La base elettorale dell'IdV e della sinistra cosiddetta radicale italiana, scarsamente fidelizzata, ha disertato in massa per votare Grillo e in misura minore il centrosinistra di Bersani e Vendola, precipitando l'intero arco di forze che aveva dato vita alla Lista Ingroia in una crisi che sembra non avere vie d'uscita facili e rapide, e che comporterà sicuramente l'estinzione delle strutture più deboli e un drastico ridimensionamento dei soggetti sopravvissuti.
Se è vero che la Lista Ingroia è stata penalizzata da una certa incapacità comunicativa, dall'intempestività, dall'eterogeneità dei soggetti che la componevano e da alcune candidature irricevibili, deve essere evidente anche che gli errori fatali vanno cercati più in profondità.
Come prima cosa, a nessuno può sfuggire il carattere posticcio dell'alleanza tra gruppi così eterogenei, così incompatibili culturalmente. Niente avrebbe potuto ridurre a unità percorsi così divergenti – è un po' come tentare di amalgamare acqua e mattoni.
Non solo è parso evidente all'elettorato che sotto la coperta arancione di Ingroia fossero nascosti soggetti naturalmente divisi e incompatibili, accomunati solamente dalla disperazione – e i continui appelli dello stesso Ingroia a Bersani certamente hanno contribuito a dare quest'impressione – ma pure lampante è parso a chiunque il carattere politicistico dell'intera operazione, se per politicismo si intende una categoria dell'agire politico immanentemente verticistica ed elettoralistica.
Le sinistre italiane dopo la sconfitta della Sinistra Arcobaleno nel 2008 non hanno nemmeno tentato di innovarsi nelle culture e nelle pratiche, e invece che impiegare le loro ancora notevoli strutture per suscitare e organizzare conflitto, sperimentare nuovi radicalismi, discutere della situazione reale ed eventualmente incassare le rendite di lotte vittoriose hanno preferito chiudersi in un mondo di onirica semplicità, dove il lottare è il portare solidarietà e il conflitto è “mettersi a disposizione” di non si sa quali spiriti della sinistra diffusa, attendendo e quindi perdendo tempo, e dove difendere i lavoratori è delegare in toto ai sindacati (sedicenti) maggiormente rappresentativi, ovvero a strutture spesso pesantemente sclerotizzate e fiaccate da anni di moderazione salariale e concertazione; l'assoluta mancanza di vera discussione sulla fase che stride con le infinite discussioni autoreferenziali su contenitori e appelli. Invece che cercare di superarsi nel conflitto la Sinistra tutta ha cercato di riacchiapparsi correndo all'indietro. È il comportamento dei principali attori della Sinistra radicale ad aver determinato la certo non gradevole necessità del cartello elettorale. Il fatalismo è, in questo caso, totalmente fuori luogo.
Questo atteggiamento passivo non ha pagato, e i risultati parlano da soli. Nei partiti della Sinistra regna – ora, dopo la sconfitta – una pace armata fatta di disorientamento che non sembra presagire, purtroppo, nulla di buono.
Vero è anche che la lotta richiede reciprocità, che il movimento in ogni settore latita o langue, che la classe lavoratrice è ancora in larghissima maggioranza assuefatta alla delega e poco avvezza al battersi in prima persona, e saremmo ingenerosi se non riconoscessimo questi oggettivi, enormi ostacoli.
Ma è assolutamente inaccettabile non provare ad abbatterli.
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