A loro volta le organizzazioni del PKK in Europa hanno ricostruito l’itinerario dell’avvicinamento di Güney alla militanza curda di Parigi. Güney arriva a Parigi, dalla Germania, nell’ottobre del 2011; partecipa subito a una manifestazione dei curdi in Francia, dove chiede di portare una bandiera curda. A novembre si iscrive, a Villièrs-le-Belle, versando una quota, alla Federazione delle associazioni curde di Francia. In questa veste comincerà a frequentare la sede di Parigi, dove operavano le tre compagne da lui assassinate. Non aveva nessun incarico nelle associazioni curde, ancor meno era iscritto al PKK. I suoi servizi di autista a favore di Sakine Cansız avevano un carattere puramente privato, apparivano come segni di amicizia, nessuno lo aveva incaricato. Aggiungono le organizzazioni curde che le caratteristiche tecniche della strage rinviano a un addestramento militare, quindi che si tratta palesemente di un infiltrato al servizio di qualche organismo eversivo operante nel quadro del potere militare turco. Esse infine mettono la strage in connessione sia all’incremento degli omicidi di figure di rilievo del PKK avvenuto negli ultimi tempi che alla ripresa delle operazioni militari dell’esercito turco nel nord curdo dell’Iraq.
Secondo fatto: le autorità inquirenti francesi hanno escluso dall’indagine il magistrato che l’aveva presa in mano all’inizio, quel tale François Molins, negazionista, fascista, “specializzato” in indagini a danno dell’agibilità della militanza curda in Francia, e tra gli inventori primi della “faida interna”. Inoltre gli sono state tolte le altre due indagini riguardanti questa militanza. Non ho chiaro se un’indagine sia quella riguardante Adem Uzun, membro della delegazione curda ai negoziati, falliti, di Oslo nel 2009 con la Turchia e vittima il dicembre scorso a Parigi di una provocazione costruita dai servizi francesi (su indicazione di Molins?). Giova rammentare come la magistratura inquirente francese dipenda direttamente dal ministero della giustizia, cioè dal governo. Insomma il governo socialista francese non solo è preoccupato ma comincia ad averne le tasche piene delle attività criminali dell’eversione turca in Francia.
Terzo fatto: giovedì 14 gennaio il primo ministro turco Erdoğan ha sostituito il ministro dell’interno con una figura che la stampa turca accredita come di “massimo affidamento”; e sempre la stampa turca pone questa sostituzione in rapporto all’intenzione di Erdoğan di non avere ostacoli dentro allo governo riguardo a eventuali sviluppi positivi della discussione in corso tra il MİT (i servizi turchi) e il leader curdo Abdullah Öcalan, nel carcere sull’isola di İmralı, dove è l’unico detenuto. Forse questa volta il negoziato, nel quale la parte curda rivendica i diritti linguistici del suo popolo e l’autonomia delle aree turche nelle quali esso è maggioranza, può diventare una cosa seria.
La storia com’è chiaro non finisce qui. Tra l’altro il potere militare finora è stato zitto: ed è un potere che non ha mai voluto che fosse affrontata la questione curda, anzi si è sempre messo di traverso con tutti i mezzi, compresi la periodica ripresa delle azioni militari sulle montagne del Curdistan, dove stanzia parte della guerriglia curda, le azioni terroristiche contro i villaggi curdi e, tramite servizi, polizia, Lupi Grigi, milizie curde collaborazioniste, la strage di migliaia di militanti curdi anche impegnati sul terreno legale, nelle amministrazioni locali o nelle associazioni per i diritti umani.
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