Venerdì, 15 Maggio 2015 00:00

In difesa della causa persa del reddito di cittadinanza

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In difesa della causa persa del reddito di cittadinanza

Mentre il governo va in difficoltà a causa della sentenza della Consulta che stabilisce l'incostituzionalità dello stop alla rivalutazione automatica delle pensioni per gli assegni superiori a tre volte il minimo stabilito dalla riforma Fornero; mentre si parla ormai pacificamente in ambito internazionale di "bombardare i barconi" tra una preghiera di Papa Francesco e un incontro con Ban Ki Moon, arriva quello che non ti aspetti, ossia la proposta di un "reddito di cittadinanza" da parte di un M5S in evidente difficoltà politica. La proposta, scippata alla sinistra e un po' abborracciata, è stata lanciata in grande stile con la marcia Perugia-Assisi del 9 maggio, i banchetti nel week-end e le comparsate televisive nei talk-show, come quella di lunedì di A. Di Battista a Quinta Colonna dove ha sempre spadroneggiato il populismo destroso di Salvini e compagnia, è il sintomo della disperazione che si palesa con una sfida anche nel territorio nemico. Quello che cercherò di chiarire è che purtroppo l'esito di questa sfida temo proprio sia già scritto.

Il progetto, così come è stato presentato dal M5S in Lombardia con la Proposta di legge 151-20 marzo 2014 ora diventata proposta nazionale, prevede per i cittadini che hanno perso il lavoro o non riescono a trovarlo un sussidio mensile (stimato in 780 euro) e tre proposte di lavoro in tre anni che se rifiutate porterebbero alla fine dell'erogazione del sussidio. Vi è quindi una notevole diversità tra il reddito di cittadinanza spiegato dai cinque stelle che sarebbe un reddito minimo garantito, quindi non elargito a tutti ma solo a chi è in difficoltà nell'inserimento all'interno del tessuto lavorativo, e il reddito di cittadinanza vero e proprio che dovrebbe tutelare indipendentemente da altri redditi o dall'attività lavorativa effettuata.

Resta il fatto che la proposta è stata avversata da tutti gli altri partiti, compresa la Lega che per bocca di Salvini ha definito il reddito di cittadinanza "elemosina di Stato", ricorrendo ad una terminologia che nell'Età dell'oro era utilizzata dall'estrema sinistra intenta a rivendicare i profitti che i padroni si spartivano con lo Stato. Così, pure la Lega che potrebbe sfruttare la retorica del "prima gli italiani" e che potrebbe beneficiare dal togliere i "nostri" dalle lunghe file davanti alle varie sedi della Caritas finisce per rifiutare. L'interessante della vicenda è che, tralasciando l'evidenza che ci racconta di un reddito garantito solo tramite l'immissione forzosa nel mercato del lavoro e la inevitabile professionalizzazione e privatizzazione della formazione che passerebbe direttamente per i centri per l'impiego o ancora del lavoro non retribuito dal datore di lavoro come dovrebbe essere, saremmo comunque di fronte ad una manovra che seppur in maniera debole e certamente non anticapitalistica (vedi in particolare la Tesi 3 delle "Dieci tesi sul reddito di cittadinanza" di A. Fumagalli) andrebbe a inserirsi per davvero in maniera anticiclica negli ingranaggi economici inceppati, facendo per di più tornare in campo l'attore statale che andrebbe ad ammortizzare le inefficienze del mercato del lavoro. La proposta avanzata nell'attuale deserto politico resta pur sempre l'unico pallido tentativo di dare sollievo ad una situazione economico-occupazionale altrimenti devastata dalle politiche del passato e devastante per le ricadute di queste nel futuro.

Certamente il blairismo della proposta è evidente, la sua natura di palliativo nei confronti di una crisi che andrebbe affrontata con ben altra decisione pure, ma il fatto stesso che quello che dovrebbe essere lo schieramento socialdemocratico rifiuti la proposta a livello nazionale sostenendo l'inattuabilità della manovra per via dei costi è la prova che abbiamo di fronte non solo una politica arroccata, ma anche che l'adeguamento ai canoni sociali dell'Unione Europea su basi di uniformità coi paesi più benestanti non è l'obiettivo politico delle forze europeiste (e antieuropeiste di facciata). Analizzando il discorso politico ci troviamo di fronte ad una deriva politica che non trova argini. Si faccia un esperimento: ad esempio, si provi a chiedere ad un qualsiasi razzista che sbraita contro gli immigrati in quanto "costo che non possiamo permetterci" (ebbene sì, l'uomo è diventato un costo nel processo che ha interiorizzato la privatizzazione fino a rendere la vita a puro elemento economico cancellando qualsiasi Carta dei Diritti fondamentali), cosa ne pensa del "reddito di cittadinanza". Se non è un militante del M5S, e anche di quelli ci sarebbe da dubitare sui sinceri valori di eguaglianza, vi risponderà senz'altro picche, che non s'ha da fare. Il perché è facile da indovinare: non ce lo possiamo permettere. Anche la più modesta e moderata proposta politica liberale non passa più nel discorso pubblico e non riesce a infrangere il muro liberista edificato nella mente della società, cosiddetta civile, ma ormai palesemente barbarica.

Voglio fare un solo esempio esplicativo dell'imbarbarimento in atto nella "coscienza civile" egemonizzata dalla contabilità capitalistica sugli esseri umani: seppur sia lungi da me l'idea di identificare la coscienza di oltre 60 milioni di persone unicamente con quella xenofoba è comunque evidente il consenso riscontrato da iniziative come quelle leghiste del tipo "voglio essere un rifugiato politico" che si abbinano alla retorica del "prima gli italiani" in una tale congiuntura economica. Bene, si fa presto a fare la prova del nove: non mettiamo prima "loro", mettiamo pure prima "noi", bianchi caucasici ed europei. Ebbene, secondo la destra xenofoba in questa situazione le case spetterebbero "prima (per non dire solo) agli italiani", così come il lavoro, gli aiuti economici e perché no, persino la carità cristiana del piatto di minestra alla Caritas. La prova del nove però dimostra che i conti non tornano: si impoverisce e immiserisce la popolazione non rendendogli né giustizia né dignità, poiché quando ci sarebbe da fare la minima concessione, come quella di un sussidio comunque revocabile e ristretto alle situazioni di difficoltà estreme, l'intero spettro politico che gestisce la cosa pubblica si ritrae isolando la forza politica che avanza la proposta e persino l'adeguamento alle normative europee sparisce. Infondo anche a Salvini, che rispondendo a E. Forenza il 30 aprile all'europarlamento rinfacciava il suo impegno a intervenire nei paesi d'origine dei flussi migratori a dispetto dell'inattività della sinistra, fa comodo un italiano migrante. Quindi, dopo aver fatto la sensazionale scoperta di una Lega anticolonialista che si impegnerà attivamente addirittura con l'intervento del leader in prima persona in qualche impresa prossima ventura di rivoluzione antimperialista in Nigeria, non ci resta che scoprire il suo doppiogioco, ossia quello dell'accondiscendenza verso l'impoverimento progressivo anche degli autoctoni che tanto auspica di difendere, se necessario anche avventurandosi fin sugli scranni europarlamentari.

Ultima modifica il Giovedì, 14 Maggio 2015 16:27
Alex Marsaglia

Nato a Torino il 2 maggio 1989. Laureato in Scienze Politiche con una tesi sulla storica rivista del Partito Comunista Italiano “Rinascita” e appassionato di storia del marxismo. Idealmente vicino al marxismo eterodosso e al gramscianesimo.

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