Occidente ha i mezzi per farlo. Lo farà? Anche questo appare improbabile.
Non credo che lo Stato Islamico vincerà, credo che sarà sconfitto. Tuttavia le contraddizioni e le inconsistenze occidentali saranno, temo, causa di una guerra più lunga del necessario e portatrice come tale di un volume ancora enorme di perdite umane e di devastazioni. E, temo, tali contraddizioni e inconsistenze saranno causa anche di una superiore capacità di dissoluzione da parte delle destre estreme fascisteggianti di un’Unione Europea già in coma in ragione delle sue insensatezze economiche e delle sue politiche antisociali.

Ultima modifica il Mercoledì, 18 Novembre 2015 09:15
Luigi Vinci

Protagonista della sinistra italiana, vivendo attivamente le esperienze della Federazione Giovanile Comunista, del PCI e poi di Avanguardia Operaia, Democrazia Proletaria, Rifondazione Comunista. Eletto deputato in parlamento e nel parlamento europeo, in passato presidente e membro di varie commissioni legate a questioni economiche e di politica internazionale.

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