Nuovi cambiamenti dell’intero quadro mediorientale, e non solo di esso, cominceremo a vederli a breve, a seguito dell’assunzione dei poteri presidenziali da parte di Trump; ma a questo riguardo non può al momento che operare la massima incertezza. Tristissimo il fine mandato di Obama, preso a sberleffi da Turchia e Israele, ex protettorati statunitensi. gli stati Uniti non sono mai stati maestri di politica internazionale, risolta da loro in genere con atti i guerra o pressioni più o meno brutali su governi stranieri o ingerenze nella situazione di altri stati o colpi di stato laddove si verificavano fatti che non gli andavano; e poi si sarebbe visto. Cessata la tendenza, almeno in parte, a questo tipo di “linea”, dati i disastri che combinato in crescendo, quel che abbiamo visto in questi anni accadere a opera degli Stati Uniti in Siria è il record mondiale della testa tra le nuvole, del velleitarismo e al tempo stesso dell’incoerenza della loro presidenza; una guerra civile, quella siriana, che poteva concludersi in sei mesi, massimo un anno, è stata trasformata in una guerra infinita dall’idea insensata di fare la guerra sia al regime siriano che al Daesh e senza mandare sul terreno un soldato. 10 milioni di siriani hanno dovuto trasformarsi in profughi e a centinaia di migliaia sono morti per effetto di ciò, ovvero delle pensate di Obama.
E ora, alé, arriva Trump: che è amico di Putin, ma che ha idee opposte a quelle di Putin su Arabia Saudita, Qatar, Iran, Cina, Cuba. Si vedrà, che altro dire? Il grande colpo politico realizzato da Putin riguarda l’avere sfilato quasi del tutto la Turchia dal quadro delle alleanze occidentali e, contemporaneamente, di averla portata a rettificare parte delle sue attività, delle sue pretese e dei suoi comportamenti, quanto meno sul versante siriano. Erdoğan ha dovuto accettare la permanenza al potere, almeno per un periodo, di Assad, smetterla di armare la ex Nusra, già sua creatura, portare a fondo il riciclaggio, sul territorio turco e su parte di quello siriano, di Daesh, trasformandone quasi tutte le forze in milizie con altro nome o in ausiliari del proprio esercito: avendo in cambio da Putin il rientro in campo mediorientale, dopo essersi trovata spiazzata e isolata, un avvio di relazioni economiche, prezioso dato il collasso del turismo e delle esportazioni alimentari, la realizzazione di centrali nucleari e di un sistema di oleodotti e gasdotti che recheranno petrolio e metano dall’asia centrale e dal Caucaso in Europa. non solo. Ed è questa la cosa di gran lunga più preoccupante: la Turchia avrebbe avuto in cambio l’esclusione del pYd curdo-siriano dalla discussione (dalle trattative) in avvio sulle sorti della siria, inoltre la consegna a sé nella forma di “zona d’influenza” (di zona di occupazione militare? Più che probabile) del nord della Siria (quasi tutto controllato dal pYd). Il condizionale qui usato è dovuto al fatto che la comunicazione in questione è venuta da parte turca e dell’esercito libero siriano, oggi una succursale della Turchia, non anche da parte russa. Non ci sarebbe tuttavia di che sorprendersi se ciò fosse accertato e messo in pratica. Putin guarda al rilancio della Russia come superpotenza mondiale e all’isolamento internazionale degli Stati Uniti, Trump permettendo, o, meglio, punta a un periodo che vedrà la riapertura in forma nuova dei processi di un tempo di scontro-accordo tra Unione Sovietica e Stati Uniti; e va da sé che, data la mentalità storica degli autocrati russi, da Ivan il Terribile a Stalin, e data la dimensione degli obiettivi di Putin (l’alleanza o quasi con Cina, Turchia, Iran), la questione curda per Putin sia a metà tra una quisquilia e merce di scambio. Un elemento di incertezza circa le prospettive mediorientali riguarda comunque ciò che faranno gli Stati Uniti in Siria.
È difficile pensare, nonostante Trump, che essi accettino di essere tagliati fuori del tutto dagli sviluppi ella situazione siriana. Un mezzo per tornare a contarci c’è, e da un pezzo: la richiesta statunitense formale al pYd curdo-siriano di procedere, cosa a cui è pronto da tempo, alla presa della “capitale” Raqqa di Daesh. Beninteso il pYd ciò farà se avrà verrà a disporre di un’effettiva e totale copertura da parte statunitense sul versante della minaccia militare turca, e se verrà dotato di un armamento pesante utilizzabile alidamente anche sul versante turco: altrimenti il pYd continuerà a occuparsi dell’organizzazione della difesa del proprio territorio, già continuo oggetto di incursioni militari e di bombardamenti da parte turca. Ma se gli Stati Uniti opereranno in questo senso, ciò che avverrà sarà la consegna definitiva della Turchia alla Russia. Che cosa deciderà di fare Trump? Pure per il quale la questione curda è merce di scambio, inoltre tra i vari problemi che dovrà sollecitamente affrontare c’è indubbiamente la crisi dei rapporti tra Stati Uniti e Turchia, secondo esercito della Nato. E quella meraviglia che è l’Unione europea? C’è solo da ridere, o da piangere. Fatto il pateracchio con la Turchia sui profughi, guidata da venditori di tappeti stolidi e cinici come Merkel e Hollande, gestita sul piano della politica estera da una Mogherini che continua ad affermare che la Turchia ha pieno diritto di difendersi dai “terroristi” del PKK, senza così accorgersi di legittimare gli attacchi militari attuali e futuri della Turchia ai curdi siriani – fatto tale pateracchio continua a dormire il sonno del giusto.
Insomma, allarme rosso: la situazione dei curdi siriani è di estremo allarme e dobbiamo difenderli, per quel che possiamo. Da essi viene la proposta all’intera Siria della sua trasformazione in una federazione democratica che riconosca a ogni gruppo etnico o religioso un largo autogoverno. Il tentativo è non solo quello della conquista di consenso largo nella popolazione siriana nel suo complesso, ma anche l’interlocuzione con il governo siriano: che certamente non può gradire che la Turchia occupi parte più o meno cospicua del nord della Siria. Questo governo tuttavia dipende in tutto dalla Russia, inoltre è l’espressione di una concezione settaria, nazionalista araba e brutalmente autoritaria del potere. Anche a questo proposito, dunque, si vedrà, non è per niente chiaro come andrà.
I fatti più recenti
La strage di Istanbul del 31 dicembre e il precedente assassinio dell’ambasciatore russo in Turchia dichiarano un passaggio di grande portata e tutto drammatico della realtà di questo paese, non solo per le perdite di vite umane. Erdoğan, in ragione del cul de sac nel quale si era infilato (isolamento internazionale, devastante crisi economica), ha ripetuto, nei confronti delle bande islamiste da egli create (Daesh) o foraggiate (Nusra e altre minori), l’operazione fatta a suo tempo, a nome dei suoi obiettivi elettorali, contro i curdi: la rottura dei rapporti, l’attacco frontale distruttivo anche militare: in questo modo dando sostanza al rapporto d’entente cordiale con la russia e ricevendone in cambio. Ma ciò ha scatenato la furia fondamentalista: solo una quota dei suoi ranghi interni alla Turchia (e sul fronte di Aleppo) si era orientata a porsi sotto mentite spoglie e in un modo o nell’altro al servizio di Erdoğan. Una parte di essi si era passivizzata, il resto dei ranghi, immenso in Turchia, migliaia di individui, essendo questo paese il retroterra logistico di Daesh ecc. ed essendo area di rifugio oltre che di passaggio dei foreign fighters, ha avviato operazioni terroristiche, e appare intenzionato a svilupparle alla grande.
Inoltre l’assassinio dell’ambasciatore russo, ma anche manifestazioni pubbliche in tutta la Turchia, indicano il disagio crescente della parte più fanatica e razzista della popolazione, delle forze di sicurezza e di intelligence, di pezzi delle stesse forze armate nei confronti dell’entente con la Russia, da sempre considerata da costoro come il nemico fondamentale. A ciò si aggiungano gli elementi gravi di malcontento, non solo di disorganizzazione e di indebolimento, che hanno interessato (a seguito del golpe militare fallito e dei licenziamenti e arresti di massa ordinati da eEdoğan) forze armate e forze di polizia, il fatto che da sempre il Mİt (l’intelligence turca) è un coacervo di bande parte delle quali opera in proprio e ha rapporti stretti con le organizzazioni islamiste, Daesh in specie, infine la semi-interruzione dei rapporti di reciproca informazione tra Turchia e alleati, tra i quali gli Stati Uniti. La Turchia reggerà l’urto in atto? Qualche tipo di precipitazione critica a me pare più che probabile.
Passiamo all’Iraq. Sono da qualche tempo in corso abboccamenti e discussioni, attivate dal governo del Curdistan iracheno, con le autorità nazionali irachene, avendo il governo curdo-iracheno consegnato a queste ultime la richiesta di una trattativa intesa a sfociare nell’indipendenza del territorio curdo-iracheno nella sua interezza (quindi comprensivo di Kirkuk, l’area di Ninive, quella yazida, peraltro già sotto controllo curdo). Ciò che va sottolineato è che l’iniziativa appare gestita non dal presidente curdo-iracheno, Masud Barzani, figura da sempre a disposizione della Turchia, ma dai suoi due figli, uno dei quali a capo del governo curdo-iracheno e l’altro dei combattenti peshmerga.
Parimenti occorre tenere presente che la Turchia non risulta più attrattiva ormai per nessuno, bensì un problema per Medio Oriente, Europa, Stati Uniti, anche Russia, naturalmente Iran, ecc. infine, ma non perché si tratti di cosa minore. Quest’orientamento curdo-iracheno sarà oggetto prossimamente di una discussione tra tutte le organizzazioni curde, ivi compresi, dunque, PKK, PJaK (curdo-iraniano), PYD (curdo-siriano), con l’obiettivo di porre all’attenzione internazionale la complessiva questione curda, inoltre di realizzare un percorso di cooperazione anche sul piano, diciamo così, tattico nei confronti dei poteri statali dell’area.
Torniamo in Siria. Informazioni più precise di quelle precedenti, che risultavano troppo vaghe e contrastate da altre, dicono che nelle scorse settimane gli Stati Uniti hanno fornito armi più adeguate alle formazioni militari del PYD. Esso nel frattempo aveva ripulito, assieme ad altre milizie, l’area che separa il suo territorio dalla capitale di Daesh Raqqa, ma si era fermato dinanzi a questa città, anche a seguito dell’improvvida e irresponsabile decisione statunitense di consentire alla Turchia di penetrare militarmente in un segmento di territorio siriano e, così, di rompere la continuità del territorio curdo-siriano. Ora probabilmente qualche garanzia è arrivata al PYD da parte statunitense. L’aviazione statunitense inoltre continua ad attaccare l’area di Raqqa, e truppe speciali statunitensi operano in appoggio alle formazioni del PYD. parrebbe che gli stati Uniti oltre a non volersi fare escludere, sul medio termine, dall’Iraq (è evidente, mi pare, che gli stati Uniti siano tra quanti hanno riservatamente incoraggiato l’iniziativa curdo-irachena di cui sopra), non vogliano neanche essere esclusi dalla Siria (tentativo fortemente in atto da parte russa). Francamente, se così fosse sarebbe bene, per quanto gli stati Uniti siano quel che sono, un enorme problema per il pianeta. ma, ripeto, tra poco arriverà Trump, e chissà cosa succederà.