Il concetto che unisce tutti costoro può essere riassunto nella parola: autoassoluzione.
Sono loro che hanno sbagliato strategia, che hanno adottato una tattica fallimentare, che non hanno saputo comprendere la fase, che soprattutto non hanno saputo interpretare, rappresentare e organizzare i bisogni delle masse popolari?
No! Loro non ne hanno colpa, il difetto sta tutto nel soggetto organizzato: il partito.
Per tutti i generali Cadorna della sinistra italiana le colpe della sconfitta della sinistra non vanno cercate nell’insufficienza delle loro capacità politiche, ma nel soggetto politico stesso, troppo condizionato da idee, pardon ideologie, novecentesche sia per quanto riguarda la politica, sia per quanto riguarda l’organizzazione.
Beninteso un nuovo soggetto unitario della sinistra non può ricorrere a modelli del passato, deve obbligatoriamente aggiornarsi per affrontare le nuove situazioni e le nuove sfide, così come ha saputo fare il Partito Comunista Italiano con l’idea del “partito nuovo” di Togliatti, una scelta resasi necessaria per adeguare il PCI alle nuove condizioni di lotta politica e sociale dell’Italia repubblicana.
D’altra parte però non possiamo neanche rincorrere pedissequamente modelli di altri paesi (Syriza, Podemos, Front de Gauche), la storia della sinistra ci ha insegnato che la “copiatura” di modelli altrui non sempre si rivela positiva.
E qui siamo alla seconda contraddizione: il coupe de foudre politico.
Come ci sono quelli che si innamorano a prima vista, esistono anche quelli che si entusiasmano a prima vista di qualsiasi esperienza politica purché sia nuova ed abbia avuto altrove un certo successo.
Succede così che mentre si lavora ad un ipotesi politica, poniamo la lista Tsipras, qualcuno proponga preso da fervente entusiasmo per un’altra esperienza, poniamo Podemos, contravvenendo in questo modo ad una delle regole fondamentali della politica: fare e disfare e tutto un gran daffare che si risolve sempre in un pessimo affare!
Infine la contraddizione più grave: la pretesa di annullare differenze e culture politiche consolidate.
Quello che si sostiene dai fautori del nuovo a tutti i costi, dai sostenitori della “politica della felicità” (o era la “felicità della politica”?) è la pretesa di annullare tutte le differenze di cultura politica in un tutto unico indistinto e senza la spina dorsale di una forte cultura politica, un sorta di Pds ochettiano in ritardo di più di vent’anni.
Quello però che è più grave in questa tendenza è il malcelato anticomunismo che serpeggia in alcune componenti, anche se mascherato da un antistalinismo di maniera e dall’obiettivo del “superamento del novecento”.
Un atteggiamento autocastratorio, poiché è evidente a tutti che senza i comunisti ogni pretesa di una sinistra unita e capace di fare politica è una pia illusione da intellettuali usi più a sognare il migliore dei mondi possibili che a modificare lo stato di cose presenti.
In definitiva ci vogliono tre condizioni per formare una sinistra unita degna di questo nome:
1) gruppi dirigenti nuovi eletti in maniera democratica e trasparente, che si alternino frequentemente nell’esercizio delle diverse responsabilità;
2) originalità dell’esperienza italiana rispetto a quelle di altri paesi, capace di aderire alle condizioni oggettive della nostra società, senza per questo rifiutare quanto il resto del mondo ci può insegnare;
3) costruzione del soggetto unitario sulla base delle diverse culture politiche, nel pieno rispetto di ciascuna secondo un modello organizzativo che dia rappresentanza ad ognuna.