Mercoledì, 17 Gennaio 2018 00:00

A proposito di crisi della sinistra

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A proposito di crisi della sinistra www.lastampa.it

Il 14 ottobre 1980 è una data fatidica e tragica per la storia della sinistra in Italia. Una di quelle che sono destinate, quasi per caso, a cambiare profondamente e quesi del tutto gli avvenimenti in un dato periodo storico. Vivendo in un paese con pochissima memoria, penso che molti compagni non abbiano ancora capito a cosa mi stia riferendo. Troppo presi a polemizzare tra piccoli partiti, correre a presso al nuovo miracolo che ci salverà tutti.

Ok, una piccola spiegazione: L’Italia, al contrario di altri stati, ha lottato a lungo per una nuova società. Certo, si son fatti tantissimi errori, alcuni anche tragici, ma la Nazione era scossa dalla violenta voglia di molti proletari e giovani, di cambiare le cose. I padroni avevano sperato che le bombe nelle banche, in piazza, sui treni, fermassero la ribellione di operai e studenti. Non fu così. I terroristi neri, i golpisti bianchi modello M. A. R. di Carlo Fumagalli, non fermarono le richieste e rivendicazioni delle masse operaie organizzate e disciplinate dalla coscienza di classe. Il lato negativo, per molti studiosi e protagonisti di quei tempi, furono le risposte armate dei compagni, e una certa deriva libertaria più attenta alla soddisfazione del singolo, che alla classe di appartenenza delle persone.

Questi argomenti li approfondirà meglio in altri articoli; per ora fermiamoci sulla data posta in apertura di questo post. In quel periodo la Fiat decise di metter in cassa integrazione o licenziare migliaia di lavoratori. Un buon numero di questi esoneri erano rivolti contro operai politicizzati. Appartenenti al consiglio di fabbrica, al sindacato. Non una manovra nuova per la Fiat, basti pensare agli anni '50. Solo che gli anni non erano esattamente quelli del dopo guerra. La spinta sovversiva si stava spegnendo, il terrorismo, la svolta della C.G.I.L. all’Eur, gli scontri tra P.C.I e autonomia, per non parlare del compromesso storico. Molte le crepe che si aprivano nel muro della contestazione, ma erano pur sempre anni di grandi vittorie. La legge 300 del 1970, credo sia quella più importante. Con questo nome è noto lo statuto dei lavoratori, il quale di fatto, cambiava in meglio la vita degli operai. Questa tensione sociale, politica, è alla base del lungo sciopero che gli operai della Fiat intrapresero in quel lontano 1980.

La lotta vide in prima fila il segretario del P.C.I. Enrico Berlinguer, che sostenne l’idea di occupare la Fiat, qualora questa fosse la strategia della maggioranza degli operai. Il 14 ottobre 1980, al Teatro Nuovo di Torino, alcune migliaia di impiegati e quadri della fabbrica di automobili, sotto la guida del capo reparto Luigi Alloisio, decisero di sfilare per le vie del centro chiedendo la fine dello sciopero. La leggenda dei quaranta mila, è stata alimentata da una informazione errata di Luciano Lama, ovvio che i nemici di classe, sfruttarono questa uscita infelice per dar segno di una straordinaria partecipazione dei cittadini. Dopo questa manifestazione e la sconfitta della classe operaia, la sinistra italiana cominciò il suo declino. Quasi spazzata via del tutto la ribellione extraparlamentare, chiusa nelle dinamiche dei centri sociali e dei collettivi studenteschi, legata alla sovversione simbolica e avventurista, spontaneista, che colleziona qualche momento di gloria e poi lunghi oblii. La sinistra parlamentare non se la passa meglio. Il P.C.I., cerca di sfruttare “l’alternativa democratica”, cioè una revisione totale del Compromesso Storico. L’idea di un P.C.I che possa governare attraverso l’alleanza con forze socialiste e socialdemocratiche, è spazzata via dalla presenza, sulla scena politica, del P.S.I. Lo scontro tra Berlinguer e Craxi, sfocia in una battaglia durissima che culmina con i fischi dei socialisti al segretario del P.C.I. durante il congresso del partito di Craxi, a Verona. La sconfitta pesante durante il voto per il referendum sulla scala mobile, è un altro segnale preoccupante: ormai la stagione delle lotte per il lavoro sono finite. Senza l’unione dei lavoratori, guidati dalla coscienza di classe, con il lavoro che si appresta a un violento cambiamento dal punto di vista sociale e politico, la sinistra non esiste

Questo è il problema che viviamo ancora oggi. La precarietà non è tanto un atto legato a precise idee economiche, ma l’attacco finale e decisivo contro la forma più pure di avanguardia e radicamento della sinistra: l’unità della classe lavoratrice. Tolta questa, manca il terreno sotto i piedi della sinistra. La quale si va sgretolando anche per le pessime notizie che arrivano dall’estero. Il 1989 la caduta del muro, festeggiata anche da certi compagni all’acqua di rosa o dai proclami roboanti ma di poco peso politico, ci porta al 1991 colla caduta dell’Urss. L’incapacità di Gorbaciov, unita allo squallore umano e politico di Eltsin, porta i pavidi funzionari della sinistra occidentale a credere che sarebbe meglio trasformarsi in maggiordomi delle politiche liberali.  Il P.C.I. si scioglie dando origine a due formazioni ; Pds e Rc. Da questo momento è un continuo far autocritica, proporsi come persone serie in grado di comandare un paese devastato da Tangentopoli. Per poter convincere la classe media e il padronato è ovvio che si debbano abbandonare i proletari e i lavoratori. Una volta cominciata questa strada non è possibile tornare indietro. Una sinistra liberale, attenta al mercato, al buon governo, a trovar posto alle cene aziendali, si pone nel panorama politico italiano. Un’altra parte invece cerca di rielaborare il movimentismo libertario, tenendo la lotta di classe e l’organizzazione dei lavoratori, sempre più sullo sfondo. I diritti civili separati da quelli sociali, sono un’ottima scelta, ma poco efficace per dar alla sinistra e ai comunisti il loro ruolo di difensori dei lavoratori. O quantomeno rimanendo forza principalmente di opposizione, viene vista come la guasta feste della situazione. Tanto che anche oggi, quando il centro sinistra viene punito per le sue leggi anti popolari, perdendo le elezioni, la colpa ricade sempre sui comunisti. Accusati di essere quattro gatti e allo stesso tempo di aver il potere di rovinare la marcia trionfale di questi borghesi perennemente in malafede.

Durante questi anni abbiamo creduto a troppi nuovi profeti, unito e disunito la sinistra in troppi progetti, alzato barricate che si son rivelate molto fragili. Dal Movimento dei Movimenti, nato durante i giorni di fuoco fascista di Genova, andato a farsi fottere in pochi anni, fino a Tsiparas e altri salvatori della patria. Come se per ritornare ai vecchi splendori bastasse la faccia e lo slogan giusto. Tutto questo si ripete anche oggi. Perché non abbiamo compreso che il Pacchetto Treu e il Job Act, hanno portato a termine la riscossa padronale internazionale e nazionale. Colpevoli di questa sconfitta della sinistra, sono gli stessi uomini di sinistra e in larga misura la destra berlusconiana di questi ultimi 30 anni. Fatto sta che i cambiamenti radicali in ambito lavorativo arrivano proprio col centro sinistra. La vedo dura poter prendere in mano la rinascita della sinistra, quando hai sostenuto e votato queste leggi orribili per le masse meno abbienti, in modo particolare. Io non credo nei miracoli. Non credo che all’improvviso un cadavere in putrefazione possa risorgere in ottimo stato di salute. Conosco fin troppo bene l’attaccamento al modello economico e sociale occidentale-capitalista, di tanti liberi e uguali, come sono abituato alle parole di fuoco, allo spontaneismo, alle velleità dei movimentasti.

Tuttavia c’è poco da dire: o stai col sistema che in questi 30 anni ha distrutto e demolito lo stato sociale, le lotte dei lavoratori, che esporta democrazia colle bombe e sostiene terroristi per colpir i propri nemici, o ti getti con entusiasmo e passione a creare un’alternativa. Anche con qualche armata brancaleone. Questi sono i tempi: di transizione e decadenza. Noi non cambieremo nulla, forse non vedremo nessun reale miglioramento, ma abbiamo il dovere e l’obbligo di non disertare la lotta, anche quando è elettorale e giocate nel sistema borghese. Avendo chiara in mente la rivoluzione, ma volendoci abbastanza bene per non sentirci dei rivoluzionari duri e puri, come le macchiette di Facebook, ma comunisti che combattono usando il materiale a disposizione. Anche quando è scadente e fa pietà. Io sono pronto a impegnarmi e a sostenere il mio partito. Anche questo è, nel piccolo, ricostruire la sinistra. La militanza nel partito è l’unico modo per non essere del tutto sconfitti.

Ultima modifica il Martedì, 16 Gennaio 2018 13:50
Davide Viganò

Davide Viganò nasce a Monza il 24/07/1976: appassionato di cinema, letteratura, musica, collabora con alcune riviste on line, come per esempio: La Brigata Lolli. Ha all’attivo qualche collaborazione con scrittori indipendenti, e dei racconti pubblicati in raccolte di giovani e agguerriti narratori.

Rosso in una terra natia segnata da assolute tragedie come la Lega, comunista convinto. Senza nostalgie, ma ancor meno svendita di ideali e simboli. Sposato con Valentina, vive a Firenze da due anni

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