“Il capitalismo è al capolinea”, l'immagine che Carlo Lucchesi usò per sintetizzare la mia posizione (con la quale dissentiva) nel dibattito che facemmo il 25 giugno 2013 (vedi qui) è per me molto efficace ed esprime perfettamente il senso di quello che sta succedendo ai rapporti capitalistici di produzione, nei paesi più avanzati. Un autobus arrivato al suo capolinea può tornare indietro e continuare a circolare per i percorsi predeterminati, ma non va oltre. Tradotto nel caso nostro: gli attuali rapporti di produzione non sono in grado di mediare ulteriore sviluppo.
Provo quindi a verificare questa mia convinzione, a dispetto di 150 anni di dibattiti, di elaborazioni complesse, ricorrendo a delle minuscole citazioni di due scritti sintetici e giustamente celebri di Marx: “Manifesto del partito comunista” (con Engels) e la prefazione a “Per la critica dell'economia politica” del '59. Citazioni non arbitrarie, poiché questi due scritti non sono solo perfettamente inseriti nel più complessivo lavoro marxiano, ma anzi ideati dallo stesso autore, in due momenti diversi, come sintesi di una elaborazione complessa e complessiva.
Leggendo il “Manifesto”, all'inizio del primo capitolo “Borghesi e proletari”, ci si imbatte nel paragrafo che dice,
“La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classi. (…) una lotta che finì sempre o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la rovina comune delle classi in lotta.”
Quante volte abbiamo perentoriamente ripetuto questa affermazione, per dire che sì, la rivoluzione si farà! E “la rovina comune” altro non voleva dire che alternative non erano date (a proposito di determinismo!). Io credo invece che questa affermazione significhi che se l'umanità, ad un certo determinato punto non riesce ad intraprendere il percorso della trasformazione rivoluzionaria dei rapporti di produzione, si avrà la “rovina comune”, in cui nessuna classe prevarrà sull'altra. Quello che non è dato è che la “classe” che opera per il mantenimento dei precedenti rapporti di produzione possa prevalere perpetuando lo stato di cose esistente.
A sinistra è una gara a chi dimostra meglio, più ampiamente e in modo altisonante, come il capitale stia conducendo la lotta di classe contro gli operai e/o il popolo ed anzi come l'abbia già abbondantemente vinta: altro che “comune rovina”, il capitale non sarebbe mai stato meglio di ora!
É possibile contestare questa tesi? Bisogna ogni volta fare professione di fede nella lotta di classe oppure l'interpretazione materialistico-storica della evoluzione dei rapporti di produzione consente di discuterne?
Tra il '48 (edizione del “Manifesto”) e il '59, anno in cui finisce il suo “per la critica dell'economia politica”, Marx sistematizza i suoi studi e raggiunge risultati di metodo e concezione che hanno preso il nome di materialismo storico e che costituiscono il filo conduttore del suo lavoro, che egli sintetizza nella celebre prefazione a “per la critica...”.
In poche righe (poco più di una pagina) Marx ci fornisce una infinità di spunti di riflessione validi per tutta la sua opera. Anche in questo caso ho cercato di ragionare più e più volte su alcuni passaggi che mi sembrano utili al discorso che sto tentando di mettere insieme, in particolare:
“Una formazione sociale non perisce finché non si sono sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso”.
Da questa considerazione mi pare che emerga, per noi, una domanda stringente, con la quale bisognerebbe misurarsi. Questa formazione sociale (il capitalismo), sta dando corso ad ulteriore sviluppo delle forze produttive? Naturalmente il dibattito qui spazia dalla posizione che anche in una crisi come l'attuale, in varie forme, comunque è garantito uno sviluppo di dette forze, anche nei paesi più sviluppati (OCSE), a quella che il sistema è talmente interconnesso che ad aree di stagnazione corrispondono aree di crescita, che nell'insieme, garantiscono detto sviluppo.
Se invece alla domanda, con una serie di considerazioni e riflessioni si dovesse arrivare a rispondere che no, questa formazione sociale non sta dando corso ad ulteriore sviluppo delle forze produttive (stiamo parlando dei paesi più avanzati OCSE), allora le implicazioni per chi dichiara di avere una visione critica dell'esistente e si rifà a Marx, sarebbero molto impegnative.
Per capirci. Poche righe sopra quella prima citata, Marx dice:
“Quando si studiano simili sconvolgimenti (la conversione delle forze produttive in catene che sconvolge la “gigantesca sovrastruttura”), è indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere constatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo” [i corsivi sono miei].
Qui non si scappa: possiamo constatare se abbiamo o no raggiunto il punto in cui questa formazione sociale non sta dando corso ad uno sviluppo ulteriore delle forze produttive con la precisione delle scienze naturali, e per me lo abbiamo raggiunto! In questo consiste il concepire il conflitto che si sta producendo tra forze produttive e rapporti di produzione, cioè di proprietà.
Riassumendo. Secondo me questo sistema di “rapporti di produzione” impedisce oggi, al contrario di quando ne ha costituito la premessa necessaria, un ulteriore sviluppo delle “forze produttive”: ciò è constatabile “scientificamente”dalla impossibilità, all'interno degli attuali “rapporti di produzione” di procedere alla valorizzazione del “capitale”, che anzi aumenta la propria eccedenza. Questo sconvolgimento (del “regolare” fluire dei “rapporti di produzione”) ha degli effetti devastanti sullo svolgimento dei rapporti di riproduzione dell'umanità. Gli strumenti con cui la società “concepisce” queste relazioni, sembrano inefficaci e l'umanità, senza un orientamento, sembra indirizzata verso un “disordine regressivo”, che richiama in modo impressionante quella marxiana “rovina comune”.
D'altra parte Marx, in riferimento alle “...forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche...”, con le quali “...concepire questo conflitto e (...) combatterlo...” ci fornisce una forma della conoscenza, “il materialismo storico”, che noi dobbiamo usare... chi altri sennò?
La speranza è l'ultima a morire, ma la prospettiva di una “rovina comune”, guardandoci intorno, a partire da noi stessi, si fa tragicamente concreta!