Renzi ha inaugurato un nuovo immaginario collettivo sfruttando quelle modalità comunicative tipiche del berlusconismo. Contrastare questa tendenza o adagiarsi su essa?
N.F. - Va sicuramente contrastata. Renzi, oltre alle modalità comunicative del berlusconismo, ha messo in campo un'operazione che ha incrociato l'attesa per il cambiamento che c'era nel paese: l'idea che qualcuno possa produrre un cambiamento molto forte ha prodotto di conseguenza un grande consenso. Il punto è che quando Renzi critica tutti quelli che secondo lui sono conservatori, la domanda che viene subito è: conservatori di cosa? Cosa dobbiamo conservare di quello che voi avete fatto? Dunque va contrastato, ma va fatto con l'attenzione di mettere in campo in modo molto chiaro l'idea che ci sia una proposta e non solo una resistenza, altrimenti il combinato disposto – l'uso berlusconiano delle comunicazione più aggiornato e persino più efficace e il bisogno di cambiamento – rischia di essere un rullo compressore troppo forte.
G.C. - Le due condizioni che Fratoianni richiamava sono utilizzate per un disegno che è conservatore - davvero - degli equilibri di potere. In questo Renzi è stata capace di attuare una metamorfosi del linguaggio: oggi più la parola è violenta più serve a salvaguardare i gruppi di potere di questo paese. In questo contesto la sua polemica ricercata sui poteri forti è abbastanza rovesciata rispetto alla realtà. La crisi che ricordava Nicola Fratoianni possiamo attribuirla alla sinistra: se Renzi ha vinto è perché la sinistra si è abituata all'idea che questo è un Paese che – come ricordava Bersani in campagna elettorale – non si può governare da soli da sinistra. Le larghe intese ci hanno abituato a questa lettura di un sistema politico in cui il PD è al governo comunque, anche a fare cose che non erano scritte nel suo programma anzi, direi, soprattutto quelle. Oggi bisogna dimostrare che una persona come Renzi non è così originale, ma è solo l'uomo vitruviano iscritto nel cerchio della sinistra e nel quadrato della destra e che governa stando al centro del sistema politico.
S. O. - Renzi va sfidato sul terreno sul quale è più forte: non possiamo attardarci nell'idea secondo la quale noi saremmo i conservatori. Rischieremmo di parlare a un mondo che o non esiste più o non ci riconosce più. O abbiamo la capacità di sfidare Renzi sul terreno dell'innovazione, quindi anche del linguaggio e della comunicazione, oppure saremo destinati a essere sconfitti, confinati in un angolo che rappresenta piccole rendite, piccoli soggetti, sempre e comunque incapaci di dialogare e interpretare le nuove forme sociali, a partire dalle nuove generazioni. Per uscire dall'angolo dobbiamo essere in grado di mettere in campo un'idea di sinistra ancora più moderna, innovativa e attrattiva. Se competiamo con Renzi con il vestito che ci ha cucito addosso abbiamo già perso. Chiaramente questo non significa arretrare sul terreno della nostro proposta politica e della nostra radicalità. Significa mettere in campo una proposta programmatica avanzata, forte ma adeguata e all'altezza dei tempi. Ad esempio, in tema di lavoro, non possiamo continuare ad agitare spettri o a tenere in mano soltanto bandiere, ma dobbiamo passare alla controproposta politica pena l'incapacità di rappresentare settori sociali che attendono le nostre proposte e non solo le nostre critiche.
Si accennava prima al tema del conservatorismo. E' proprio attraverso il Governo Renzi che si è replicata nuovamente la logica delle larghe intese: è forse uno schema da cui è impossibile uscire?
N. F. - Non solo è possibile uscire dallo schema delle larghe intese ma è necessario. Le larghe intese sono lo strumento migliore per produrre conservazione e per tale ragione bisogna uscirne: tocca a noi decidere come.
G.C. - Il mio contrasto con Renzi nasce proprio dalla decisione di andare al governo senza passare da elezioni, assumendo quindi centralità nel sistema che lui stesso voleva abbattere. Le contraddizioni continuano anche sul campo dell'azione governativa: durante le primarie Renzi non diceva certo di voler abolire l'articolo 18 - altrimenti dubito che larga parte della base del PD gli avrebbe accordato la fiducia - ed in generale le proposte che oggi vengono bollate come “antiquate” e “marginali” sono quelle che lo stesso Renzi agitava durante le primarie. Cos'è successo nel frattempo? Anche sul tema delle larghe intese Renzi risulta in contraddizione, perché proprio durante le primarie lo stesso dichiarava di voler uscire dalla logica delle larghe intese e dall'idea di palude che, adesso, sfrutta utilizzando da un lato le debolezze del suo alleato psicologico Berlusconi e dall'altro facendo leva sul largo consenso su cui può contare, perché con un leader forte le larghe intese sono ancora più blindate.
S. O. - Rompere le larghe intese dev'essere l'obiettivo della sinistra, perché le larghe intese non sono una scelta contingente ma una scelta strategica del gruppo dirigente di questo Partito Democratico. Il Partito Democratico di Renzi è, nei fatti, sia in Europa sia in Italia una forza subalterna a una gestione dell'esistente che produce politiche subalterne al neoliberismo. E' dunque prioritario lavorare affinché si costruisca a sinistra delle larghe intese uno spazio di sinistra, facendo leva anche sulle contraddizioni che oggi sono apertissime dentro il Partito democratico.
Sulle politiche del lavoro Renzi si presenta come un innovatore che punta a demolire anacronistiche tutele. Tra innovazione e conservazione, quale strada può seguire il sindacato e la sinistra politica per traghettare gli antichi diritti nelle nuove forme di produzione e nei nuovi rapporti contrattuali?
N. F. - A mio parere la proposta di Renzi sul piano dei diritti e dell'idea di lavoro è una proposta conservatrice se non addirittura regressiva. Se pensi di sostituire con una mancia più o meno consistente il diritto ad essere reintegrato se licenziato ingiustamente, decidi che il lavoro è definitamente una merce, riportando la condizione del lavoro indietro di molto tempo. Bisogna costruire una proposta in grado di fare i conti con la narrazione renziana: Renzi ha presentato il jobs act e il contratto unico come una grande rivoluzione utile a disboscare la selva delle forme del precariato, ma basterebbe proporre di cancellare contestualmente il 95% delle forme contrattuali per risolvere il problema. Inoltre bisognerebbe affermare che se le tutele sono crescenti, ad un certo punto ci si ferma e i diritti devono essere interi, compreso quello della reintegra. È tempo di discutere di come introdurre un sistema di sostegno al reddito universale in grado di garantire condizioni dignitose a chi oggi vive in povertà. Ma purtroppo la discussione in campo è un altra e questa si è molto ideologica: ma non siamo certo noi a sventolare una bandiera.
G. C. - Si tratta di una mossa strumentale che prescinde dal merito della questione e che non tiene conto che l'articolo 18 è stato riformato due anni fa, ma strumentalmente si continua a parlare di anni '70. Lo stesso Ministro Fornero spiega con grande chiarezza che modificare ulteriormente l'articolo 18 è una scelta sbagliata: noi in questo momento siamo a destra della Fornero in uno spazio cosmico non definito. (ride)
E' una discussione strumentale capace di distrarre rispetto ad altri problemi. Ciò che è certo è che ancora una volta Renzi non fa i conti con il risultato elettorale del 2013: il Partito Democratico non è stato di certo votare per abolire l'articolo 18.
S. O. - Il Partito Democratico di Renzi sta assumendo posizioni tecnicamente della destra e a dimostrarlo è il fatto che centro-destra e Confindustria sostengano Renzi e le sue politiche del lavoro. Il lavoro e la sua dignità sono in sostanza quello che contraddistingue la sinistra dalla destra: Renzi continua ad ignorare questo aspetto e proprio da qui dobbiamo ripartire per costruire una sinistra alternativa al modello renziano. Come ben diceva Fratoianni sono due i temi su cui costruire una proposta alternativa che metta al centro il tema del lavoro e della sua libertà: da una parte l'abrogazione delle forme contrattuali precarie che il centro-sinistra e il centro-destra hanno imposto in questi ultimi venti anni e in secondo luogo l’istituzione anche in Italia di un reddito minimo garantito, norma di civiltà che esiste in tutta l'Europa. Spesso ci raccontano che “bisogna fare come in Europa”: Italia e Grecia sono gli unici paesi in cui il reddito minimo non è legge. Facciamo, per una volta in positivo, come in Europa.
Le larghe intese, l'ascesa di Renzi, il populismo di Grillo e le continue e laceranti divisioni a sinistra: c'è ancora spazio per la costruzione di un progetto politico comune nel campo del centro-sinistra?
N. F. - Per fare il centro-sinistra ci vuole la sinistra ed è questo il problema da cui ripartire, perché oggi la sinistra appare frammentata ed indebolita nella sua credibilità. È arrivato il momento di lavorare alla costruire una sinistra più forte capace di confrontarsi con il progetto della ricostruzione del centro-sinistra. Il Partito Democratico di Renzi sta cambiando forma, è chiaro, il che non vuol dire che non c'è spazio per un'alleanza con un soggetto che oggi appare un pò meno di sinistra, penso però che per farlo ci sia bisogno di un'altra gamba. E' necessario porre questa questione, senza forzature e senza chiedere a nessuno di precipitare dalla propria collocazione in un altra: Ricostruire una prospettiva innovativa e capace di ridare entusiasmo è l'unica strada che abbiamo davanti.
G. C. - Si e mi auguro che questo concetto sia recepito anche da una parte consistente del Partito Democratico. La domanda andrebbe posta a chi come Bersani, Cuperlo e tanti altri esponenti si è sempre speso per una logica dell'alternanza tra destra e sinistra. Ci dicano loro se oltre a quelli più sensibili sull'argomento – nel PD e nella sinistra più in generale – c'è spazio per porre questa questione. Non ho votato la fiducia a Letta e ho fatto le primarie spiegando questa cosa. I risultati sono quelli che conosciamo, ma spero che oggi ci sia più attenzione rispetto a questa questione perché il tema dell'alternanza non riguarda solo la sinistra, ma la democrazia in generale.
S. O. - La sinistra non può essere un partito del 40% che governa con la destra, ma non può neanche essere la somma di piccoli soggetti ininfluenti. Per me il tema della sinistra è il tema dell'utilità, della coerenza ma anche il tema della capacità di costruire una proposta di governo alternativa a quella di Renzi. Non bisogna aver paura delle parole – anche se nel nostro mondo la parola governo fa paura – perché il tema del Governo, se accompagnato da parole di radicalità e di coerenza dei principi e dei programmi, è un tema non più rinviabile. E' tempo di costruire un soggetto politico della sinistra moderna, unitario e che sappia rispondere concretamente alle esigenze che vivono nelle sofferenze quotidiane di questo Paese e della nostra gente in particolare.