Sabato, 06 Aprile 2013 00:00

Dirigenti della sinistra: impreparati

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“Due rette parallele non si incontrano mai e se si incontrano, non si salutano”. Questa battuta è di Corrado Guzzanti nel ruolo del poeta Robertetti e se lo paragono alla situazione della sinistra sembra calzare a pennello. Forse è anche peggio, perchè le parallele che non si incontrano non sembrano essere due, ma molte di più e più ottuse. Basta leggere le molteplici analisi che si sono fatte dopo il voto e come si è reagito di conseguenza.

Una buona analisi parte dal contesto: tutti i partiti che si dicono di sinistra o progressisti hanno fallito. Il PD che doveva smacchiare, è stato smacchiato; SeL che doveva evitare lo smacchiamento della sinistra si trova incastrata in un piccolo consenso che difficilmente si amplierà, anzi verrà smacchiata anche lei; Rivoluzione Civile ha avuto i suoi problemi e, visto che in questo sito ci sono già articoli condivisibilissimi, non mi dilungo più di tanto.

Le soluzioni trovate per cercare di ritornare in pista, non mi fanno sentire meglio. Ogni soggetto ha preferito o autoassolversi o si è accontentato. Penso a Rifondazione, che con una soluzione iperburocratica cerca di evitare un congresso fratricida, SeL probabilmente non farà nemmeno il congresso e nei Comunisti Italiani il dibattito sembra essere l’unità dei comunisti o internità nel centro-sinistra. La domanda che più mi arrovella è: ma può un partito avere paura del confronto? E la risposta sembra essere di sì, purtroppo.

La seconda domanda è: perché si ha paura del confronto? Questo mi fa pensare al Congresso di Stoccarda del 1907 del Partito Socialdemocratico, quello di Bernstein e di Kautsky. In quel congresso si parlava della questione coloniale e ci fu un aspro dibattito. C’era chi difendeva la svolta coloniale della Germania dentro il partito perché solo in quel modo si potevano ottenere tutte le fasi che avrebbero portato al socialismo e chi intravedeva nella battaglia coloniale una importante campagna di civilizzazione di quei popoli. Quindi, di fatto, da una parte si vedeva una possibilità e dall’altra una questione puramente educativa, tutto questo per rispettare la base scientifica del pensiero di Marx e Engels. Ma è oramai risaputo, tra carteggi dello stesso Engels, che alla base di questa deviazione teorica ci fu una impreparazione dei dirigenti, dovuta anche ad un certo rigore scientifico o, per meglio dire, positivista. Tutti seguivano il Manifesto del Partito Comunista, ma nessuno dava importanza alla dialettica prima Hegeliana e poi Marxiana della Storia.

Ritornando ad oggi, sembra esserci oggi la stessa impreparazione nel capire la fase, nel distinguere tattica e strategia, nel capire come prepararsi ad un confronto elettorale ed a portare avanti le lotte.

Si dice che il nostro paese è “anomalo”, in quanto c’è una prevaricazione dei partiti personali. Una analisi di questo genere sarebbe corretta se non fosse per il fatto che anche Rifondazione si è dovuta accontentare di un simbolo con il nome di Ingroia a caratteri cubitali.

Sento dire che non si poteva fare meglio, viste le divisioni che si sono avute nei mesi precedenti. Ma io mi sento di dire che molte faccende importanti sono state accantonate molti anni prima ed è logico supporre che, arrivati al dunque, queste divergenze siano risaltate fuori come un coniglio dal cappello del mago.

Si è spesso detto come slogan “fare come in Francia”, “come in Spagna”, “come in Grecia” ma non ho mai sentito o letto analisi dettagliate su come hanno fatto in Francia, In Spagna o in Grecia a ottenere consensi importanti da parte di soggetti che, molti anni prima rispetto a noi, erano portati a sparire dallo scenario politico del loro paese.

In poche parole, Penso che da questo ragionamento si possano dire poche cose, ma chiare:

1) prima di agire, occorre studiare. Se manca lo studio, o per meglio dire la formazione, ogni tentativo è fallimentare e autoreferenziale;

2) occorre ora avere in mente un progetto di ampio respiro e di ispirazione europea. Izquierda Unida e il Front de Gauche hanno e stanno utilizzando dei metodi innovativi di aggregazione e di creazione della consapevolezza di classe e sono radicati nelle lotte e nelle istituzioni.

3) per fare formazione e innovazione, non è possibile rimanere nella propria casa pericolante (o già crollata) e aspettare il destino. La miglior reazione allo stato di cose presenti è agire per cambiarlo, con un progetto che riparta da Marx e Engels. Perché “niente è assoluto e tutto è relativo”, come diceva Engels.

Immagine tratta da knackeredhack.com

Ultima modifica il Sabato, 06 Aprile 2013 11:04
Giuliano Sdanghi

Nato a Roma, ma vivo a Bracciano dall'infanzia. Diplomato ragioniere, sono responsabile di varie realtà associative. Grazie allo studio del francese, i miei interessi si sono ampliati alla Francia, in ogni suo aspetto.

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