Protagonista della sinistra italiana, vivendo attivamente le esperienze della Federazione Giovanile Comunista, del PCI e poi di Avanguardia Operaia, Democrazia Proletaria, Rifondazione Comunista. Eletto deputato in parlamento e nel parlamento europeo, in passato presidente e membro di varie commissioni legate a questioni economiche e di politica internazionale.
Ehilà, le cose di cui stiamo trattando da qualche tempo, sulla scia della strage di Parigi, costata la vita a tre compagne del PKK, il Partito dei lavoratori della Turchia, stanno evolvendo nel senso di portare alla luce ciò che avevamo ipotizzato, e ben più velocemente di quanto si potesse presumere.
Primo fatto: il “curdo” Ömer Güney che ha, cosa ormai acclarata dall’indagine francese, commesso la strage, individuato in Turchia come appartenente a una famiglia legata all’MHP, il partito razzista e criminale dei Lupi Grigi, legato alle componenti eversive dell’apparato militare turco, in realtà, hanno appena scoperto gli inquirenti turchi, è invece un turco doc. Nella zona di origine della sua famiglia non c’è ombra di curdi, sono tutti turchi da generazioni. Sicché una parte della stampa turca ha cominciato la campagna, sostitutiva di quella iniziale a proposito della faida interna ai curdi del PKK, che definisce Güney epilettico, affetto da un tumore alla testa, ecc., insomma un poveraccio malato; guai quindi a pensare che lavori alle dipendenze di componenti militari.
Novità sul versante delle indagini a Parigi sull’assassinio, il 9 gennaio, delle tre compagne curde del PKK, il partito dei lavoratori curdi, Sakine Cansız, Fidan Doğan e Leyla Söylemez. Venerdì 17 gennaio sono stati fermati due curdi. Ciò ha consentito al governo turco di rincarare la propria versione dei fatti, presa subito dopo la strage, quella di una faida interna al movimento curdo. Uno dei due arrestati è stato però rilasciato il giorno successivo, perché risultato impossibilitato a partecipare alla strage. Dell’altro uomo, un trentenne, Ömer Güney, che svolgeva il ruolo di assistente e autista di Sakine Cansız, il fermo è stato invece prolungato, per essere trasformato in arresto lunedì scorso (21 gennaio). L’annuncio alla stampa dell’arresto è stato dato dal magistrato che segue l’indagine, François Molins, figura legata agli ambienti negazionisti e lepenisti, che ha insistito egli pure sulla faida interna. Le prove a carico di Güney sembrano significative: le telecamere nell’edificio dove è stata compiuta la strage indicano che l’arrestato era al suo interno al momento in cui è avvenuta. Insomma tutto tornerebbe.
Tra le condizioni istituzionali di avvio di quelle esperienze progressiste latino-americane che hanno compiuto da più tempo una netta scelta socialista (nell’ordine: Venezuela, Bolivia, Ecuador) c’è la trasformazione radicale avvenuta nella forma della rappresentanza del popolo, dal livello del piccolo comune per arrivare al parlamento nazionale. Sarebbe un errore ritenere che queste esperienze si basino semplicemente su una serie di riforme sociali, l’azione di un partito o più partiti di ispirazione socialista, la partecipazione popolare organizzata: quest’ultima infatti non sarebbe in grado di dispiegarsi a fondo.
In Venezuela prima della vittoria nel 1998 di Hugo Chávez alle elezioni presidenziali il sistema delle forze politiche di governo appariva estremamente corrotto, quindi apparivano estremamente corrotti i rappresentanti eletti del popolo. Essi si assicuravano il voto di gran parte della popolazione povera (l’87% per cento della totalità dei venezuelani di allora!) comprandolo o in cambio di favori. Naturalmente questo aveva prodotto anche la disponibilità di una parte del popolo al sistema politico, cioè aveva corrotto, tanto o poco, la mentalità di una parte della popolazione povera.
Ogni realtà socialista-partecipativa latino-americana ha le sue particolarità, ovviamente, ma anche fondamentali determinazioni comuni: tra le quali, per quanto riguarda Venezuela ed Ecuador, il fatto paradossale di aver inventato il proprio partito addirittura dopo avere vinto.
Conviene però aggiungere come una mano, paradosso nel paradosso, sia venuta dall’essere questi due stati repubbliche, come le altre americane, nelle quali il presidente ha enormi poteri: è eletto direttamente dal popolo, è al comando del potere esecutivo e delle forze armate. Anzi in Venezuela è stata la concentrazione di potere ciò che ha consentito a Chávez di avviare una rivoluzione socialista subito dopo avere vinto (1998) le prime elezioni presidenziali, unitamente al prestigio nel popolo per la rivolta, a capo di un’organizzazione di militari nazionalisti e di sinistra, condotta contro un governo che (1992) aveva fatto massacrare dalla polizia e dall’esercito migliaia di persone inermi che protestavano contro gli aumenti del pane e della benzina.
Tre compagne del PKK, il Partito dei lavoratori curdi della Turchia, sono state brutalmente assassinate a Parigi nella sede di un’associazione degli immigrati curdi. Provo molto dolore: conoscevo una di queste donne, Fidan Doğan, l’avevo incontrata un’infinità di volte a Bruxelles e a Strasburgo nel corso dei dieci anni che sono stato parlamentare europeo. I governi della Turchia, come quelli di Israele, fanno da sempre un gigantesco lavoro di lobby presso i giornali e le istituzioni parlamentari di tutta Europa, qualcosa la comprano, potrei fare un paio di nomi: ed è subito scattata la velina del regolamento dei conti tra curdi, precisamente tra l’ala “militarista” del PKK e quella favorevole a trattative con il governo turco.
Il PKK ha da sempre una propria discussione interna sulle proprie opzioni, ma essa non si è mai risolta assassinando qualcuno, invece si è risolta discutendo, magari molto a lungo, come è accaduto dopo la cattura in Kenya nel 1999 del loro leader indiscusso, Abdullah Öcalan. Inoltre la discussione non è mai stata così divaricata, è sempre stata sul modo di combinare lotta armata, mobilitazione di popolo, lavoro legale, usando i varchi della ridottissima democrazia turca e la costituzione di un partito curdo legale, attualmente il DTP (il nome di questo partito cambia continuamente, a seguito del suo periodico scioglimento a opera della Corte Costituzionale per “separatismo”, “terrorismo”, “offesa all’identità turca”: ma i suoi dirigenti nel frattempo ne hanno già predisposto un altro).
Il 16 dicembre sono stati eletti in Venezuela i governatori dei 28 stati che lo compongono. In 4 il Partito Comunista non era alleato del Partito Socialista Unito del presidente Chávez. Le ragioni addotte dal PCV sono che il candidato del PSUV non garantiva sul piano dell’orientamento politico o del costume. Non sono in grado, ovviamente, di valutare l’attendibilità puntuale di queste critiche. Quindi poche considerazioni.
Immagine tratta da talcuadigital.com
Le elezioni il 16 dicembre scorso negli stati federati che compongono il Venezuela hanno premiato assai le liste “patriottiche” dell’alleanza che appoggia il presidente Hugo Chávez, comprensiva del Partito Socialista Unito, del Partito Comunista (tranne che in 4 stati), di formazioni politiche minori, di associazioni.
In questo momento il presidente venezuelano Hugo Rafael Chávez Frías è in cura a Cuba dopo aver subito il quarto intervento chirurgico contro una forma di tumore alla vescica il cui esito, purtroppo, è spesso infausto. In Occidente una comunicazione ostile e falsificante continua a sostenere che sulla malattia di Chávez c’è il segreto: in Venezuela la sua natura è pubblica.
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