“El pueblo unido jamás será vencido” è risuonato più volte nella sala del circolo e forse, per la prima volta dopo tanto tempo, mai parole sono sembrate più vere, più potenti. Non però come se si trattasse di un’utopia evanescente, ma come se il processo di cambiamento fosse davvero a portata di mano, perché quello che in Venezuela, in Bolivia, in Argentina, in Brasile sta accadendo è davvero l’inizio di un processo che sta cambiando e vuole cambiare lo stato di cose presenti, in un’ottica di superamento del neoliberismo e degli interessi del capitale, contro le regole di austerità dell’Unione Europea, contro il suo neocolonialismo finanziario ed economico e contro l’imperialismo e l’ingerenza nord americani. Sopra le note di “Todo cambia” e la voce potente di Mercedes Sosa, gli interventi così ardenti, “ferocemente” appassionati hanno ridato vita, fosse anche solo per una sera, al senso di unità, di desiderio di riscatto e di lotta in un momento in cui la rassegnazione, lo sconforto e soprattutto il senso di impotenza e la frammentazione a sinistra rischiano di schiacciare ogni tentativo di re-azione e trasformazione.
La forza e la violenza del capitale, le politiche dettate dall’UE e dagli apparati dell’economia finanziaria, gli interessi voraci delle superpotenze, il controllo politico, biopolitico e persino psicologico dell’individuo ridotto a mera merce o a inutile pedina nella scacchiera internazionale giocata a piani più alti su cui la volontà popolare e dei partiti che si oppongono sembra non poter avere alcuna presa: ebbene tutto questo ha spento la fiducia in quell’orizzonte di cambiamento e di trasformazione a cui ogni partito che si dica comunista non dovrebbe mai smettere di aspirare se vuole continuare ad avere un peso e un ruolo all’interno della società. I compagni e le compagne dell’America Latina stanno dimostrando che questo orizzonte è ancora possibile e con la loro lotta lo stanno rendendo reale, nonostante le difficoltà, anche molto più sanguinose e terribili rispetto alle nostre, della situazione politica dei loro paesi.
Noi dobbiamo trarre esempio dalla resistenza che questi compagni e queste compagne strenuamente portano avanti anche quando sembra che tutto gli remi contro. Rappresentano la luce in mezzo al buio più nero, la loro voce grida ancora più forte in mezzo al silenzio di coloro che fanno di tutto per soffocarla, per metterla a tacere.
“La loro lotta contro il neoliberismo e la loro resistenza rappresenta per noi”, dice dal palco Eleonora Forenza, “una possibilità per cambiare i rapporti di forza in un mondo dominato dagli interessi del capitale e dal dominio statunitense e della NATO. È una resistenza che viene portata avanti quotidianamente. Come quella del Donbass, la cui realtà viene narrata in una maniera totalmente distorta dalle forze dell’UE, che continua ad appoggiare il governo fascista di Kiev”. Non dobbiamo mai smettere di sostenere queste lotte antifasciste e anti-imperialiste facendone una lotta anche nostra, unendoci all’unisono con chi resiste contro la violenza capitalista e fascista. Forenza approfitta poi anche per ringraziare le compagne argentine che hanno dato avvio a un movimento femminista che è diventato internazionale. “Non una di meno” ha mostrato come l’unione di compagni e compagne contro la violenza sulle donne riesca a produrre uno squarcio nel panorama attuale che soccombe l’iniziativa popolare e anestetizza le menti così come la voglia e la capacità di reagire attivamente contro ogni forma di dominio. Soltanto uniti, soltanto insieme, si può produrre cambiamento. In un mondo che incita all’individualismo più gretto e ovattato, l’unità e la lotta collettiva devono tornare a risplendere, riattualizzandole e adeguandole ogni volta al contesto in cui versiamo, come insegna Gramsci, di cui oggi ricorrono gli ottanta anni dalla morte e che in America Latina (ma anche negli Stati Uniti) è diventato discorso pubblico e materia continua di studio e ricerca.
Anche Joao Pimenta Lopes, del Partito Comunista Portugues, parla di “profonda offensiva sull’America Latina e in Caribe". Un’offensiva che non proviene solo dagli Stati Uniti ma anche dall’Unione Europea con le sue ambizioni imperialiste. L’imperialismo riesce a imporre cambiamenti “blandi”, che non sono sempre i colpi di stato, che non sempre vengono imposti militarmente, con le armi e con il sangue (come in Argentina, in Bolivia, in Brasile e in Ecuador), ma che sono altrettanto pericolosi proprio perché più striscianti, invisibili, sottili. Sono blandi solo sulla superficie, poiché in realtà nascondono una violenza altrettanto devastante. Si tratta della violenza mediatica, della violenza degli attacchi economici inferti su questi paesi, della violenza che sta rubando i diritti fondamentali conquistati con la lotta e il sangue. Che cambiamento blando può essere quello che sta avvenendo in Venezuela in cui un ragazzo viene ucciso semplicemente perché manifestava e di cui nessuno ha detto, media europei compresi, che era un rivoluzionario chavista? Che cambiamento blando può essere quello in cui vengono attaccati i reparti pediatrici, la sanità, quello in cui si promuove la violenza nelle strade, quello in cui si provoca scientemente la destabilizzazione politica ed economica internamente ed esternamente? Il motivo principale che sta alla radice di questi attacchi così aggressivi è che l’imperialismo nordamericano e quello del neo-colonialismo europeo non possono accettare né perdonare che un popolo voglia e possa cercare una vita di sviluppo, politico sociale ed economico autonomo, indipendente e fuori dalle logiche neoliberiste e non sottomesso agi interessi del grande capitale e della finanza internazionale. “Ma”, prosegue Lopes, “il cammino verso un’emancipazione che affermi il proprio diritto di scegliere e governare in maniera autonoma è avviato e i tentativi mediatici ed economici di reprimerlo, renderlo sterile o inesistente o di fuorviarlo attraverso le false e pilotate narrazioni dominanti non devono indurci alla rassegnazione e alla sconfitta supina. Il modo migliore per appoggiare e aiutare i compagni e le compagne dell’America Latina è condurre anche in Europa una lotta per i diritti dei lavoratori, per i beni comuni, per i diritti degli ultimi, contro le politiche imposte dall’Unione Europea”.
Gli interventi si susseguono, e da ciascuno di essi emerge davvero uno spirito rivoluzionario che riscalda un po’ il cuore, in questi tempi che, come afferma Estefania Torres, di Podemos, “sono convulsi, difficili. Sono tempi in cui si costruiscono muri e i potenti della terra fanno di tutto per mantenere i propri privilegi a discapito del resto del mondo. E proprio in questo contesto desolante è una gioia essere in un luogo dove si avverte un flusso diverso, quel flusso attraverso cui filtrano fratellanza, solidarietà e ospitalità.” Nonostante la difficoltà e la durezza di questi tempi, però, esistono barlumi di riscatto e di cambiamento. “In Spagna”, prosegue Torres, “sta avvenendo un cambio politico storico, si sta rafforzando il no all’austerità. C’è un blocco che sta lottando, anche in nome di coloro che lottarono e versarono il loro sangue per la democrazia nel 1936. E non dimentichiamo che abbiamo un debito storico con tutta l’America Latina. In Spagna governa il partito politico più corrotto di tutta Europa”, sostiene Torres, “è una mafia ed è un dovere sradicarla, cacciarla, non soltanto dal punto di vista etico ma anche per costruire un’utopia del cambiamento rimettendo al centro il lavoro, quello invisibile, più nascosto, che non viene riconosciuto”. E infine, un omaggio speciale alle donne simbolo come Berta Cáceres, uccisa dagli squadristi della morte in Honduras. “Se c’è un internazionalismo degno è proprio il femminismo, che ha unito le donne di tutto il mondo per i loro diritti; se c’è un internazionalismo da cui non si può prescindere è quello che difende la terra, il nostro pianeta, i beni comuni e il diritto di ogni popolo a scegliere il proprio destino, il proprio futuro. Questo deve essere il secolo della Rivoluzione, che si scrive al plurale e al femminile”.
La rivoluzione deve essere davvero plurale, o non è tale. I governi corrotti sono ovunque. Altri compagni ricordano la corruzione del governo brasiliano, o di quello argentino che reprime e arresta attivisti politici. Stiamo vivendo un regresso politico, sociale, culturale ed etico e proprio per questo dobbiamo inserirci in un processo di riorganizzazione e riattivazione politica, per non essere risucchiati nelle logiche del potere, per non lasciare che quest’ultimo resti in mano a governi corrotti che perseguono i loro biechi interessi appoggiati dalle potenze occidentali. In Bolivia, dice un compagno boliviano, la destra sta cercando di abbattere l’amato presidente Evo Morales. Anche il compagno boliviano però riconosce che nonostante i tempi così difficili, “Stiamo vivendo un momento di cambio e questo cambiamento non avviene solo a parole. Abbiamo subito torture, persecuzioni, abbiamo gridato che l’imperialismo non ci sarà mai più in Bolivia”.
Un altro compagno uruguayano ricorda come il suo paese abbia una storia di lotta politica e una storia di migrazioni, di tanti migranti che scappavano dal fascismo. “La sinistra in Uruguay, in controtendenza rispetto alla storica e frequente frammentazione, è riuscita a unirsi con un programma alternativo al neoliberismo e a conquistare la maggioranza. Solo attraverso l’unificazione delle sinistre europee e latino americane si può produrre un cambiamento”. Infine “il saluto bolivariano” di Silvia Rodriguez richiama a quando la rivoluzione bolivariana, lottando “per la terra e gli uomini liberi”, sfidò l’indifferenza con quelle idee che Chavez rivendicò “come più moderne di questo neo-liberismo che risale all’età della pietra”. Dobbiamo far risuonare, uniti in un’unica voce, il nostro amore per la terra, contro questo capitalismo che sta distruggendo il pianeta e reprimendo l’autonomia decisionale dei suoi abitanti, di coloro che gridano il proprio no e che non smettono di lottare per costruire una nuova umanità, perché, sempre citando Chavez “se non trasformiamo le relazioni che sono alla base delle nostre società, il socialismo rimarrà un fantasma errante”.
Anche se non si è trattato, dunque, di un’iniziativa di approfondimento o analisi di alcune delle situazioni dell’America Latina, l’evento ha avuto la potenza di una scossa elettrica, perché ha riacceso gli animi un po’offuscati, spesso tendenti alla disillusione e alla rassegnazione, per quanto inevitabilmente e comprensibilmente dettata dalla desolazione del contesto che ci circonda. Certo, non dobbiamo smettere di mantenerci lucidi e ben consapevoli. Consapevoli di quanto i tempi siano difficili e di quanto l’umanità sia tendenzialmente più passiva, apatica, individualista, disinformata e quindi più disimpegnata e manipolabile. Consapevoli che la fiducia nella politica stia scemando e scivolando verso il populismo più gretto e cieco o verso pericolose derive di stampo nazionalista e neofascista; consapevoli del fatto che ci si senta, ogni giorno di più, privati della nostra autonomia decisionale, del nostro diritto alla scelta vedendoci estirpata la stessa gestione della nostra dimensione politica, economica, sociale, culturale e persino esistenziale. Tuttavia con questa consapevolezza ben presente, dobbiamo restare altrettanto vigili e re-attivi proprio per non soccombere al pensiero unico, all’idea che non possano esistere alternative alle imposizioni del capitale e alla logica del profitto su cui il sistema politico, sociale ed economico si fonda.
Solo credendo nella possibilità di trasformazione, nella possibilità di costruire un mondo diverso e migliore si può davvero provare a cambiare questo qui che non ci va bene, che non può e non dovrebbe andare bene a nessuno. E se i popoli della sinistra, della vera sinistra, saranno capaci di unirsi e stare insieme in questa lotta, allora davvero forse un giorno potremo gridare a ragione che “El pueblo unido jamás será vencido!”.