Nelle serate di domenica 15 ottobre e di domenica 22 ottobre si sono svolte al circolo Arci di Brusciana due iniziative che hanno avuto come protagonista Cuba: la prima a cura dell’associazione teatrale “Tra i Binari” che col progetto Raices Comunes ha presentato il documentario CuentameCuba come restituzione del viaggio intrapreso nell’isola caraibica dai membri della compagnia; la seconda ha visto gli interventi di alcuni attivisti dell’Associazione Italia Cuba che hanno condiviso con il pubblico le proprie esperienze professionali e personali vissute a Cuba.
La serata del 15 ottobre ha visto la compagnia teatrale “Teatro tra i binari” presentare il documentario CuentameCuba di Filippo Ficozzi (vedi qui). CuentameCuba si è soffermato soprattutto sull’aspetto culturale – e prettamente riguardante il teatro – di questa terra, questa realtà complessa e contraddittoria che ancora rimane mito agognato e al contempo utopistico di gran parte della sinistra comunista. Cuba è impossibile da raccontare esaustivamente. Questa è la premessa dei giovani ragazzi e ragazze che compongono la compagnia e che hanno dato vita al progetto, che ha visto, precedentemente, anche la realizzazione di due spettacoli teatrali. Il loro intento è quello di raccontare storie, storie comuni di gente comune, che hanno nel loro passato incisa la rivoluzione e che ancora credono che la lucha, ovvero la lotta, non si debba fermare, anche quando le condizioni economiche e le difficoltà derivanti dall’embargo, che continua a strangolare Cuna dal 1961, sono dure e difficili. Ma sono anche le storie di quelle generazioni che, invece, hanno assaggiato “il mito” dell’occidente e che, idealizzandone alcuni aspetti o vagheggiando una sorta di “sogno americano”, desidererebbero “fuggire” dall’isola e cercare il proprio futuro altrove, soprattutto negli Stati Uniti o in Europa. Non c’è giudizio morale nelle storie raccontate e in parte ascoltate e vissute dagli attori e registi del “Teatro tra i binari”, il cui desiderio è provare a far assaggiare a chi assiste ai loro lavori, un frammento che loro stessi hanno conosciuto e assaporato.
“Cuba è un’altra storia”, ribadisce più volte Francesco Mugnari, direttore artistico della compagnia, “e non la si può leggere né tantomeno rappresentare attraverso il filtro dei nostri valori occidentali e neoliberisti, perché là vi è un senso di dignità e soprattutto di solidarietà verso il prossimo, anche quando si è i primi a non possedere niente, che qui raramente si riscontra”. Compartir è il termine chiave che caratterizza lo spirito di quest’isola che ha alle spalle una storia rivoluzionaria, che, nel bene e nel male, ha fatto di Cuba un modello unico di socialismo reale, con il suo primato nei servizi pubblici, quali la sanità e l’istruzione che toccano livelli di eccellenza invidiabili in tutto il pianeta. Ciò che in particolare emerge dal documentario è “la vibrante produzione culturale del paese e il rigore con cui registi, drammaturghi e attori si impegnano quotidianamente in una battaglia contro la scarsità dei mezzi per portare in scena le loro opere. A Cuba l’accesso alla cultura viene considerato un bene pubblico alla pari di educazione e sanità, fare teatro viene visto come una missione in nome dello sviluppo culturale del paese” . Francesco per sottolineare il ruolo e l’importanza del teatro e di chi vi fa parte nel paese caraibico porta come esempio la sua condizione, quella di un attore qualificato che non vede uno sbocco professionale riconosciuto e retribuito nel mondo dello spettacolo. Mentre a Cuba gli attori teatrali hanno uno stipendio pubblico al pari di medici e insegnanti, qui in Italia lo puoi fare solo se hai una forte passione e un reddito alternativo che ti permetta di portare avanti l’attività teatrale. Altro aspetto che viene fuori dal documentario, grazie alle testimonianze dirette di attori, drammaturgi e registi, è la fierezza del popolo cubano che tra incertezze e difficoltà non ha mai smesso di lottare né abbassa mai la testa. Molti cubani che ricoprono ruoli qualificati come medici o ingegneri, sono costretti a svolgere altri lavori meno qualificati -cosa che per noi sembrerebbe inconcepibile per quanto riguarda certe categorie-, ma, appunto, Cuba è un’altra storia e non va interpretata attraverso il riflesso dei nostri schemi ideologici. Il documentario, oltre alla bellezza estetica delle immagini, alla intensa emotività che suscita grazie alle accurate riprese in bianco e nero dei teatri cubani e alla profondità di alcune testimonianze raccolte, pone anche degli spunti di riflessione, in particolare rispetto alla cultura in riferimento ai cambiamenti sociali che attraversano questa terra. Si tratta di una battaglia continua per affermare la propria identità e la propria capacità di esprimersi attraverso nuove forme mantenendo un legame viscerale con il proprio passato e la propria storia, contro “una visione denigratoria dell’isola che non ne riconosce il valore culturale ma la relega a esotica meta turistica” . Una leggenda del popolo “Mapuche”, come viene mostrato nel documentario, dice che “l’uomo cammina all’indietro, il futuro è ignoto dietro le sue spalle e il passato si trova davanti ai suoi occhi”. CuentameCuba ci lascia proprio con questa domanda: “cosa c’è davanti agli occhi di questo popolo?”
Durante la serata è stato anche possibile ammirare la mostra fotografica – già presente al Circolo da metà settembre – che riporta le immagini catturate da Simona Fossi, Simone De Fazio e Martin Hidalgo durante il loro viaggio in terra cubana, suddivise rispettivamente sotto i titoli di “Aguas”, “Entonces”, “Retratos”. Le immagini di vita, volti e sguardi ed elementi naturali dell’isola sono uno specchio poetico e vividamente potente che riescono a catturare lo spettatore con una forte intensità magnetica e per un attimo lo strappano dalla frenesia del suo vivere per rimanere sospeso in una dimensione quasi eterea, senza luogo e senza tempo.
Domenica 22 ottobre invece Cuba ci è stata raccontata dagli attivisti dell’Associazione Italia-Cuba. Umberta Torti, psicopedagogista, ha svolto la sua attività professionale dal 1994 al 1998 a Cuba presso l’Istituto Nazionale SIDA per l’informazione e la prevenzione sulle malattie sessualmente trasmissibili ed è stata al servizio di “Attenzione e Riabilitazione Comunitaria all’Alcolista (ARCA)” all’interno del Gruppo di Psichiatria Sociale presso l’ospedale “X De Octubre” dell’Havana. Insieme a lei sono intervenuti il Coordinatore regionale dell’Associazione, Roberto Nannetti e altri attivisti, tra cui il poeta Maurizio Rossi che ci ha regalato anche la lettura delle sue poesie ricche di solenne fierezza e vibrante pathos che fanno parte della raccolta “Una penisola senza memoria”.
In un periodo in cui, esordisce Umberta, citando Giulietto Chiesa, l’uomo è “formattato” perché l’immagine ha sostituito il discorso, il logos, il pensiero critico, anche Cuba viene vista o come un idolo da emulare da una certa parte della sinistra, in quanto unico modello di socialismo reale, o alla stregua di un paese del terzo mondo sotto una dittatura illiberale e repressiva. Entrambe queste classificazioni sono da considerarsi totalmente fuorvianti o distaccate dalla realtà se si vuol render conto della complessità e dell’unicità di questo paese e di questo popolo. Sicuramente Cuba rappresenta un unicum e un faro per i paesi latinoamericani e non solo, in particolare per quanto riguarda la storia della rivoluzione e l’inflessibile dignità di questo popolo, ma anche rispetto alle conquiste sociali raggiunte che fanno di Cuba un paese senza disuguaglianze, i cui servizi sociali – dall’istruzione alla sanità, dal diritto alla casa alla razione alimentare- sono accessibili a tutti, oltre a rappresentare delle vere e proprie eccellenze. Basti pensare a come il governo cubano abbia affrontato il problema dell’HIV: “già nell’86”, come ricorda Torti, “avvenivano le prime diagnosi sulla malattia e, mentre ancora in Occidente si riteneva che l’Aids fosse solo la malattia dei tossici e delle prostitute, e quindi si affrontava la questione marginalizzando queste categorie più fragili, a Cuba ci si approcciava alla patologia come un problema sociale e che riguardava tutta la collettività, che pertanto veniva adeguatamente sensibilizzata e informata usando i protocolli e le misure previsti per le malattie sessualmente trasmissibili”. In generale qualsiasi malattia o qualsiasi dipendenza – come l’alcolismo o l’uso di sostanze psicotrope e/o allucinogene – viene affrontato collettivamente e non come se fosse solo un problema del singolo, poiché qualsiasi disagio o difficoltà tocca tutta la comunità, il benessere e il malessere del singolo diventano anche il benessere o il malessere dei molti, proprio perché il soggetto non venga emarginato né escluso dal tessuto sociale, di cui rimane, in qualsiasi caso e indipendentemente da qualsiasi disagio, sua parte integrante. Bisogna considerare che nonostante le enormi difficoltà che affliggono quest’isola, dalle condizioni idro-geologiche al problema dell’embargo che costringe Cuba a commerciare a prezzi molto più alti con altri paesi – come ad esempio il Messico – il suo popolo è ed è sempre stato in prima linea per portare il suo aiuto con le sue competenze e le proprie risorse umane nei paesi che sono stati colpiti da catastrofi naturali, ultimo tra tutti il recente ciclone che si è abbattuto anche su Haiti. Benché l’uragano abbia attraversato anche Cuba, il suo governo oltre a intervenire sul proprio territorio ha prestato soccorso anche alla vicina isola caraibica. A questo proposito sono ben 150 le missioni umanitarie che porta avanti Cuba a livello internazionale impiegando 40.000 medici nel mondo.
Nannetti prendendo la parola dopo Umberta ribadisce che a Cuba si mira sempre all’unità, all’integrità del tessuto sociale e all’aggregazione e mai all’esclusione o al settarismo, alla divisione o alla competizione. Questo è stato e rimane uno dei capisaldi trasmessi dalla rivoluzione e un arretramento da questo punto di vista significherebbe un passo indietro per tutta la società. Per poter parlare di Cuba con onestà intellettuale bisogna mettere da parte i nostri parametri, che comunque ci hanno portato a situazioni sociali ed economiche drammatiche. Bisogna dismettere quella sorta di eurocentrismo con cui giudichiamo realtà e modelli sociali, economici, culturali e politici diversi dai nostri. Nannetti cita un esempio che rende un po' conto delle differenze di approccio e di metodo che ci distinguono dall’isola caraibica: il coordinatore regionale di Italia Cuba ricorda infatti un recente fatto di cronaca avvenuto a Como in cui un signore con moglie e figli aveva visto perdere la sua residenza in seguito al mancato pagamento dell’affitto, trovandosi così a perdere anche la possibilità di poter pagare la mensa scolastica ai figli. La drammaticità della sua condizione lo ha portato a compiere il gesto estremo e terribile di dare fuoco a sé stesso insieme alla moglie e ai quattro figli. A Cuba è capitato il caso inverso: un proprietario di tre immobili che affittava due di questi senza pagare le tasse ha visto l’espropriazione degli immobili, ma siccome doveva mantenere moglie e figli, lo Stato ha fatto in modo di tutelare i componenti familiari più deboli dando loro una delle tre abitazioni espropriate al capofamiglia.
Un altro esempio virtuoso che Nannetti ricorda riguarda le modalità con cui il governo cubano ha affrontato il problema dell’invecchiamento della popolazione che negli ultimi vent’anni ha colpito Cuba come molti altri paesi in via di sviluppo. Per assistere gli anziani lo Stato ha messo a disposizione 250 scuole pubbliche dove cubane e cubani possono formarsi per le attività di cura e supporto agli anziani così da poter mantenere anche un contatto e una possibilità relazionale tra assistiti e assistenti senza delegare queste mansioni solo a una manodopera straniera e spesso sottopagata o a nero come accade spesso nei paesi europei.
Se davvero questo è il mondo delle immagini, potremmo dire che di Cuba ne esistono una, nessuna e centomila, a seconda di quello che ognuno di noi vi proietta sopra e vi vuole vedere secondo la propria prospettiva, ma sicuramente una cosa è certa e da tutti occorre che sia riconosciuta: la rivoluzione ha contribuito a scolpire e forgiare l’identità e la dignità di questo popolo, che, anche nelle sue criticità e nelle sue possibili contraddizioni è capace di incantare e di affascinare con quell’indomita fierezza e quell’orgoglio quasi spavaldo che forse nessun altro popolo è capace di eguagliare, né tantomeno di poter emulare.
Immagine da www.traibinari.org