La presentazione di Carla Cocilova, Responsabile Relazioni Internazionali Arci Toscana, ha sottolineato come il Venezuela rappresenti un laboratorio di scambio orizzontale tra comunità e un modello di costruzione sociale alternativo da difendere contro gli attacchi mediatici che subisce ogni giorno, dai media locali e internazionali.
Andrea Vento, nell’introdurre il dibattito, non esita a definire questo attacco pervasivo, mediatico e strategico, come un nuovo Plan Condor, che aleggia su tutto il continente latino americano. Dalla fine degli anni ’90 e inizi 2000, i paesi del subcontinente hanno visto instaurarsi, dopo anni di dittature e di stragi, governi progressisti che hanno realizzato politiche di miglioramento delle condizioni sociali delle classi più povere, attraverso una dura lotta contro la fame, un aumento della scolarizzazione e dei servizi sanitari e la riconquista di una certa autonomia sulla politica internazionale rispetto all’assoggettamento nordamericano. Questo processo è avvenuto anche grazie alla costruzione di organismi sovranazionali tra alcuni paesi latino americani come l’ALBA, non soltanto tesa ad operare sugli aspetti prettamente economici ma anche alla messa a punto di un vero e proprio piano sovranazionale di sviluppo sociale, in particolare con l’obiettivo di migliorare le condizioni delle fasce più deboli, e all’incremento dello scambio di servizi e competenze tecniche e professionali, come nel caso del supporto sanitario dei medici cubani agli altri paesi del subcontinente.
Inoltre, attraverso organismi politici come LUNASOL e CELAC sono stati promossi lo sviluppo e l’autonomia dei paesi latino americani e caraibici favorendo una maggior indipendenza nazionale e autosufficienza economica. Ma proprio quando questi paesi sono riusciti a riconquistare la propria dignità e autonomia, sembra avverarsi un nuovo Plan Condor in America Latina, che ha messo in atto una serie di “golpe istituzionali”.
Dopo la stagione dei colpi di stato avvenuti durante la Guerra Fredda per mantenere il subcontinente latinoamericano quel “giardino di casa sicuro” assoggettato alla superpotenza nordamericana in cui le dittature militari erano preferite alla “minaccia comunista”, anche adesso si sta realizzando un vero e proprio tentativo di destabilizzazione del blocco progressista in America Latina. Attraverso una disinformazione veicolata dai media, impeachment istituzionali pilotati e manifestazioni violente nelle strade con uomini al soldo delle oligarchie, si cerca di rovesciare i governi di sinistra democraticamente eletti per sostituirli con formazioni politiche che sono espressione degli interessi dei poteri forti e fedeli vassalli degli Stati Uniti. Ci sono stati tentativi di golpe più o meno riusciti in Ecuador, in Bolivia e in Paraguay, fino ad arrivare al boccone più ambito: il Brasile. L’impeachment di Dilma Roussef fatto mediante una messa in stato di accusa da parte della Camera dei Deputati per l’accusa di aver contraffatto i dati del deficit annuale, ha portato alla caduta del governo di Dilma, adesso nelle mani dei liberisti, sebbene le notizie recenti rivelino la totale estraneità ai fatti della Roussef.
Infine, arriviamo a quel che sta succedendo in Venezuela: il governo bolivariano, dopo aver perduto la maggioranza in Parlamento con le elezioni del 2015, è precipitato in una crisi governativa in seguito alla recessione economica da un lato, e , dall’altro, alle violenze e strumentalizzazioni mediatiche da parte di un’opposizione che mira ad usare il potere legislativo come un grimaldello per soverchiare gli altri poteri previsti dalla Costituzione. Ulteriori difficoltà le ha create la crisi economica provocata da un modello economico che ancora basa la stragrande maggioranza delle proprie entrate dall’estrazione del petrolio. Il Governo Bolivariano non riuscendo velocemente a compiere l’impresa non semplice della diversificazione della propria economia, è stato colpito dall’enorme recessione economica causata appunto dalla svalutazione del prezzo del petrolio. A peggiorare la situazione si aggiungono una classe media borghese corrotta e sempre più presente negli apparati di stato e una eccessiva burocratizzazione del paese. Con una contrazione del Pil esorbitante e le numerose violenze nelle strade, in un contesto ricco di tensioni e con un livello di manipolazione mediatica preoccupante – il 70% dei media venezuelani è controllato da privati e rappresenta la fonte di riferimento della nostra informazione, con la totale esclusione delle fonti governative – il governo guidato da Maduro vive una fase di pericolosa crisi e destabilizzazione su cui occorre accendere i fari per capire la verità dei fatti. Come popolo di sinistra dobbiamo fare i conti con i difetti e i punti di forza di questo modello politico, perché difendere il Venezuela dell’erede di Chavez significa anche difendere quel “socialismo sperimentale” del XXI secolo, che rappresenta una viva e concreta speranza per popoli che hanno vissuto decenni di colonialismo, prima, e neo-colonialismo adesso.
Alejandro Montiglio che prende in seguito la parola, ha una tragica storia alle spalle e il suo intervento suscita emozioni davvero forti. Montiglio, oltre ad essere il figlio del caposcorta di Allende e figura di riferimento della delegazione per la protezione del Presidente che ha dato eroicamente la vita per difendere la democrazia, è stato testimone del golpe in Cile che ha portato al potere il sanguinario e neo-liberista Pinochet. Insieme ad altri compagni, ha svolto un’inchiesta iniziata solo dopo la caduta del regime di Pinochet – il primo processo è avvenuto nel ’97 – per portare alla luce le atrocità della dittatura. Grazie a questo lavoro sono finalmente venute a galla le terribili verità tenute all’oscuro, anche a causa dell’omertosa informazione, per troppi anni: torture, incarcerazioni disumane e uccisioni. Si è scoperto che in diversi casi i cadaveri venivano trasportati da un paese all’altro del subcontinente latinoamericano per celarne l’identità. La testimonianza di Montiglio diviene particolarmente straziante quando ha raccontato i casi in cui i corpi venivano gettati nelle bocche di vulcani in modo da cancellarne ogni traccia fisica. Una simile fine l’ha fatta anche il corpo di suo padre, dilaniato dalle bombe insieme ai suoi compagni per farlo sparire e impedirne l’identificazione. Quest’ultima è stata possibile solo recentemente grazie all’analisi del DNA su alcune delle schegge che sono state ritrovate nel luogo dell’accaduto. Oltre alla ricerca della verità nel proprio paese, in Cile, Alejandro insieme ad altri compagni, sta portando avanti un’indagine a livello internazionale, per smascherare i crimini contro l’umanità commessi dal Piano Condor, una strategia orchestrata da CIA, NATO, Chiesa Cattolica, Massoneria e intelligences locali per sabotare i governi di sinistra che si stavano formando nell’area latino americana e creare uno stato di paura generalizzato contro la minaccia comunista. Ufficialmente nato il 5 dicembre del 1974, ma già messo a punto all’inizio degli anni ’60, all’epoca di Kissinger, il Piano Condor, oltre al golpe in Cile ai danni di Allende, ha operato in Urugauy, Paraguay, Bolivia e Argentina.
Gerladina Colotti, di fresco ritorno dal Venezuela, ha parlato di un vero e proprio attacco nei confronti del governo Maduro, di altissime proporzioni. Spostandosi ai più recenti e terribili fatti di Barcellona, Cambril e Finlandia, Geraldina ha puntato il dito contro il sistema capitalistico, che se da un lato fa sfoggio di libertà democratica e individuale, dall’altro fa vivere direttamente tutte le proprie contraddizioni a una fetta sempre più grande di persone, compresi questi giovani immigrati di terza generazione che maturano un odio sempre più esasperato nei confronti dell’occidente e in nome del quale uccidono persone innocenti. Il capitalismo, nella sua inevitabile crisi storica e strutturale, nonché nella sua evoluzione imperialista non può che provocare scenari di destabilizzazione e sperequazioni sociali ed economiche in tutto il mondo.
I governi latino-americani, a cominciare dal Venezuela, prima con Chavez, e ora con Maduro, hanno un’altra visione, un’altra speranza e un altro modello socio-economico, in contrapposizione allo squilibrio che il neo-liberismo crea tra le classi sociali. L’Italia, che ha vissuto le lotte operaie, l’epoca dello stragismo, si è dimenticata che questa speranza era anche nostra, la speranza di una Rivoluzione in segno socialista: basterebbe riacquisire un briciolo di memoria storica per essere capaci di solidarizzare con l’esperienza della Repubblica Bolivariana in Venezuela, oggi in crisi a causa delle ingerenze e pressioni esterne della potenza nordamericana e dell’Occidente. Maduro non è Chavez, si sente spesso ripetere, ma i nemici che fanno di tutto per farlo cadere sono gli stessi che contrastavano Chavez, come si evince dal tentativo di golpe ai suoi danni, fortunatamente fallito, messo in atto nel 2002 dai suoi oppositori con l’appoggio silente degli Stati Uniti.
Oggi Maduro è visto dalle potenze occidentali come uno spietato dittatore, quando quelle stesse potenze occidentali, per interessi geopolitici e finanziari, stringono le mani a dittature e regimi ben peggiori, come Emirati Arabi, Arabia Saudita, Turchia e Israele che da decenni sta massacrando il popolo palestinese annientandone la stessa identità, soprassedendo alle numerose risoluzioni ONU. La democrazia occidentale, che difendiamo ed esportiamo ipocritamente, e baluardo di qualsiasi intervento militare, ha le mani sporche di sangue. Anche in seguito alla Guerra Fredda, lo slogan dell’abbattimento del nemico comunista ha sempre fornito la giustificazione per poter intervenire contro quei governi latino-americani non allineati con Whasington e tacciati di antidemocrazia, nonostante la loro legittima elezione. In realtà, contrariamente a quello che viene propinato dal mainstream, anche il caso del recente referendum per la Costituente, vinto da Maduro che l’ha indetto, è un tentativo del Governo di difendersi dagli attacchi dell’opposizione, rispondendo in chiave democratica e partecipativa con l’elezione di un’assemblea autogovernata e dal basso suddivisa in diversi ambiti di intervento e che è espressione delle classi meno abbienti. È vero che il socialismo chavista è diverso dal socialismo reale del Patto di Varsavia, è un socialismo umanista, gramsciano, che in ogni caso non piace al capitale e ai poteri imperialisti che ogni volta si ricompattano contro il contagio del “castro-chavismo”, ma noi prima di criticare le rivoluzioni altrui, parafrasando Rosa Luxemburg, bisognerebbe pensare alle nostre, valutando criticamente errori e meriti delle esperienze latino americane, mantenendo viva la nostra memoria storica per poter costruire anche noi un cambiamento e un modello realmente alternativo allo stato di cose vigenti.
Infine il console venezuelano Eduardo Barranco ha iniziato il suo intervento ponendo una domanda cruciale al pubblico: perché gli Stati Uniti si stanno impegnando ad aggredire il Venezuela? La risposta è abbastanza scontata: la potenza nordamericana vuole distruggere un programma di stampo socialista, perché interferisce con i suoi interessi e soprattutto per tenere sotto controllo un paese così ricco di risorse: il Venezuela si colloca infatti al primo posto nel mondo per la presenza di enormi giacimenti petroliferi. Basti pensare che il complesso di estrazione petrolifera venezuelana è diviso in cinque settori, in uno di questi ci sono 9 pozzi petroliferi e quello più piccolo, da solo, è in grado a ricoprire il fabbisogno nazionale per altri 174 anni. Oltre al petrolio, altre risorse rendono il Venezuela una preda appetibile: si pone al decimo posto per risorse auree e alluminio, al secondo per risorse idriche e vede un’ingente presenza di coltan, il cosiddetto “oro azzurro”, fortemente ambito in quanto fondamentale per la produzione di dispositivi tecnologici come cellulari e computer. Questi dati riescono a rendere estremamente chiaro il motivo dell’accanimento nei confronti del Venezuela in un momento di crisi finanziaria e in cui il capitalismo internazionale presenta tutte le sue fragilità nell’avido accaparramento di risorse all’esterno – cosa che si traduce anche nella crisi siriana e, più in generale, nella frammentazione del vicino Medio Oriente.
I media in tutto questo gioco di scacchi svolgono un ruolo determinante nel creare un sempre più solido consenso contro il governo bolivariano. Per farci capire il livello di manipolazione e strumentalizzazione dell’informazione mainstream, il console spiega che le manifestazioni contro il governo Maduro si sono svolte soltanto su dieci distretti sui ben oltre 300 presenti in Venezuela, laddove i media gridavano che era tutto il paese ad esser messo a ferro e fuoco. I media che parlano tanto di antidemocrazia omettono che il sistema di voto venezuelano, come ricorda Barranco in conclusione del suo intervento, è uno dei più trasparenti e sicuri al mondo: vi sono macchine elettroniche che addirittura prendono le impronte digitali al momento del voto, evitando così qualsiasi imbroglio. Nonostante ciò l’informazione locale e internazionale ha parlato di un margine di errore di un milione di voti, tralasciando il fatto che questo meccanismo di votazione è stato adottato per venti elezioni, tra cui quella del 2015 che ha portato alla maggioranza parlamentare l’opposizione.
Quella di domenica 20 agosto a Lari è stata un’iniziativa davvero necessaria, in mezzo a questo caos di disinformazione di massa, per poter ascoltare le voci di chi l’America Latina la vive o l’ha conosciuta da vicino e per trovare il coraggio e la forza nell’appoggiare chi sta costruendo una speranza effettiva di alternativa sociale, che è esempio e modello di riferimento per tutti coloro che hanno deciso da che parte stare.